Il segretario generale dell'Onu Kofi Annan ha allontanato l'attacco militare minacciato dagli Stati Uniti. Esaminiamo le "informazioni di base" per comprendere questa crisi complessa, le sue origini e le norme sancite dal diritto internazionale.
"Gli Stati Uniti non vogliono vedere gli iracheni soffrire ancora di piu'. Il nostro problema e il problema di tutto il mondo riguarda i dirigenti iracheni. E oggi questi dirigenti hanno una scelta. Possono acconsentire a che le ispezioni dell'Onu vadano avanti come stabilito o possono causare interventi militari da parte nostra". Il segretario di stato Madeleine Albright cosi' sintetizzava fino a pochi giorni fa la posizione del governo statunitense. E William Cohen, segretario alla difesa, aggiungeva: "Saddam Hussein ha sviluppato un arsenale di armi chimiche e biologiche mortali. Le ha usate ripetutamente contro la sua gente cosi' come contro l'Iran."
Le armi segrete di Saddam Hussein
Di quelle armi si ricorda molto bene il giornalista inglese Robert Fisk, inviato del Times negli anni Ottanta, quando infuriava la guerra Iran-Iraq: "Su un treno di notte da Ahwaz a Teheran non facevano che tossire, sputando i veleni di Saddam Hussein dai polmoni nell'ovatta e nelle bende che diventavano rosso sangue. Era il gas mostarda che li stava uccidendo. Fui costretto a spalancare il finestrino per evitare di vomitare." Quei soldati iraniani erano allora i nemici dell'occidente e Saddan Hussein riceveva ogni genere di aiuto, come ricorda Robert Fisk. "I francesi avevano venduto a Saddam i loro Mirage. I tedeschi gli avevano fornito il gas che mi aveva fatto quasi vomitare sul treno da Ahwaz. Gli americani gli avevano venduto elicotteri per irrorare di pesticidi i raccolti (che, naturalmente, non erano "raccolti" ma esseri umani). Gli inglesi gli avevano venduto ponti. In seguito ho persino conosciuto il trafficante d'armi di Colonia che era andato in aereo dal Pentagono a Baghdad con certe foto delle linee del fronte iraniano, scattate da un satellite americano, per aiutare Saddam a uccidere piu' iraniani. Un diplomatico inglese, pranzando a Londra con uno dei miei caporedattori, osservava: "Mi sembra che Robert non abbia capito la situazione". Certo, diceva il diplomatico, il gas era un'arma terribile. Ma Saddam stava combattendo la guerra dell'Occidente contro il fondamentalismo iraniano."
Le complicita'
Era il decennio in cui i pacifisti che protestavano per la guerra Iran-Irak venivano definiti "amici di Komehini". Erano i tempi in cui Saddan Hussein non riceveva sui grandi giornali italiani l'accusa di "dittatore" o di "macellaio" - come avviene comunemente oggi - ma riceveva invece ben altro: 20 elicotteri, 6 corvette, 4 fregate, 1 nave per rifornimento, 1 sommergibile e sistemi missilistici di vario tipo, come documenta l'Archivio Disarmo di Roma. Saddam Hussein era un buon cliente per gli industriali che possedevano giornali e vendevano armi. Nel marzo 1981, in piena guerra Iran-Iraq, un elicottero irakeno di fabbricazione sovietica precipita in Veneto e (come emerge dalle indagini) si scopre che doveva essere equipaggiato con nuovi sistemi avionici da due aziende italiane. Un passato cosi' torbido ha riempito gli arsenali militari iracheni di insidie di ogni genere, fabbricate in Occidente e nell'ex Urss, e passate sottobanco con con la complicita' delle diplomazie che oggi lavorano febbrilmente per scovare quelle stesse insidie.
Sette anni di controlli: perche'?
