L'attacco ai giudici della presidente del Consiglio Giorgia Meloni

Quando la legge diventa un ostacolo

L'attacco diretto all’autonomia della magistratura, un pilastro dello Stato di diritto, rivela una concezione dello Stato sempre più sbilanciato verso l’accentramento sul potere esecutivo. Ma oggi non basta più dire che tutto ciò è inaccettabile. Bisogna opporsi, denunciare, mobilitarsi.
31 gennaio 2025

Le parole di Giorgia Meloni contro la magistratura – "se vogliono governare si candidino" – suonano come un campanello d’allarme per chiunque abbia a cuore il principio della separazione dei poteri. Separazione dei poteri

Un attacco diretto all’autonomia della magistratura, un pilastro dello Stato di diritto, che rivela una concezione dello Stato sempre più sbilanciato verso l’accentramento sul potere esecutivo.
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La magistratura, concede la premier, è «una colonna portante della nostra Repubblica».

Ma poiché «nessun edificio si regge su una colonna sola, quando un potere dello Stato pensa di poter fare a meno degli altri il sistema crolla». Segue provocazione, con risata sarcastica: «Se alcuni giudici vogliono governare si candidino alle elezioni... L’unica cosa che non si può fare è che loro governano e io vado alle elezioni. Non accetterebbe nessuno».

Accuse che cadono nelle stesse ore in cui FdI martella verbalmente il procuratore Lo Voi, con una vera e propria campagna mediatica. Una nota durissima del partito della premier ricorda che «colui che ha emesso l’avviso di garanzia» per i membri del governo «aveva in passato utilizzato il volo di Stato per ragioni di sicurezza per spostarsi da Roma a Palermo» e che il sottosegretario Alfredo Mantovano aveva stoppato quella possibilità. Per la vice capogruppo Augusta Montaruli «ci vuole una bella faccia tosta», avendo lo stesso pm ipotizzato il peculato per il rimpatrio del capo della polizia giudiziaria libica». FdI parla di «vicenda imbarazzante» e chiede chiarezza a Lo Voi, rimproverandogli di avere «una duplice faccia».

L’attacco arriva anche dal Csm. I consiglieri laici del centrodestra, Bertolini, Eccher, Bianchini, Aimi e Giuffré, chiedono che Lo Voi sia sanzionato per aver iscritto nel registro delle notizie di reato i quattro esponenti del governo. L’accusa, in sostanza, è che si sia mosso arbitrariamente e in contrasto con il Codice di procedura penale.

Continua sul Corriere della Sera 31.1.2025

Ma il caso che più di tutti dimostra il cortocircuito di questo governo con la giustizia internazionale riguarda la decisione di non arrestare un pericoloso criminale libico, nonostante una richiesta della Corte Penale Internazionale. Il soggetto in questione, implicato in gravissimi crimini contro l’umanità, è stato rimpatriato in Libia invece di essere consegnato alla giustizia. La stessa Libia con cui l’Italia collabora per fermare i migranti con tutti i mezzi. La stessa Libia in cui i centri di detenzione sono noti per le torture, gli stupri e le uccisioni extragiudiziali. Una Libia dove i criminali prosperano e collaborano con le direttive di trattenimento dei migranti nei lager, mentre chi fugge da quei crimini viene ricacciato indietro con il beneplacito di Roma.

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'Certe toghe vogliono governare'. Anm: 'Noi non facciamo politica'. Tajani contro la Cpi, 'tanti errori'

L'avviso di indagine della Procura di Roma sul caso Almasri ha fatto "un danno alla nazione".

Ed è l'esempio di come "un pezzetto di magistratura" vuole "governare", ma "allora si candidino: non si può fare che loro governano e io vado alle elezioni". Se le sono arrivati suggerimenti, politici e legali, a scegliere toni prudenti, Giorgia Meloni non li segue.

Tesi confutate dall'Anm: 'I magistrati non fanno politica, sarebbe auspicabile che i politici non provassero a sostituirsi ai magistrati, lasciando loro il compito istituzionale di esaminare e valutare gli atti processuali senza impropri condizionamenti", replica il segretario generale dell'Associazione Salvatore Casciaro.

Continua su ANSA 30.1.2025

Questa è la regola che si sta consolidando: tollerare il disumano. Chi gestisce lager e sevizie nei centri di detenzione libici non viene arrestato, ma rimandato a casa, mentre chi denuncia quei crimini, chi soccorre in mare, chi chiede giustizia, diventa il vero nemico del governo.

Ma c’è un punto ancora più inquietante: quando viene meno la cultura di base per un uomo di governo – ossia la concezione della tripartizione dei poteri – anche la scuola e la cultura diventano un ostacolo da abbattere. Un potere senza regole e senza controlli non tollera la magistratura, ma nemmeno l’istruzione e il pensiero critico. Si comprende allora il disinteresse per l’istruzione pubblica, il taglio - a tutto vantaggio delle spese militari - dei fondi per la scuola e l’università statale, considerate un costo piuttosto che una risorsa.

Non è un caso che, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, i magistrati abbiano manifestato il loro dissenso portando con sé, oltre alla toga, anche la Costituzione. Un gesto simbolico e potente, a sottolineare che il rispetto della Carta costituzionale non è negoziabile. Quando un governo delegittima la magistratura e ne attacca l’indipendenza, sta minando le fondamenta della democrazia stessa.

In un Paese normale dove i processi si fanno nei tribunali e non nelle dirette social, e dove la giustizia non è un fastidio ma una garanzia, tutto questo sarebbe inaccettabile. Ma oggi non basta più dire che è inaccettabile. Bisogna opporsi, denunciare, mobilitarsi. Perché quando un governo disconosce le regole dello Stato di diritto, non è più un potere limitato dalle leggi ma è un potere legibus solutus, ossia un potenziale pericolo per la democrazia.

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