I care: "A me importa"
Da più di dieci anni in Kosovo è in atto un tentativo di cambiamento culturale della società albanese sulla linea della nonviolenza. Per la diplomazia degli stati 10 anni di resistenza nonviolenta sono pochi: la nonviolenza viene interpretata semplicemente come moderatismo politico e anche in Kosovo solo le armi sembrano costringere la macchina internazionale a muoversi. I diritti umani sono la carne e il sangue, la vita quotidiana di tante persone. La guerra è l'espressione più sistematica, più crudele e più istituzionale della violazione dei diritti umani. Al fine di una cessazione di qualsiasi azione armata, favorendo la ripresa del dialogo tramite la mediazione dei rappresentati dell'ONU, i movimenti Beati i Costruttori di Pace, Pax Christi e l'Associazione Papa Giovanni XXIII hanno organizzato una marcia per la pace in Kosovo dal 7 al 12 dicembre 1998, con la partenza dal porto di Bari.
6 dicembre ore 20.30 presso la Cattedrale di Bari: veglia di preghiera per la pace
7 dicembre ore 18.30 nelle vie del centro di Bari: fiaccolata per la pace
Poi partirà la nave che portare la spedizione di pace italiana in Kosovo
Le pagine web della manifestazione I Care sono sul sito Internet:
http://www.peacelink.it
Per informazioni e adesioni:
Pax Christi tel.080/3953507
e-mail:
pxitalia@diana.it
A febbraio Donato Lama, un filippino di religione cristiana, è stato punito in Arabia Saudita con 70 frustate perché "colpevole" di aver
predicato il cristianesimo in quella nazione. La frusta lo ha fatto gridare nel cortile della prigione di Malaz, davanti agli occhi terrorizzati degli altri detenuti. Alla fine era a malapena in grado di camminare. Donato Lama, arrestato nel 1995 e incarcerato senza processo fino al dicembre del 1996, aveva subìto una condanna a un anno e mezzo di carcere, flagellazione inclusa. Ad aprile, scontata la pena, lo hanno liberato e trasferito nelle Filippine. L'episodio ha riportato le lancette della storia indietro ai tempi di Nerone ed è stato denunciato da Amnesty International. Ma i governi delle nazioni che acquistano il petrolio saudita non hanno fatto una grinza. Anzi, quando si parla dell'Arabia Saudita, dicono che è quello un regime "moderato" e "amico dell'Occidente". A cinquant'anni da quello storico
10 dicembre 1948, data di approvazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo da parte dell'Assemblea Generale dell'Onu, la realtà è grosso modo questa: da una parte milioni di persone private dei propri diritti umani, dall'altra il muro del silenzio di interessi "forti" e strutturati. In mezzo c'è la rete sempre più estesa delle associazioni che reclamano il rispetto della legalità internazionale, ossia l'applicazione di quella storica Dichiarazione. Il "muro del silenzio", è quasi superfluo dirlo, nasce da poderosi interessi economici che autotutelano investimenti, accordi, profitti: essi vedono nei diritti umani una sorta di turbolenza
esogena rispetto alle regole dell'economia. Quando questi interessi rischiano di apparire in tutta la loro nudità contabile allora ergono a scudo (e a ostaggio) i lavoratori: dobbiamo tutelare i posti di lavoro. I "loro" interessi divengono di colpo gli interessi dei lavoratori. E' stato così con le fabbriche di
mine italiane la cui produzione è proseguita per "tutelare" un centinaio di operai ed è cessata in loco solo quando la pressione dell'opinione pubblica è diventata dirompente. Altro esempio recente: la Telecom italiana ha firmato un accordo per rifare le linee telefoniche di tutta la Jugoslavia. Sul versante opposto le associazioni italiane per i diritti umani e la pace erano impegnate a chiedere al governo italiano un'iniziativa diplomatica intransigente verso il governo di Belgrado per chiedere il rispetto delle libertà fondamentali e per porre fine alle violenze nei confronti della popolazione, in stragrande maggioranza albanese, del Kosovo (una regione della federazione jugoslava governata da Belgrado e il cui nome si scrive anche Kossovo o Kosova, a seconda delle lingue di riferimento). Ma il muro del silenzio si è innalzato. Le associazioni italiane, al fine di prevenire lo scontro e di tenere aperta una via di risoluzione nonviolenta del conflitto, hanno creando un'ambasciata di pace a Pristina, in Kosovo, sostenendo il movimento nonviolento di Rugova. Ma questa attenzione ai diritti umani non produce denaro e tale iniziativa è apparsa come una sterile turbolenza esterna alla trama degli interessi economici. Risultato prevedibile: il silenzio si è rotto solo col crepitio delle armi. Questo storia insegna una volta di più che la tutela dei diritti umani è la strada obbligata per la prevenzione della guerra. Ed è per questo che il 10 dicembre una marcia per la pace e i diritti umani si svolgerà in Kosovo, a Pristina, luogo simbolo di diritti umani negati ad un intero popolo. Significativa anche il motto inglese scelto come slogan:
"I care", ossia
"a me importa". Sarà l'occasione per testimoniare la centralità dell'uomo e dei suoi diritti su ogni altra logica e sopra ogni altro interesse.
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