Perche' torniamo a Genova (assieme ai poliziotti)
Un anno fa, per conto dell'associazione PeaceLink, assieme ad altri "volontari dell'informazione" delle riviste "Altreconomia" e "Nigrizia", sono stato a Genova per raccontare la ricchezza dei dibattiti e delle proposte del "public forum" che ha chiamato a raccolta la societa' civile internazionale, per dire che in alternativa alla politica degli otto paesi piu' ricchi del mondo esistono moltissime altre scelte possibili, e probabilmente piu' efficaci. Dopo la grande speranza rappresentata dal pacifico e colorato "corteo dei migranti" di giovedi' 19 luglio, ci siamo purtroppo ritrovati a respirare il fumo di lacrimogeni proibiti dalle convenzioni internazionali (che hanno danneggiato tutti tranne gli "otto grandi"), e abbiamo dovuto salvarci dalle varie forme di violenza incontrate per le strade della "citta' blindata". La notte di sabato 21 luglio, quando tutto sembrava ormai finito, i nostri cellulari sono stati letteralmente bombardati dalle telefonate allarmate e preoccupate di amici e conoscenti: "correte alla scuole di via Cesare Battisti, sta accadendo qualcosa di incredibile". Il buio di quella notte e' stato reso ancora piu' oscuro da tutta la violenza consumata nella scuola Pertini, ribattezzata "scuola Diaz" dai mezzi di informazione, che hanno utilizzato il vecchio nome dell'istituto riportato sulla facciata.
Questo episodio dovra' essere chiarito dalla magistratura nei prossimi mesi, ma gia' da oggi puo' essere valutato con dati crudi ed espliciti: per effettuare 93 arresti (80 dei quali non sono stati convalidati dall'autorita' giudiziaria, che ha disposto misure di custodia cautelare solo per uno dei rimanenti tredici arrestati), ci sono stati 62 feriti, tre prognosi riservate, polmoni sfondati, arcate dentali mandate in frantumi e tanto, troppo sangue, quel sangue che tutte le persone presenti a Genova in quei tragici momenti (me compreso) hanno potuto vedere sui muri, sui pavimenti, sui termosifoni e sui mobili della scuola Pertini. A partire da quei giorni e' iniziato un percorso di ricerca, di riflessione e di documentazione. Questo lavoro lento e meticoloso, lontano dai tempi rapidi della cronaca e dell'informazione "usa e getta", e' partito con una raccolta di testimonianze dettagliate, consegnate dall'associazione PeaceLink al segretariato internazionale di "Amnesty International", che ha utilizzato questo materiale per il suo lavoro di indagine sui fatti di Genova e per il rapporto annuale 2001 sul rispetto dei diritti umani nel mondo. La raccolta di dati, documenti, immagini, filmati e testimonianze e' continuata per un anno intero, e questo lavoro culminera' tra poche settimane con un libro-inchiesta che sara' uno strumento in piu' per capire cosa e' successo a Genova in quei giorni cosi' intensi e frenetici.
Un'altra tappa di questo percorso e' un incontro che PeaceLink, assieme alla redazione di "Altreconomia", ha organizzato per il prossimo 14 luglio, un incontro pubblico con i ragazzi che hanno vissuto direttamente l'esperienza di quella notte: alcuni di loro li abbiamo incontrati in questi mesi in giro per l'Italia, con gli altri (anche i ragazzi stranieri) abbiamo cercato di metterci in contatto. Molti di loro verranno, e con la loro presenza e le loro testimonianze ci faranno capire in un incontro dal vivo molte piu' cose di quelle che abbiamo letto sui giornali. E, insieme a loro, abbiamo invitato alcuni sindacalisti di polizia, perche' crediamo che sia importante costruire nuovi canali di dialogo fra la societa' civile e le forze dell'ordine, e stabilire uno spazio di confronto e di approfondimento sul percorso storico di democratizzazione e smilitarizzazione della polizia, sulla ricerca di nuovi percorsi di formazione e di prevenzione della violenza.
Questo incontro non sara' una superficiale iniziativa di buonismo, o un "lieto fine" forzato dove tutto si risolve con una stretta di mano, ma sara' un tentativo intelligente e lucido di dare una risposta ad una semplice domanda: cosa potrebbe mettere maggiormente in crisi i meccanismi della violenza, ostacolando chi ha tratto vantaggio in questi mesi dal conflitto tra cittadini e polizia, tra polizia e magistratura, tra magistratura e politica? Forse la cosa piu' "scomoda" e allo stesso tempo piu' efficace da fare, e' agire direttamente all'interno del problema, valorizzando i poliziotti che, tra l'ostracismo dei colleghi e le critiche generiche di un'opinione pubblica poco allenata a distinguere le varie "anime" della polizia di stato, si impegnano per affermare l'idea di una polizia meno militarizzata e piu' vicina ai cittadini, meno violenta e piu' professionale. Non si tratta di "vittime" che incontrano i loro "carnefici", ma di un momento per dire le cose che i giornali non hanno detto e per descrivere l'esistenza di un'altra polizia, che sta lavorando affinche' le cose possano cambiare.