Sull'esistenza o meno di armi di distruzione di massa nei "siti presidenziali" si discute molto. Ci sono? Non ci sono? Dopo oltre 700 ispezioni (di cui 119 gia' avvenute nei siti presidenziali) in sette anni di controlli da parte degli ispettori dell'Onu si sa che sono state distrutte tutte le strutture per il nucleare bellico, 38 mila armi chimiche, 690 tonnellate di agenti attivi, centinaia di apparecchiature, 48 missili e 60 rampe di lancio. Un sistema di controllo audiovisivo permamente (con centinaia di telecamere e sensori Onu che verrebbe distrutta dai bombardamenti Usa) rileva a distanza cio' che si fabbrica nei laboratori e negli stabilimenti iracheni trasmettendo informazioni in tempo reale. Dopo sette anni di simili controlli sarebbe ragionavole chiedersi: come mai c'e' ancora da controllare? La risposta americana e': il lavoro degli ispettori del'Onu viene sistematicamente ostacolato dai veti iracheni e Saddam Hussein ha nascosto nei suoi palazzi residenziali armi e segreti. Una diversa risposta prende le mosse dalla risoluzione 687 dell'Onu che - se da una parte impone all'Iraq un programma di disarmo che prevede la distruzione delle armi nucleari, chimiche e batteriologiche - dall'altra contempla la fine dell'embargo quando gli ispettori Onu avranno finito i controlli.
Il governo statunitense non nasconde che il suo obiettivo rimane l'uscita di scena di Saddam Hussein e quindi - nell'ipotesi presa in considerazione - perseguirebbe lo strangolamento economico dell'Iraq prolungando l'embargo e giustificandolo con una prosecuzione delle ispezioni. La similitudine con Cuba sarebbe evidente. Tuttavia monsignor Giuseppe Lazzarotto, Nunzio Apostolico vaticano in Iraq e Giordania, punta su una terza ipotesi esplicativa: "Le scelte degli Stati Uniti hanno una spiegazione piuttosto evidente: il prezzo del petrolio e' sceso a 17 dollari al barile; di conseguenza qualsiasi compagnia perde milioni di dollari al giorno. Si aumentano quindi i barili da vendere, ma contestualmente e' necessario impedire ad altri di immettere sul mercato il proprio petrolio. E' questa la ragione per cui l'Iraq viene estromesso dal gioco. In Iraq c'e' petrolio per i prossimi duecento anni." E aggiunge: "Non dicano i responsabili che vengono qui per difendere i diritti umani. E' ora che l'opinione pubblica mondiale, soprattutto americana ed europea, si renda conto che i sistemi adottati finora sono contro i diritti umani e nascondono in realta' enormi interessi economici, che risultano poi quelli decisivi."
("Il Regno, 1998, n.4) E' una voce che non si leva nel deserto. Il Consiglio ecumenico delle chiese di Ginevra si e' espresso contro l'intervento militare, dopo una recente visita in Iraq; vi facevano parte delegazioni di chiese cristiane quali: patriarcato siriano ortodosso di Antiochia, chiesa d'Inghilterra, chiesa anglicana del Kenya e del Pakistan, chiesa episcopale degli Stati Uniti, chiesa luterana della Norvegia, chiesa armena ortodossa di Cipro, chiesa ortodossa greca di Antiochia del Libano e chiesa presbiteriana degli Stati Uniti.
Seimila bambini al mese
L'Organizzazione Mondiale della Sanita' parla di almeno seimila bambini che muoiono ogni mese per le conseguenze dell'embargo: mancanza di vitamine, anestetici, medicine, disinfettanti, farina. Robert Fisk - attualmente giornalista del The Independent inviato nel Golfo - testimonia: "Migliaia di persone sono morte di denutrizione e per mancanza di medicine: forse addirittura un milione, a prestare fede a certi funzionari dell'Onu. Baghdad e' stata attraversata in lungo e in largo dai cortei funebri di bambini (l'ultima volta ne ho contati settanta uno dietro l'altro). Tutta propaganda dell'odiato Saddam, certo; pero' sono stati in pochi a insinuare che le bare fossero vuote."
Gli Stati Uniti e il diritto internazionale
Infine e' lecito porsi un'ultima questione. E' conforme alle norme del diritto internazionale l'attacco minacciato dagli Stati Uniti per imporre al governo Iracheno l'apertura dei siti presidenziali alle ispezioni Onu? La risposta fornita da un giurista come il magistrato Domenico Gallo e' negativa: "L'uso della forza e' consentito soltanto per contrastare un atto di aggressione che derivi da un attacco armato altrui, ai sensi dell'articolo 51 della Carta dell'Onu, oppure per attuare le azioni coercitive che il Consiglio di sicurezza decidesse di intraprendere per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale, ai sensi degli articoli 42 e seguenti."
