Ernesto Galli della Loggia sul "Corriere della Sera"

La guerra e le sue stragi come motore della democrazia occidentale

Per l'editorialista del Corsera "la democrazia europea occidentale è nata in una guerra terribile in cui il maggior numero dei morti si è verificato tra i civili: precisamente come oggi sta accadendo a Gaza e dintorni".
31 ottobre 2024

Corsivo di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 31 ottobre 2024

Dalla prima pagina del "Corriere della Sera", nell'edizione del 31 ottobre Ernesto Galli della Loggia ci dà un interessante caso di studio di propaganda bellica, con un articolo che vale la pena di esaminare in dettaglio a partire dalla sua tesi di fondo: la guerra è un male minore che serve alle democrazie, e ne è addirittura un elemento fondativo.

Il corsivo di della Loggia si apre con una domanda mal posta: "può un Paese democratico, com’è senza dubbio Israele, e sia pure nel corso di una guerra, usare la violenza in modi che spesso appaiono smisurati e perciò crudeli?"

Una domanda che va correttamente riformulata: "un paese democratico che aderisce alle carta dell'ONU può compiere azioni militari violando il diritto internazionale e umanitario, le convenzioni di Ginevra e tutte le disposizioni a tutela delle popolazioni civili in guerra?"

La risposta è molto semplice: in teoria no, in pratica sì, scegliendo di diventare uno stato canaglia e di porsi al di fuori della legalità internazionale, possibilmente evitando il vittimismo, il complottismo e le accuse infondate di antisemitismo (che aiutano gli antisemiti veri a nascondersi nel mucchio) se poi la legalità internazionale interviene con i suoi mezzi e i suoi tribunali per applicare le sanzioni previste in caso di crimini di guerra e crimini contro l'umanità.

Si passa poi alla lezione di storia: "la storia della democrazia — cioè la democrazia reale, non quella che a noi piace immaginare — mostra che essa ha spesso e volentieri (per non dire quasi sempre) praticato la violenza sia all’interno sia all’esterno dei confini".

Ma studiando anche la storia del diritto, e non solo quella militare, si scopre che non solo le democrazie, ma anche le monarchie, e anche le società antiche hanno sempre messo dei limiti all'uso della violenza e alle azioni di guerra, con codici d'onore, regole di ingaggio e trattati, fino al diritto internazionale e umanitario.

Il codice di Hammurabi del 1750 a.c. ha introdotto la "legge del taglione", con l'intenzione di evitare vendette e punizioni arbitrarie e sproporzionate, nel libro del Deuteronomio la Torah stabilisce che in guerra non si distruggono alberi e non si uccidono prigionieri, e per la professoressa di storia del diritto Luisa Bussi "dall’antico Testamento emerge lo sforzo straordinario del mondo antico per superare il puro esercizio della violenza bellica, istituzionalizzandola con norme fissate nel sistema religioso e filosofico e assoggettandola a principi giuridici".

Per Galli della Loggia "la democrazia europea occidentale, con i suoi diritti e le sue ottime costituzioni, non è nata da un referendum popolare o da un’assemblea di illuminati legislatori. È nata, se vogliamo stare ai fatti, dalla vittoria riportata dai «buoni» contro i «cattivi» in una guerra terribile in cui il maggior numero dei morti non si è verificato tra i soldati ma tra i civili. Sì, tra i civili: precisamente come oggi sta accadendo a Gaza e dintorni, se è permesso ricordarlo".

Non so a quale democrazia si riferisca Galli della Loggia, ma la mia è nata con la Costituzione Repubblicana fiorita sulle ceneri del fascismo, e con il suo articolo 11 che al primo comma ripudia la guerra e al secondo cede all'ONU (come parte di un un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni) la sovranità sulle questioni del peacekeeping (che ha una missione politica e militare diversa dalla guerra, anche se si fa con armi e soldati). La democrazia internazionale nasce con la Carta delle Nazioni Unite scritta per dire "mai più" di fronte alle tragedie del novecento e alle loro stragi di civili, nasce con la dichiarazione universale dei diritti umani, le convenzioni di Ginevra, le consuetudini e le norme del diritto internazionale, che oggi imporrebbero azioni diverse se si volesse nuovamente sconfiggere un regime a Dresda, Roma, Hiroshima o Nagasaki senza essere passibili di condanne per crimini di guerra.

