Grauso e l’incetta di domini: una storia gia’ scritta
La liberalizzazione dei domini italiani e` stata, in prima istanza, promossa dalla Naming Authority per favorire i possessori di Partita IVA, ovvero le attivita' commerciali che, a gran voce, chiedevano una modernizzazione liberale delle regole di registrazione, ed e' stata estesa, grazie anche a nostre pressioni, agli Enti Pubblici ed alle Associazioni dotate PIVA o Codice Fiscale. Grazie a tale liberalizzazione e' stato reso finalmente possibile, anche in Italia, registrare infiniti domini per ciascuna entita' registrante: fino al 15 dicembre ogni azienda, attivita' commerciale, ente pubblico o associazione poteva infatti registrare un solo dominio di tipo .it.
Per di piu' la Naming italiana ha concesso anche ai privati cittadini, la possibilita' di registrazione di un proprio dominio (uno solo).
Tutto all'apparenza improntato ai massimi principi di liberta' e democrazia ... se non fosse che:
- nonostante una chiara decisione dell'ultima assemblea della Naming Authority, che stabiliva a maggioranza dei votanti di concedere anche alle "associazioni di fatto" (prive di CF o PIVA) la possibilita' di registare infiniti domini, su tale possibilita' e' stato posto un veto del presidente; il veto si basa su contorte e pretestuose motivazioni di cui ne riportiamo alcune:
- nel caso delle associazioni di fatto non sarebbe possibile identificare con certezza l'entita' registrante (riteniamo basterebbe il Codice Fiscale di un rappresentante dell'associazione stessa);
- si dovrebbe riservare un dominio di secondo livello solo a questa tipologia di associazioni, ad esempio del tipo "org.it" (perche' mai sbattere le associazioni di fatto su un dominio di terzo livello?);
- le asociazioni di fatto sarebbero solo entita' fantasma create per registrare abusivamente domini (l'ipocrisia di affermazioni simili e' tutta dimostrata dalla clamorosa incetta di queste ore operata da svariati possessori di partita IVA);
- dal 15 dicembre al 15 gennaio alle associazioni di fatto, che fino a quel giorno potevano accedere al TLD .it, e' stata bloccata la possibilita' di registrare domini .it, evidentemente per non "ostacolare" il lavoro della Registration Authorithy italiana (che in Italia si occupa di registrare i domini), ente che avrebbe dovuto cosi' smaltire esclusivamente il fiume di richieste di registrazioni commerciali pervenute dopo la liberalizzazione;
- ai privati cittadini e' stata negata, al pari delle associazioni di fatto, la possibilita' di registrare il proprio dominio fino al 15 gennaio (le regole che concedevano questa possibilita' partivano appunto da tale data);
- non e' stata introdotta, nel nuovo regolammento della Naming, nonostante nostre svariate sollecitazioni, alcuna norma che dissuadesse gli accaparratori di domini (i famosi "squatters") dal fare incetta selvaggia di nomi altrui. Un marchio non e' nei fatti equiparabile ad un nome a dominio (le cause legali in materia hanno dimostrato che, se esistono due aspiranti di pari diritto ad un dominio, il primo a registrarlo e' colui che poi lo conservera', indipendentemente dal fatto che sia associazione, azienda o altro ancora), ma e' evidente che un qualche sano criterio di identificabilita' tra nome a dominio ed entita' registrante avrebbe impedito ai soliti accaparratori la registrazione a tappeto dei domini .it piu' impensabili.
Questo maldestro modo di regolamentare, in cui e' difficile districarsi tra malafede, machiavellici tentativi di favorire il commerciale, incompetenza, smanie di protagonismo, considerazioni sgrammaticate e decisioni necessariamente di parte (lo statuto della Naming Authority non contempla infatti alcuna presenza obbligatoria, nel comitato esecutivo della NA, di rappresentanti di Enti pubblici, reti civiche o associazioni), ha portato a svariate disastrose conseguenze.
La piu' clamorosoa e' venuta alla luce in questi giorni: l'imprenditore Grauso ha operato, tramite la Poli srl, incetta di decine di migliaia di domini .it che rappresentassero nomi e cognomi dei cittadini italiani, approfittando sia del famigerato buco di 30 giorni, sia dell'illimitato numero di domini registrabili per i possessori di PIVA: tali elementi hanno di fatto impedito a molti liberi cittadini di registrare per il futuro il proprio nome a dominio, ormai accaparrato da Grauso.
