Cinque richieste al governo Berlusconi
Dopo una campagna elettorale fortemente basata sul concetto di legalità, non sarebbe una cattiva idea affermare questa legalità anche nel sul piano internazionale, destinando una quota pari allo 0,7% del PIL ad iniziative di cooperazione internazionale per favorire lo sviluppo dei paesi impoveriti, così come è previsto dal capitolo 33 dell'Agenda 21, il programma d'azione per lo sviluppo umano e ambientale concordato dalle Nazioni Unite nel 1992 a Rio de Janeiro in occasione del "Vertice della Terra". Tra i 170 paesi firmatari dell'"Agenda 21" c'è anche l'Italia, che attualmente dedica a paesi in via di sviluppo meno dello 0.1% del PIL.
Un altro impegno sottoscritto dall'Italia riguarda la scuola e il settore dell'educazione. Nei programmi scolastici delle scuole di ogni ordine e grado andrebbero inserite delle attività di educazione alla Pace e alla Nonviolenza, in ottemperanza alla risoluzione approvata dall'assemblea generale delle Nazioni Unite il 19 novembre 1998, con la quale il decennio che va dal 2001 al 2010 è stato proclamato "Decennio internazionale per la Cultura della Pace e della Nonviolenza per i bambini del mondo".
Oltre all'emanazione di nuove leggi, al Governo entrante va chiesto anche il rispetto e la valorizzazione di quelle già esistenti. In particolare sarebbe auspicabile dare inizio ad una attività continuativa e capillare di monitoraggio e di controllo del commercio, della produzione e dell'esportazione delle armi prodotte in italia, secondo le norme introdotte con la la legge 185/90, e che i dati ottenuti in seguito a questa attività di controllo vengano resi di pubblico dominio.
Nonostante i divieti contenuti nella legge 185/90, nella lista dei nostri "clienti" figurano paesi come Turchia, Algeria, Cina, Brasile, Arabia Saudita, India, Indonesia e Pakistan, più volte segnalati per ripetute violazioni dei diritti umani fondamentali. Purtroppo finora non sono bastati i rapporti annuali di Amnesty International e le segnalazioni di ONG e organizzazioni umanitarie per classificare questi paesi come "repressivi o aggressivi", vietando di conseguenza l'esportazione di armi italiane verso questi paesi.
Per quanto riguarda la difesa del Paese e la prevenzione dei conflitti sarebbe interessante conoscere il parere del nuovo Ministro della Difesa in merito alla raccomandazione sull'istituzione di un Corpo di Pace Civile Europeo (CPCE), approvata dal Parlamento Europeo nella seduta del 10 febbraio 1999 e rimasta finora lettera morta. Nel testo della raccomandazione approvata si legge, tra l'altro, che "iI ruolo potenziale dei civili nel campo della prevenzione e della soluzione pacifica dei conflitti deve essere ancora valutato in tutti i suoi elementi. Al termine di una missione militare per il mantenimento della pace si registra spesso una recrudescenza del conflitto, in quanto le ragioni interne che sono state all'origine della violenza non sono state pienamente affrontate e risolte. La risposta militare, per quanto necessaria per porre fine al confronto violento. non è sufficiente a creare un'effettiva riconciliazione tra le parti".
L'ultima richiesta fare al nuovo Governo, senza aggiungere nulla a quanto non sia già stato deliberato in altre sedi, potrebbe essere l'affermazione del diritto di obiezione di coscienza alle spese militari, con forme di opzione fiscale che consentano ai cittadini di scegliere se finanziare attraverso le imposte la difesa armata o la difesa non armata, in ottemperanza agli impegni già assunti dal Governo della Repubblica il 14/4/98, data di approvazione di una raccomandazione con cui il Governo si è impegnato a "studiare forme per rendere possibile ai cittadini contribuenti, analogamente a quanto previsto per i cittadini sottoposti all'obbligo di leva, il diritto soggettivo all'obiezione di coscienza, prevedendo forme di finanziamento al servizio civile e alla difesa non armata e nonviolenta previste dalla nuova legge sull'obiezione di coscienza".
Tutte queste sembrano utopie, ma sono documenti già firmati e sottoscritti dal nostro Paese. Quello che manca è solamente la volontà politica di trasformare queste parole, rimaste per troppo tempo ferme sulla carta, in azioni concrete di governo. Chiediamo troppo?
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