Passando dalla storia alla cultura, l'editorialista afferma che "nessuno nel grande campo della democrazia europea, nessun intellettuale importante, nessun partito, nessun esponente religioso, che su quanto accaduto allora, sull’atto di nascita di una storia che fino a prova contraria è la nostra storia, abbia avuto qualcosa da ridire".

Ma sulla condanna dei crimini di guerra dell'occidente c'è stato un intenso lavoro intellettuale, storico, politico e giudirico, di intellettuali come Bertrand Russell, Simone De Beauvoir, Jean-Paul Sartre e Lelio Basso, che hanno animato con altre decine di uomini di cultura e premi Nobel le attività del tribunale popolare Russel-Sartre, che ha indagato sui crimini statunitensi della guerra in Vietnam, e anche in Italia restano tracce di un dibattito critico sull'evitabilità delle stragi di Hiroshima e Nagasaki, anche e soprattutto nell'ambito della critica al rischio di olocausto nucleare che ha visto protagonisti intellettuali come Norberto Bobbio e Alberto Moravia, che ha dedicato alle questioni del disarmo nucleare la sua attività di Europarlamentare, con discorsi e riflessioni oggi raccolte nel volume "L'inverno nucleare" (Bompiani).

Quanto agli esponenti religiosi, oltre alla guerra descritta come "follia" nell'era atomica da Papa Giovanni XXIII nella sua enciclica "Pacem in terris", a Galli della Loggia è sfuggito che don Lorenzo Milani parlava proprio del "delitto di Hiroshima" quando invitava i giovani a seguire la propria coscienza e disobbedire agli ordini di strage anche quando sono impartiti da un esercito convinto di essere l'esercito dei buoni che combatte la guerra giusta. Nel libro "L'obbedienza non è più una virtù" leggiamo che:

Un delitto come quello di Hiroshima ha richiesto qualche migliaio di corresponsabili diretti: politici, scienziati, tecnici, operai, aviatori. Ognuno di essi ha tacirato la propria coscienza fingendo a se stesso che quella cifra andasse a denominatore. Un rimorso ridotto a millesimi non toglie il sonno all'uomo d'oggi. E cosi siamo giunti a quest'assurdo che l'uomo delle caverne se dava una randellata sapeva di far male e si pentiva. L'aviere dell'era atomica riempie il serbatoio dell'apparecchio che poco dopo disintegrerà 200.000 giapponesi e non si pente. A dar retta ai teorici dell'obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell'assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore. C'è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile di tutto.

Dopo aver silenziato tutto il pensiero pacifista del novecento, assieme agli intellettuali, i partiti politici e gli esponenti religiosi che lo hanno sostenuto, Galli della Loggia chiude con una affermazione perentoria il suo teorema di legittimazione di una campagna militare su cui stanno indagando per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità i più alti tribunali internazionali del mondo. E conclude: "il nostro giudizio sui conflitti che coinvolgono i popoli e gli Stati, da storico e politico che era in precedenza ha preso sempre di più un carattere diverso. Sempre di più si è tramutato in giudizio etico-giuridico".

Legittimare l'omicidio affermando un giudizio STORICO e POLITICO che prescinde dal DIRITTO e dall'ETICA: è questo che accomuna sul piano dialettico e culturale (al netto di ogni diversità sul piano politico, morale e penale) tutte le organizzazioni politiche, estremiste, mafiose, terroristiche e militari che prosperano sulla violenza.

In questa propaganda della "violenza giusta anche se stragista, illegale e immorale" molti intellettuali scelgono di mischiarsi nello stesso calderone di chi pratica oggi e ha praticato in passato la "violenza giusta" scegliendo un contesto diverso dal "Corriere della Sera" e strumenti diversi dalle acrobazie logiche, storiche, fattuali e concettuali. Il cerchio si chiude e si stringe, diventando un punto nero nel quale si ritrovano tutti coloro che si ostinano a celebrare le gesta di chi ha premuto un grilletto, un pulsante di un bombardiere o il telecomando di un drone pensando che in quel momento fosse la cosa più giusta da fare per scrivere una bella pagina di storia o una nobile pagina di lotta politica.

A tutti loro, come alle persone fuorviate dalla loro propaganda, va indicata una via d'uscita dal nichilismo del pensiero bellico, stragista, patriarcale, mafioso e fascista, una possibilità di risveglio dall'illusione del dominio militare e dall'inganno di chi pensa di poter fare la pace con la guerra, la giustizia con l'arbitrio, la lotta al terrorismo col terrorismo di stato.

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