Su questa squallida vicenda e' dovuta addirittura intervenire la Presidenza del Consiglio dei Ministri con una raccomandazione che invita l’ente di Registrazione nazionale ad impedire ogni appropriazione indebita dei nomi e cognomi degli italiani. Il merito di Grauso e' in questo caso solo quello di aver scoperchiato un pentolone ribollente di guai.
Ma non e' finita. Grazie ad una liberalizzazione indiscriminata e discriminante, la Namimg ha, come scrivevamo, stabilito, con un atto odioso ed antidemocratico, che le "associazioni di fatto" di cittadini ed i "privati cittadini" sono da considerarsi una categoria di serie B rispetto a chi svolga attivita' commerciali, lasciando in tal modo mano libera ai falchi dotati di partita IVA: questi ultimi, al pari del Grauso, fiutando l'affare domini (strumenti di indispensabile visibilita' in rete), hanno lettereralmente paralizzato l'attivita' dell'ente di nazionale di registrazione italiano (la Registration Authority), inondandolo di sacchi postali e di fax di richieste (in Italia infatti, per registrare domini, e' necessario sottoscrivere, da parte del registrante, una lettera di assunzione di responsabilita' da inviare all’ente di Registrazione).
In questa aberrante logica del profitto a tutti i costi, nella quale si vengono a prefigurare, nel Top Level Domain italiano, maggiori diritti di taluni cittadini a discapito di altri, sembra svanire ogni rispetto e considerazione per la cultura, per l'associazionismo non profit, realta' che fino ad ora hanno conferito alla rete il vero valore aggiunto in termini di contenuto ed utilita' sociale.
Ma analoghe anomalie e distorsioni sono state da noi gia' denunciate oltre due anni or sono e riguardavano l'attivita' della Registration Authority Italiana (si veda il nostro intervento ---): la Registration Authority, ente non profit di natura pubblica, ha da un lato conservato gli stessi pregi tecnici e la stessa competenza in materia dell'Istituto da cui deriva (lo IAT), ma dall'altro ha ereditato gli stessi elefantiaci ed arcaici criteri di amministrazione degli enti di ricerca nazionali.
La Registration Authority non ha oltretutto mai favorito in alcun modo, come da noi insistentemente richiesto, l'associazionismo non profit culturale e di volontariato, cosa che avrebbe potuto tramite agevolazioni economiche sul costo dei domini. Inoltre, imponendo modalita' di pagamento dei domini e politiche dei prezzi contorte e vetuste, ha nella pratica impedito ai cittadini deboli di registrare domini direttamente presso l'ente stesso, costringendoli a rivolgersi ai provider Maintainer: questi ultimi stabiliscono, con totale potere di arbitrio, il prezzo finale dei domini, a loro venduti dalla Registration, ad un prezzo relativamente basso).
Sulle delicate materie dei regolamenti, del naming, dei costi dei domini e delle modalita' di registrazione degli stessi ci saremmo aspettati da tempo un intervento decisivo del Garante, di cui pur dovrebbe essere presente un componente all'interno del Comitato Esecutivo della Naming Italiana.
Per la stesura delle regole di cui abbiamo parlato si e' invece lasciata mano libera a forti provider commerciali ed ai "soliti noti" dello IAT; non si e' imposta la modernizzazione di un ente come l'RA, ne' si e' al momento favorita la registrazione domini in Italia con altre Registration nazionali, in modo che potesse essere scardinato l'attuale monopolio di inefficienza gestionale del TLD .it; non si e' infine provveduto a tutelare con regole precise ne' i privati cittadini ne' piu' in generale le piccole voci della rete, salvo poi intervenire a guasti gia' prodotti.
D'altra parte, inefficienza e burocrazia a parte, che rispettano solitamente la realta' italiana, queste vicende ci preoccupano piu' in generale per la spinta verso il concetto unilaterale di Internet come piattaforma commerciale globale. E' l'evidente segnale di un impoverimento culturale che tende a trasformare la Rete in un imponente ipermercato telematico, segnandone il passaggio da strumento di interazione attiva e partecipativa, a nuovo televisore multimediale, tramite il quale l'interazione del cittadino si immiserisca sempre piu' nella semplice scelta del prodotto da acquistare sul mega portale del momento.
Vittorio Moccia
Responsabile PeaceLink campagna sulla tutela del non profit in rete
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