L'applicazione della risoluzione Onu 687 (ispezioni per il disarmo iracheno) non prevede infatti l'uso della forza militare ma l'embargo come mezzo coercitivo, segnando con cio' una differenza rispetto alla precedente risoluzione 678 che autorizzava a "usare tutti i mezzi necessari" per liberare il Kuwait. L'articolo 2 della Carta dell'Onu prevede che le nazioni "devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall'uso della forza" e che "devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia, non siano messe in pericolo". Come si puo' notare la condotta degli Stati Uniti non rispetta questi principi anche quando "minaccia" l'uso della forza senza usarla. Puo' essere tutto questo giustificato in nome dell'applicazione di una risoluzione dell'Onu che non prevede l'uso della forza? "La pretesa - osserva il magistrato Domenico Gallo - e' altrettanto assurda e ingiustificata quanto sarebbe assurda e ingiustificata la pretesa della Libia di bombardare Israele per non avere adempiuto alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza del 22.1.'67 che richiedeva a Israele di ritirarsi dai territori occupati durante la guerra dei sei giorni."
L'opposizione alla guerra
La minaccia di una nuova guerra ha visto mobilitate in questi giorni diverse associazioni. Nell'appello di Pax Christi si afferma che "l'attacco sarebbe sproporzionato rispetto ai fini". Vi si legge: "Chiediamo con tutta la forza che e' in nostro potere che si fermi il rullare dei motori da guerra e riprenda il dialogo della pace (...) Condanniamo decisamente la preparazione di ogni guerra e la detenzione di armi di distruzione di massa perche' offendono la dignita' dell'uomo e calpestano la vita (...) Ogni trattativa torni nella sede istituzionale piu' idonea, le Nazioni Unite".
A Taranto PeaceLink si e' fatta promotrice di un appello al Presidente della Repubblica a cui hanno aderito: Associazione per la pace (TA), Caritas Diocesana (TA), Casa per la Pace (Grottaglie), Chiesa Valdese (TA), Coop.Owen (S.Giorgio), Le Sentinelle (TA), Missionari Saceriani (TA), Movimento S.Francesco Saverio (TA), Oltre le barriere (TA), Osservatorio contro la criminalita' (TA), Pax Christi (TA), PeaceLink , Punto Pace presso Parrocchia S.Pasquale (TA), Taranto Solidale. Vi si affermava:
"Ci rivolgiamo a Lei, uomo di pace e garante della Costituzione, affinche' l'Italia ripudi una guerra concepita come "mezzo di risoluzione delle controversie internazionali", secondo quanto sancito nell'articolo 11 della Costituzione stessa. Riteniamo conseguente che l'Italia non metta a disposizione alcuna base militare presente sul proprio territorio, affermando non solo un principio di pace ma anche un principio di sovranita' nazionale.
Affermiamo inoltre la nostra condanna contro le ambizioni di riarmo di Saddam Hussein, gia' peraltro in passato abbondantemente armato e finanziato dall'Occidente, ma riteniamo che un'azione militare non farebbe altro che rafforzarne il potere dispotico su un popolo, gia' vittima di un embargo civile condannato dallo stesso Pontefice. Confidiamo in una Sua ferma posizione contro questa guerra." Un ordine del giorno contro la guerra con contenuti similari e' stato approvato all'unanimita' dal consiglio comunale di Palagiano (TA).
Se queste prese di posizione appariranno superate dalla svolta di pace impressa dal viaggio a Baghdad del segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan, come sembra e come si spera, non sara' inutile ricordare lo sforzo di quanti hanno chiesto, assieme a tanti uomini e donne di buona volonta', che le armi della diplomazia vincessero sulla diplomazia delle armi.
Ritornano alla mente le parole di un uomo di pace, lo scrittore Hermann Hesse, che scrisse: "Il nostro compito quali esseri umani consiste nel compiere, all'interno della nostra propria, unica, personale esistenza, un passo avanti sulla strada che dalla bestia porta all'uomo."
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