Sia chiara una cosa: non è per salvare vite umane che questa guerra prosegue

Ma perché la guerra in Ucraina continua?

Siamo di fronte a una scena raccapricciante. L'Ucraina è come un ragazzo di settanta chili che viene pestato a sangue da un peso massimo. Continua a farsi massacrare perché dagli spalti lo incitano a non mollare. Come i tanti politici che predicano il classico "armiamoci e partite".
30 ottobre 2024

In Ucraina, mentre la guerra  continua con migliaia e migliaia di soldati che ogni settimana perdono la vita o subiscono gravi ferite e mutilazioni, l'Europa accetta lo scontro cruento "per tutto il tempo necessario", ossia sceglie il terreno su cui Putin è più forte.

L'Europa sta sbagliando tutto e Putin ne approfitta.

Perché?

E' presto detto, è una questione di numeri.

Le forze armate russe hanno una quantità di soldati quattro volte superiore all'Ucraina. Con un rapporto 4 a 1 la Russia sta avanzando ovunque. E per ogni cannonata degli ucraini i russi ne sparano 7. Questi sono i dati.

E i 160 mila che Kiev vorrebbe arruolare? I russi avrebbero una superiorità tripla invece che quadrupla. Ma c'è un problema non solo di quantità ma di motivazione. Infatti i soldati ucraini che arrivano al fronte sono così demotivati che abbandonano facilmente le posizioni. Non sparano. Sono frequenti i casi di diserzione. Ci sono fraintendimenti nelle rotazioni dei battaglioni: un battaglione che deve rilevare una posizione non si presenta o si presenta tardi. E così i soldati russi ne approfittano, si incuneano e avanzano.

Non siamo ancora alla Caporetto ma il logoramento del corpo militare ucraino è evidente.

L'Ucraina è - ad essere ottimisti - come un ragazzo di settanta chili che viene pestato a sangue da un peso massimo. È come un ragazzo che continua a farsi massacrare perché dagli spalti qualcuno lo incita a non mollare. E fa il tifo per lui come tanti politici che predicano il classico "armiamoci e partite". È davvero una scena raccapricciante. Zelensky

C'è da chiedersi, fuor di metafora, perché i leader occidentali e Zelensky continuino ad assistere a questo spettacolo incitando alla lotta fino alla vittoria mentre è evidente che la prosecuzione porterà a una sconfitta in condizioni di ancora maggiore svantaggio, penosità e danno per chi è sconfitto.

La Meloni ha detto a Zelensky che "la pace non può essere una resa". E quindi? Cosa suggerisce concretamente? Forse un accordo di pace quando l'Ucraina sarà ancora più distrutta e magari perderà anche Odessa o lo sbocco al mare? 

La risposta non può che essere trovata realisticamente nell’interesse del popolo ucraino, che sta pagando il prezzo più alto di tutti, con vite perse, famiglie distrutte e giovani che abbandonano clandestinamente il Paese o scelgono la diserzione per sfuggire all'orrore della guerra.

Perché sia chiara una cosa: non è per salvare vite umane che questa guerra continua.

Chi sostiene il contrario è accecato dalla retorica che maschera la brutalità della guerra dietro parole come "difesa della libertà" o "sovranità nazionale". Ma la verità è che chi ha vissuto la guerra sa che nessun confine, nessuna bandiera, può giustificare la perdita di continua di migliaia e migliaia di vite umane.

Siamo arrivati a un milione di vittime fra morti e feriti, ucraini e russi, e sono troppi per fare altra retorica.

La Meloni se fosse in Ucraina non manderebbe un figlio a farsi ammazzare.

Una madre, un padre, metterebbero sempre la vita dei propri figli prima di ogni altra cosa.

Dobbiamo essere consapevoli che i confini, nel corso della storia, sono cambiati e continueranno a cambiare. Non sono sacri, non sono eterni, sono il risultato di scelte politiche, spesso violente, che tuttavia non dovrebbero valere più della vita umana quando il sacrificio diventa sproporzionato, insensato e - soprattutto - dettato da ragioni di prestigio internazionale. 

Poi ci sono i confini fittizi, come la Crimea, staccata dalla Russia e donata da Krusciov all'Ucraina quando questa era ancora nell'Urss. 

Ci sono le Isole Hawaii che fanno parte degli Stati Uniti nonostante la loro annessione sia stata  una violazione plateale delle regole del diritto internazionale. Chi volesse trovare pretesti per fare guerre ne troverebbe tanti. E scoprirebbe che i confini sono spesso arbitrari e frutto di atti di forza. Sono storicamente un imbroglio se si pensa che rispecchino i popoli e le loro effettive volontà. 

