Attenti ai boicottaggi di Umberto Eco
Il 20 aprile 2002 e' apparso su Repubblica un articolo di Umberto Eco intitolato: lo sciopero dei consumatori della pasta Cunegonda. L'articolo con buone argomentazioni invita gli utenti delle reti Mediaset a boicottare i prodotti pubblicizzati, annotando meticolosamente sul proprio taccuino gli spot trasmessi, allestendo banchetti per le strade per raccogliere le firme di chi s'impegna. La finalita' di tutto cio' dovrebbe essere riuscire a difendere il proprio diritto all'informazione, continuando a guardare le reti Mediaset, e manifestare il proprio dissenso nei confronti dell'attuale monopolio televisivo andando a incidere sugli interessi economici del gran monopolista. Perche', afferma Eco, a un governo azienda non si risponde con le bandiere o le idee (?), ma puntando sul suo punto debole, i soldi. L'appello e' stato immediatamente raccolto da alcuni e ha visto nascere in pochi giorni gruppi di persone che hanno fatto proprio l'invito e hanno dato vita ad alcuni siti web di sostegno allo sciopero e hanno spedito e-mail e lettere di "diffida" ad alcune delle aziende incriminate.
Dubito che il professor Umberto Eco non conosca le esperienze gia' maturate nel nostro paese delle campagne di boicottaggio commerciale. Ce ne sono state parecchie, contro la Nestle', la Monsanto, la Shell, la Chiquita, la Nike, la Reebook per citarne alcune, tutte nate per protestare contro specifici metodi scorretti dell'azienda: sfruttamento del lavoro minorile, non applicazione dei diritti sanciti dall'Ilo, violazione delle norme dell' Oms. Tutte campagne dunque dirette, specifiche, mirate. Portate avanti tra mille difficolta', a volte con buon successo a volte miseramente cadute nel dimenticatoio. Una di queste, che ebbe un discreto successo, fu rivolta proprio contro l' attuale Presidente del Consiglio. Era la fine del 1993 e la costituzione del Bo.Bi. (Boicotta il Biscione) individuava il boicottaggio come forma di protesta verso colui che attraverso il proprio potere economico e mediatico si accingeva a orientare la politica italiana. Standa, Mondadori e reti televisive furono il bersaglio del boicottaggio. Solo la Standa risenti' in qualche modo di questa azione, anche se vi fu un lieve calo degli ascolti. Certamente sarebbe inesatto affermare che il boicottaggio obbligo' il Cavaliere a vendere la Standa nel 1998, ma altrettanto certamente nessuno puo' negare che questa azione non influi' nel fatturato. Nulla di nuovo quindi nella proposta di Eco, se non la strategia. Infatti la proposta di Eco non individua un obiettivo ben preciso interno alla galassia degli interessi di Berlusconi (Mondadori, Mediolanum, Blockbuster, Medusa film per citarne alcuni), ma i suoi clienti pubblicitari. Possibilmente tutti. O meglio forse nella proposta di Eco l'obiettivo e' Publitalia. E allora c'e' da chiedersi come si comportera' la Sipra, l'unico competitor televisivo di Publitalia, di proprieta' Rai, controllata dall'attuale maggioranza parlamentare, controllata... dal Monopolista.
Come detto pero' l'iniziativa e' piaciuta subito a molte persone e sono nati nel giro di pochi giorni alcuni siti web dedicati alla pasta Cunegonda. Su due di questi viene proposta anche una lista di aziende da boicottare. Alla pagina http://core.freespeechsite.com/home.html il CORE (invito al COnsumo REsponsabile) e raggiungibile anche dal sito del BoBi (http://www.bobi2001.it) propone una lista delle 15 aziende maggiormente presenti negli spot televisivi e i relativi prodotti. Il progetto Valanga invece, alla pagina http://it.geocities.com/provalanga propone solo cinque aziende. La scelta dovrebbe essere sempre la presenza negli spot Mediaset. Dico dovrebbe perche' paradossalmente 2 aziende presenti in quest'ultima e piu' restrittiva lista, non lo sono in quella piu' lunga.
Ma e' veramente credibile una campagna di boicottaggio cosi' estesa? Qualcuno puo' veramente pensare che guardando i fatturati di vendita qualche azienda possa accorgersi di un boicottaggio cosi' ampio e modificare il proprio rapporto con Publitalia?
Si'. Anzi qualcuno, come "Il Movimento Cunegonda Italia" (http://web.cheapnet.it/cunegonda/) composto da volontari tra cui "esperti in comunicazione e pubblicita' e docenti presso universita' italiane ed estere", ovviamente anonimi, sostiene che e' sufficiente "rendere controproducenti le pubblicita' trasmesse dalle reti Mediaset: solo allora, forse, Berlusconi si decidera' a scegliere tra le cariche pubbliche e l'amministrazione dei suoi beni personali." Stranamente questi Esperti pubblicitari non ritengono che boicottare direttamente le aziende del cavaliere possa produrre effetti. Ritengono invece piu' utile indicare la Fiat come casa automobilistica da boicottare, sebbene preceduta in questa speciale classifica da altre case, come la Renault, perche' "a causa della grave crisi che la sta colpendo, ha molto da perdere anche in una lieve diminuzione dei suoi introiti". Chissa', forse un effetto della grave crisi Fiat potrebbe essere la vendita di quote di HDP e quindi, del Corriere della Sera che, a proposito di liberta' di informazione, pare ambito da investitori vicini al governo-azienda.
Ed e' qui il nocciolo della questione: perche' scegliere la strada piu' difficile e dispendiosa, come quella proposta, anziche' scegliere di boicottare uno o due prodotti dell'impero di Berlusconi? Forse solo per comprendere la capacita' di incidere nei fatturati da parte del "movimento". Perche' non esprimere la propria protesta decidendo di non aprire o di chiudere il proprio conto corrente presso la Mediolanum? Perche' non restituire le tessere Blockbuster allegate a una lettera in cui si dice: "Visto come il vostro azionista di riferimento utilizza il monopolio televisivo ho deciso di non utilizzare piu' i vostri servizi". Perche' non smettere di acquistare libri Mondadori? In fondo gia' qualche autore ha deciso di abbandonare questa casa editrice proprio perche' di proprieta' di Berlusconi. In fondo se, come afferma Eco, il punto sensibile del governo azienda sono i soldi, queste strade porterebbero a incidere direttamente sul suo fatturato.
Ma forse l'articolo di Eco, e soprattutto le iniziative sorte, non sono nient'altro che un laboratorio di studio di sociologia della comunicazione, e questa e' solo la piu' benevola delle ipotesi.
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