I retroscena della guerra in Cecenia

Quanto sangue costa un litro di carburante?

Lo scontro globale per il controllo delle risorse scarica i suoi effetti devastanti solo ed unicamente sugli inermi, senza che nessuno degli strenui difensori mediatici dei diritti umani abbia il modesto coraggio di sussurrare... I care.
20 gennaio 2000
Achille Lodovisi

Adesso che ci stiamo accorgendo di ciò che sta accadendo, ormai dal 1992, nella regione del Caucaso - ma non stiamo ancora prestando la dovuta attenzione a quanto succede nelle repubbliche dell'Asia ex sovietica - è necessario riflettere sulla cronologia degli eventi. L'8 luglio 1999, quando ancora erano calde le ceneri delle macerie 'umanitarie' in Iugoslavia e nel Kossovo, l'Associated Press diramava un dispaccio da Mosca nel quale si annunciava che la Russia si stava preparando a lanciare una offensiva contro le basi dei guerriglieri che stavano operando una serie di attacchi lungo la frontiera tra Cecenia e Dagestan. La stessa fonte sottolinevava come tutti gli attacchi condotti contro i villaggi del Dagestan erano opera di 'warlords' ceceni che non riconoscevano l'autorità del governo di Grozny.

Nel frattempo le autorità militari di Mosca stavano costruendo una sorta di 'cordone sanitario', della lunghezza di 69 miglia, attorno alla frontiera cecena. Il presidente ceceno Aslan Maskhadov, favorevole ad un negoziato con i russi e ad un miglioramento delle relazioni con Mosca, in quei giorni veniva sottoposto a fortissime pressioni da parte dei 'warlords' che, ammantandosi di una fede coranica adamantina tutta da verificare e forti degli armamenti acquistati dalle stesse truppe russe o ad esse sottratti, scambiati con partite di droga in Azerbaiagian e Georgia, provvidamente offerti dalla Turchia, premevano per la 'guerra santa'.

In realtà queste bande armate - i meccanismi d'azione ed ideologici ricordano da vicino la storia dell'UCK - avevano ed hanno tutto da guadagnare dal perdurare di una situazione di conflitto nella quale possono gestire con maggior facilità i traffici di armi, stupefacenti e uomini dai quali ricavano profitti notevoli ed un potere vessatorio che esercitano sulle popolazioni inermi.

L'indomito spirito indipendentista della gente cecena ha ben poco a che spartire con la filosofia dei 'warlords'. Pochi giorni prima erano ripresi gli scontri tra truppe azere ed armene in Nagorno Karabak ed il ministro della difesa azero Safar Abiyev, nel corso di un colloquio con l'ambasciatore italiano, chiedeva l'intervento delle truppe della NATO nella regione contesa (France Presse 17 giugno 1999 da Baku).

Non va dimenticato che nei primi mesi del 1999, prima che iniziassero i bombardamenti NATO sulla Iugoslavia, il sistema basato sull'adesione delle repubbliche ex sovietiche ad un trattato per la sicurezza collettiva con la Federazione Russa era collassato in seguito alla decisione della Georgia e dell'Azerbaigian di non rinnovare la loro partecipazione. Ovviamente questo sistema di sicurezza altro non era e non è che un espediente russo per tentare di mantenere l'egemonia nel Caucaso e nella regione del Caspio, la prima strategica per il passaggio delle infrastrutture energetiche (oleodotti e gasdotti) e della droga, la seconda molto ricca di petrolio, gas e minerali in gran parte non ancora sfruttati oltre che produttrice di oppio, ed altri stupefacenti.

Come si vede gli interessi in gioco in Cecenia vanno ben oltre il mantenimento della 'sovranità nazionale' della Russia, espressione che, se non stesse giustificando massacri orribili di civili inermi ed una catastrofe umanitaria, suonerebbe come ridicola in quanto ampie regioni di questo paese sono di fatto controllate da mafie locali o da 'signorotti', ex papaveri del PCUS magari convertiti all'ultranazionalismo, che stanno approfittando di questo processo di disgregazione e 'feudalizzazione' dell'ex impero - voluto fortemente dall'Occidente e dagli Usa - per accumulare fortune gigantesche attraverso i traffichi illeciti e la privatizzazione dell'industria e dei settori economici di stato.

Proprio da questa realtà bisogna partire per tentare una analisi che superi la pur necessaria denuncia di quanto sta accadendo per giungere ad identificare il vasto novero di responsabili degli ennesimi 'ultimi giorni dell'umanità'. Con molto tempismo il 'Global Intelligence Update' della Stratfor in data 15 giugno 1999 sottolineava come dopo l'intervento NATO nei Balcani la 'competiton' tra la Russia e la NATO per il controllo della periferia dell'ex impero sovietico si sarebbe fatta più serrata nel Caucaso e, a far da sfondo alle cannonate, fosse rimasta la questione dei percorsi e della operatività degli oleodotti e dei gasdotti che trasportano petrolio e gas dal Caspio al Mar Nero, da dove raggiungono via mare l'Europa.