Avete presente Caporetto? Pensate che faccia parte dell'Italia? Assolutamente no: fa parte della Slovenia. E nessuno più parla italiano in quel paese che oggi si chiama Kobarid.

E allora? E' tutto un imbroglio. La storia è stata un imbroglio a partire dai sacri confini per finire alle montagne di morti. Questo dovremo dire il 4 novembre.

E l'Ucraina non sfugge all'imbroglio.

E allora che facciamo, lasciamo disegnare i confini al più forte?

Assolutamente no.

I confini dovrebbero essere frutto delle scelte dei popoli, scelte dal basso e non imposte dall’alto a suon di cannonate. Occorrerebbe definire procedure di diritto internazionale mediante un trattato che consenta alle popolazioni delle aree contese di esprimere la propria volontà sulla base ad esempio della sezione XII degli articoli 109 e 114 del Trattato di Versailles del 28 giugno 1919;

Fu fatto alla fine della Prima Guerra mondiale. 

E poi dopo la seconda guerra mondiale l'Europa è diventata un esempio virtuoso di attenuazione del valore dei confini fino a consentire la libera circolazione non solo delle merci ma anche delle persone.

Perché allora la guerra prosegue in Ucraina? 

La risposta si trova nel cuore del potere.

I leader della NATO non vogliono ammettere di aver subito una sconfitta, così come è accaduto in Afghanistan. Temono di perdere la faccia, di veder crollare il loro prestigio internazionale. Zelensky, dal canto suo, teme di perdere il potere che la guerra gli ha conferito, quel potere che oggi sembra tenere in scacco l’intero popolo ucraino chiamato alle armi. Per Putin, il discorso è altrettanto chiaro: è una questione di prestigio personale e di controllo geopolitico. E, non dimentichiamolo, è sul tavolo da tempo la questione della sicurezza, vera o presunta. Putin ha chiesto che la NATO non si avvicini ulteriormente ai confini della Russia.

E su questo non transige.

Tutte queste preoccupazioni – la geopolitica, il potere, il prestigio, l'orgoglio nazionale – hanno poco a che vedere con la vita delle persone. Mentre i potenti giocano a scacchi con le nazioni, le vittime continuano a crescere. 

L'opinione pubblica comincia a diventare pacifista istintivamente perché non vede sbocchi in questa catastrofe. E teme che la prosecuzione della guerra rastrelli anche le poche risorse che lo Stato dedica al sostegno della popolazione povera, alle necessità della scuola, e soprattutto alle cure mediche. Le file di attesa negli ospedali sono diventate sempre più lunghe quando invece il PNRR prometteva una migliore sanità. 

In Italia, l’ordine dei medici lancia un grido d’allarme: servono 10 miliardi per salvare il Servizio sanitario nazionale. Ma dove vanno i soldi? Aumentano le spese militari, su richiesta della NATO. La guerra persa dell'Ucraina ingoia enormi risorse che sarebbero sufficienti per eliminare la fame nel mondo (ogni tre secondi muore un essere umano per fame), una fame che sta drammaticamente crescendo negli ultimi cinque anni, come attestano i dati Onu. Ma i governi aiutano i mercanti di morte e spendono sempre di più per le armi. È assurdo pensare che, mentre si muore sempre più  di fame nel Sud del mondo, mentre on Italia i cittadini soffrono per la mancanza di cure, chi governa si affretti a spendere miliardi in armi.

E persino la sinistra europea - un tempo attenta alla pace e alla cooperazione internazionale - mostra gravi contraddizioni e perdita di identità su questi temi, su cui invece Papa Francesco richiama l'attenzione, per fortuna. 

Le contraddizioni stanno emergendo.

Persino la Germania, che ha una delle economie più forti d’Europa, sta cominciando a riflettere sulla guerra, dopo una sbornia di retoriche parole, e a rallentare l’invio di armi in Ucraina. Le fabbriche tedesche ciudono, il gas costa troppo, gli scambi commerciali con l'est si sono rarefatti. La Germania, persino la tetragona Germania, comincia a nutrire dubbi e preoccupazioni. Forse questo è un segnale. Forse possiamo ancora fermarci, possiamo ancora scegliere la via della pace al posto della resa dei conti finale. Non si tratta solo di fermare una guerra, ma di ripensare il valore della vita umana rispetto ai confini, alle bandiere, al potere.

Le guerre, nel corso della storia, hanno sempre distrutto più vite di quante ne abbiano salvate. E questa guerra non è diversa. Ai leader mondiali, ricordiamo che non saranno ricordati per i confini che avranno difeso (con le sofferenze degli altri), ma per le vite che avranno risparmiato o distrutto. Non è mai troppo tardi per scegliere la pace.

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