Assieme ai ragazzi della scuola e ai rappresentanti della polizia ci saranno anche magistrati, sociologi, esponenti del movimento nonviolento e giornalisti, accomunati dalla voglia di dare una risposta complessa, che puo' nascere solamente dall'incontro tra cittadini, polizia, magistratura e politica, ai complessi problemi che hanno portato all'attrito tra queste diverse componenti della societa'.
Ci incontreremo a Genova non solo per ricordare e raccontare cosa e' successo nella notte di quel sabato, ma anche per verificare lo stato di attuazione del progetto di legge volto ad introdurre nel percorso formativo delle forze dell'ordine la conoscenza del metodo nonviolento e delle tecniche comunicative psico-sociali di gestione della piazza, per cercare nuove idee, proposte e soluzioni che permettano in futuro di isolare e prevenire tutte le forme di violenza che compromettono l'incolumita' dei manifestanti pacifici e la dignita' dei poliziotti onesti.
Il fatto che siano stati proprio i ragazzi feriti ad aver accettato con interesse di raccontare se stessi e il proprio vissuto in un incontro pubblico a cui parteciperanno esponenti delle forze di polizia da' a questa iniziativa un valore aggiunto che fa sperare in un cambiamento vero e concreto. Non si tratta di un "incontro tra reduci", ne' di vittimismo, ne' della voglia di leccarsi semplicemente le ferite. Si tratta di colpire la violenza dove meno se l'aspetta, con fermezza e determinazione ma anche con intelligenza, sbilanciandola e mettendola in crisi con la dolcezza di un incontro, fermo ma non rabbioso, indignato ma non distruttivo, tranquillo ma non silenzioso, un incontro che portera' in una stessa stanza un gruppo di ragazzi pieni di cicatrici e alcuni poliziotti che rappresentano la parte piu' attenta e democratica delle forze dell'ordine. Questi poliziotti hanno bisogno di sostegno per continuare ad andare controcorrente e scardinare dall'interno i meccanismi che lasciano spazi aperti alla violenza e quei comportamenti sbagliati che danneggiano tutti, non solo chi ha subito violenza gratuita.
Tra i partecipanti all'incontro ci saranno anche Lorenzo Guadagnucci, il giornalista del "Resto del Carlino" uscito in barella dalla Scuola Pertini, e Marco Poggi, l'infermiere penitenziario costretto ad abbandonare il suo lavoro presso il carcere di Bologna, dopo aver denunciato le violenze perpetrate nella caserma di Bolzaneto da quella che lui definisce "una minoranza di delinquenti che danneggiano i loro colleghi onesti". Una delle cose che mi ha colpito di piu', durante la mia raccolta di testimonianze sui fatti di Genova, e' stato sentire Lorenzo che durante un incontro pubblico, con il suo corpo marchiato per sempre dalle cicatrici e dalle manganellate e con una accusa di associazione a delinquere ancora in sospeso, dichiarava fermamente che "io voglio avere fiducia nelle forze dell'ordine", facendoti capire che la sua non e' una illusione o pia intenzione di una anima bella, ma l'ostinata rivendicazione di un diritto che ci spetta in quanto cittadini: il diritto di poterci fidare ciecamente della nostra polizia.
Probabilmente la polizia in cui crede Lorenzo, e in cui vogliamo poter credere tutti, e' quella descritta dal maestro della nonviolenza Mohandas Gandhi in uno scritto del 1940, dove Gandhi afferma che "ho ammesso che anche in uno stato nonviolento potrebbe essere necessaria una forza di polizia. [...] Non ho il coraggio di affermare che potremo fare a meno di una forza di polizia come lo affermo riguardo all'esercito. [...] La polizia che io concepisco, tuttavia, sara' di tipo totalmente diverso da quella oggi esistente. Le sue file saranno composte da seguaci della nonviolenza. Questi saranno i servitori e non i padroni del popolo. Il popolo dara' loro spontaneamente tutto il suo aiuto e grazie alla reciproca collaborazione, essi saranno in grado di far fronte con facilita' ai disordini, che saranno peraltro in continua diminuzione. [...] Di fatto i poliziotti saranno dei riformatori. Il lavoro della polizia riguardera' essenzialmente i ladri e i banditi. I conflitti tra il lavoro e il capitale e gli scioperi in uno stato nonviolento saranno pochi e sporadici, poiche' l'influenza della maggioranza nonviolenta sara' tanto forte da imporre il rispetto delle componenti fondamentali della societa'".
Il 14 luglio invitiamo a Genova tutti coloro che vorranno condividere con noi la speranza in una societa' dove i "poliziotti riformatori", seguaci della nonviolenza, possano costruttivamente collaborare con i cittadini per risolvere i conflitti tra il lavoro e il capitale, tra gli interessi di otto paesi e le necessita' di tutto il mondo, tra la voglia di cambiare in meglio e la resistenza al cambiamento. Forse saremo in pochi, ma di certo non saremo soli.
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