Poliziotti che picchiano, poliziotti che difendono

28 aprile 2002

Ho due amici: Gianni che e' difeso dai poliziotti, Salvatore che e' stato
picchiato. Il primo fa parte di Libera e ha promosso coraggiose iniziative
per la confisca dei beni ai mafiosi: ora passa la volante sotto casa sua
per proteggerlo. Il secondo - uno psicologo gentile che organizza corsi per
educare alla democrazia e al dialogo - fa parte di Attac. Lui un anno fa
era a Napoli, alla manifestazione antiglobalizzazione del marzo 2001. Li'
venne ripetutamente colpito al capo mentre cercava di spiegare (invano) ai
poliziotti che accanto a se' aveva un disabile. Ma perche' stavano li', se le
stavano cercando le mazzate? La verita' e' che non potevano fuggire, erano
state bloccate dalla polizia tutte le vie di fuga e i manifestanti si
aspettavano solo di ricevere delle botte che sono puntualmente arrivate con
un'insolita violenza. Questo mio amico - colpito a sangue mentre copriva
con il suo corpo il disabile - ha rischiato di finire sulla sedia a
rotelle. Non tutti i manifestanti erano pacifici, ma Salvatore lo era di
sicuro. Allora non c'era la "polizia cilena" di cui ha parlato D'Alema dopo
il G8: c'era il centrosinistra al governo. La notizia del poliziotti
arrestati a Napoli per le violenze compiute in quella giornata napoletana
ci obbliga pertanto ad un riesame piu' generale dei sistemi di addestramento
dei poliziotti che non sembrano essere variati con il variare dei governi e
del loro orientamento politico.

L'arresto dei poliziotti puo' scandalizzare chi non sa o fa finta di non
sapere cosa e' avvenuto un anno fa a Napoli. La solidarieta' manifestata dai
quei poliziotti che si sono platealmente ammanettati e hanno inveito contro
la magistratura non fa che avvelenare gli animi.
Noi nonviolenti che ruolo possiamo svolgere in questa circostanza? Dobbiamo
saper compiere la paziente opera di chi vuole e sa distinguere, in una
impopolare ma benefica azione di dialogo.
Non possiamo "mettere insieme" chi ha picchiato Salvatore chi ora protegge
Gianni. Dobbiamo distinguere il poliziotto che picchia e il poliziotto che
difende, il poliziotto che scredita lo Stato democratico e il poliziotto
che lo incarna.

Noi sappiamo quanto e' importante l'azione delle forze dell'ordine in citta'
a forte penetrazione mafiosa. La presenza e l'efficace azione di contrasto
degli uomini in divisa e' premessa di legalita', e' la base stessa per parlare
di partecipazione democratica e di rottura delle logiche dell'omerta'. Ecco
perche' smarrire il dialogo significa smarrire la prospettiva stessa di
vittoria comune contro i poteri mafiosi. Ma proprio perche' abbiamo a cuore
la legalita' non possiamo non tacere sull'addestramento dei poliziotti, un
addestramento che sembra sottrarsi - almeno per alcuni aspetti essenziali
concernenti l'uso della forza - al controllo democratico.
Faccio un esempio.

Un breve ma interessante filmato di Alberto Angela del 13 aprile scorso ci
ha fatto scoprire le analogie di addestramento fra le legioni romane e le
squadre di polizia nella gestione degli "scontri di piazza". Come spiegava
il barbuto figlio di Piero Angela, i legionari romani dovevano avanzare
contro i barbari battendo sullo scudo ritmicamente la spada e cercando di
incutere paura al nemico; il filmato riprendeva gli istruttori di polizia
nel fare lo stesso. "Dobbiamo incutere paura", diceva l'istruttore in tuta
nera nel cortile di addestramento, mentre in aula, li' dove si fa la
"teoria", un altro poliziotto istruttore sorridente spiegava con chiarezza:
"Chi ci sta di fronte deve pensare che siamo bestie. Ma noi dobbiamo sapere
che siamo bestie addestrate". Il filmato era relativo all'addestramento
della polizia francese e sarebbe interessante sapere se in Italia vengono
applicati gli stessi principi con cui i legionari romani si addestravano
per ricacciare indietro i barbari.

Cosi' come per i programmi scolastici anche per i programmi di addestramento
dei poliziotti occorre un controllo popolare, una supervisione e
un'approvazione che in ultima istanza deve toccare chi ha ricevuto un
mandato democratico. A noi personalmente non e' dato conoscere questi
programmi di addestramento, ed e' grave. I manifestanti non sono barbari da
ricacciare indietro e la funzione dei poliziotti deve essere quella di
proteggere le persone e non di "punirle". Qualunque sia la manifestazione a
cui partecipano, giuste o sbagliate che siano le loro idee (ma chi puo'
giudicare le idee?), le persone che i poliziotti hanno di fronte sono
cittadini da proteggere e da rispettare. E' qui la differenza fra un'azione
di guerra (come quella che conducevano i legionari romani) e un'azione di
polizia. L'azione di guerra ha come fine la sconfitta del nemico e la sua
capitolazione. L'azione di polizia ha l'obiettivo di difendere i cittadini,
la loro sicurezza e i loro beni. L'azione di guerra aumenta la violenza
fino a piegare l'avversario, l'azione di polizia riduce la violenza usando
la forza come mezzo di protezione della societa'; l'esercito obbedisce ad
una logica violenta, la polizia deve obbedire ad una logica nonviolenta.
Ecco perche' Gandhi nella nuova India indipendente non voleva l'esercito ma
voleva la polizia.

Oggi, di fronte al clamore degli arresti, dobbiamo saper uscire dalla
logica della contrapposizione per chiedere - assieme ai poliziotti piu'
sensibili e democratici - che l'addestramento venga riformato e comprenda
anche quei principi di formazione nonviolenta che mirano a proteggere i
cittadini e non a "ricacciare indietro i barbari".

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