Uno dei più importanti oleodotti attraversa la regione del Caucaso, transitando per la Cecenia, per poi raggiungere a nord il terminale di Novorossiysk posto in territorio russo. Grozny è sede di una importante raffineria - bombardata in questi giorni con effetti sull'ambiente che si possono immaginare, evidentemente la tattica della NATO in Iugoslavia ha fatto scuola - ed al tempo stesso è posta su di un importante diverticolo che mette in comunicazione la pipeline che proviene da Baku con quella che si dirige verso i giacimenti del Caspio settentrionale e della Siberia centrale. La pipeline Baku-Novorossiysk è stata realizzata grazie ad investimenti per 10 miliardi di dollari operati da un consorzio che vede tra i maggiori azionisti British Petroleum, Amoco, Exxon, la compagnia mista saudita e statunitense UNOCAL e la maggiore compagnia petrolifera russa Lukoil.

In passato i guerriglieri ceceni avevano sabotato in più occasioni l'oleodotto e il 14 giugno 1999 si era verificata una grande esplosione dovuta forse al tentativo di asportare petrolio dal condotto. Nei mesi passati inoltre il flusso del greggio era stato interrotto più volte dal governo ceceno in seguito al rifiuto di fatto dei russi di pagare i diritti di passaggio per il tratto posato in Cecenia.

Nessuno deve dimenticare il tenore della dichiarazione del Dipartimento di Stato Usa nel momento dell'avvio dell'offensiva russa, il concetto era estremamente chiaro gli Usa non intervenivano in quanto non erano direttamente minacciati interessi nazionali, infatti a difendere gli interessi di Amoco, Exxon, UNOCAL etc ci stavano pensando le truppe di Mosca. Pochi mesi prima è stata inaugurata una seconda importante pipeline che collega Baku con Supsa, terminale petrolifero sul Mar Nero posto nel territorio della Georgia.

Questa nuova infrastruttura, appoggiata politicamente dall'Azerbaiagian, dalla Georgia, dalla Turchia - che preme per la realizzazione della variante verso il terminale turco di Ceyhan sul Mediterraneo via Kurdistan - e dagli Usa, non attraversa il territorio russo e viene vista da Mosca come un tentativo di sottrarre alle grandi compagnie petrolifere russe il controllo sul transito del petrolio e del gas del Caspio verso l'Europa.

E' opportuno ricordare che il settore energetico (produzione di gas e petrolio) rappresenta, dopo la deindustrializzazione dell'economia e le riforme eltsiniane, il 23% delle esportazioni ed il 12% del prodotto interno lordo della Russia (segnalo al riguardo un ottimo studio di Gian Paolo Caselli e Giulia Bruni dal titolo "Il settore petrolifero russo, il petrolio del Mar Caspio e gli interessi geopolitici nell'area", Working Paper n.278 della Facoltà di Economia dell'Università di Modena, luglio 1999).

Lungo il tracciato dell'oleodotto Baku-Supsa si trovano il Nagorno-Karabak e, nei pressi di Supsa, la regione secessionista dell'Abkazia. I vertici politici e militari russi hanno nuovamente appoggiato, in concomitanza con la messa in opera della pipeline, le guerriglie indipendentiste in tali regioni anch'esse legate al narcotraffico, fornendo armi all'Armenia ed incoraggiando le forze secessioniste dell'Abkazia che hanno dichiarato l'indipendenza della regione dalla Georgia.

Quest'ultima assieme all'Ucraina, alla Moldavia ed all'Azerbaiagian ha costituito una alleanza militare regionale, richiedendo una stretta cooperazione con la NATO, che ha tra i suoi abbiettivi la difesa dell'oleodotto. I consorzi per la realizzazione della 'via turca' tra i pozzi petroliferi ed i giacimenti di gas del Caspio ed il Mediterraneo prevedono investimenti complessivi per 7 miliardi di dollari. Tra gli azionisti di spicco figurano la UNOCAL, la Chevron, la Shell, l'Eni ed i governi della Turchia e dell'Azerbaiagian.

A conclusione di questo breve e sommario tentativo di analisi di una situazione molto complessa, estremamente conflittuale ed in continua evoluzione balza agli occhi una terribile realtà lo scontro globale per il controllo delle risorse scarica i suoi effetti devastanti solo ed unicamente sugli inermi, senza che nessuno degli strenui difensori mediatici dei diritti umani abbia il modesto coraggio di sussurrare... I care. Quello che sta accadendo in Cecenia, in Nagorno Karabak, in Abkazia, in Tagikistan fa parte di un copione che recita la 'degna' replica di quanto è avvenuto nei Balcani.

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