Emergenza2

Risposta alla "Lettera Aperta" della S.ra Rita Guma

6 gennaio 2003
Fonte: La Linea del Piave http://www.resistere.it/n33.htm

Gentile signora Guma,
la lettura della sua "lettera aperta" - pubblicata all'indirizzo http://www.resistere.it/n31.htm ha suscitato in me forti perplessita', anche e soprattutto in quanto estimatore del lavoro di documentazione elettronica fatto finora dall'osservatorio che lei dirige.
Lei parla di un generico "obbligo di verifica delle fonti", e sostiene che dopo aver ricevuto da un partito nazionale un appello firmato da 69 persone noi non avremmo dovuto considerare come fonte dell'informazione il partito stesso, bensi' tutti i 69 firmatari, e che avremmo dovuto contattare personalmente ognuna di queste persone per accertarci della loro effettiva adesione all'appello in questione. Nella sua lettera lei sostiene che sul sito dell'osservatorio da lei diretto "ogni articolo e documento pervenuto o trovato (oltre quindicimila in un anno) viene letto e vagliato, e non
pubblicato se le informazioni contenutevi sono ritenute errate".
Lei conosce meglio di me una cattiva abitudine del giornalismo italiano, in base alla quale un testo riportato tra virgolette spesso non corrisponde alle effettive dichiarazioni della persona intervistata. A questo punto le chiedo se prima di pubblicare una intervista sul suo sito (dove e' presente una copiosa rassegna stampa) lei si prende la briga di contattare direttamente l'intervistato per ottenere una conferma delle parole riportate tra virgolette nell'articolo. In fin dei conti si tratta di una sola telefonata, e non di 69 controlli.
Lei e' veramente convinta che la fonte di un appello siano i suoi firmatari, e non l'associazione, l'ente o il partito che lancia, sostiene, promuove e diffonde quell'appello e si assume la responsabilita' delle firme che riporta in calce al testo? La fonte di una intervista e' la persona intervistata o il giornalista che firma quell'articolo in concorso
con il direttore responsabile che firma il giornale dove appare l'intervista in questione? Lei dice che l'osservatorio sulla legalita' si rifiuta di pubblicare le informazioni che vengono "ritenute errate". E' proprio sicura che le informazioni da voi "ritenute errate" coincidano con tutte le informazioni oggettivamente errate, oppure esiste una possibilita' che in una pagina su migliaia del vostro sito siano presenti delle informazioni dai voi ritenute corrette che qualcun altro potrebbe ritenere errate?
Come reagireste se qualcuno vi citasse in tribunale chiedendovi cento milioni di danni per un testo virgolettato non corrispondente al vero, magari contenuto in un articolo pubblicato su una testata giornalistica nazionale, da voi ritenuto corretto e quindi inserito nella vostra rassegna stampa? Siete proprio sicuri che anche nel vostro archivio di notizie non
ci sia una "bomba a tempo" pronta ad esplodere con conseguenze indipendenti dalla vostra buona volonta' e dalla vostra diligenza nel verificare le informazioni, cosi' come e' accaduto a noi con un testo pubblicato in rete nel febbraio 2000 ed "esploso" in tribunale nel dicembre 2002?
In buona sostanza, lei ipotizza una mancata verifica delle fonti, io sostengo che questa assenza di verifica e' tutta da dimostrare, perche' a mio avviso un comunicato ufficiale che fa bella mostra di se' sul sito internet di un partito nazionale e' una fonte piu' che verificata, puo' essere addirittura considerata una fonte primaria, e non ricordo nessun manuale di giornalismo nel quale viene inclusa negli obblighi deontologici per la professione il contatto diretto con ciascuno dei firmatari di un appello per verificarne l'effettiva adesione.
Lei sintetizza laconicamente la sua posizione rispetto alla vicenda giudiziaria che ci vede coinvolta con due massime universali: "la mia liberta' finisce dove comincia la tua" e "la legge non ammette ignoranza". La liberta' di un consulente Nato che si ritiene danneggiato nella sua carriera (non diffamato, quindi, ne' associato a notizie false) finisce quando inizia la mia liberta' di pubblicare materiale di cui sia certa la fonte e la provenienza, nel quale viene riportato in calce ad un "Manifesto Ambientalista" il nome di una persona che oltre a lavorare per la Nato, si qualifica come il presidente di una nota associazione ambientalista e dichiara inoltre di essere una nota personalita' del settore.
La legge non ammette ignoranza, e quindi non puo' essere ignorato il fatto che la legge prevede il diritto/dovere della rettifica, una rettifica che noi non abbiamo mai pubblicato in quanto non ci e' mai stata richiesta.
Lei teorizza l'obbligo legale di "controllare i contenuti di cio' che prendiamo da altri siti e media", e mi piacerebbe capire il senso che lei da' al vocabolo "controllare".
Controllare vuol dire verificare l'esattezza del testo, la verita' di quanto scritto, l'effettiva identita' degli aderenti ad un appello o piuttosto vuol dire raggiungere una ragionevole certezza del fatto che il testo in questione non e' un falso e che proviene da un organismo credibile?
Il punto e' che se l'appello presente sul nostro sito (e una ipotetica firma falsa) fosse stato diffuso su un quotidiano, sarebbe stata sufficiente una rettifica per riparare all'errore involontario, mentre a noi non e' stato neanche richiesta la rimozione della pagina dal sito.
Senza una richiesta di rettifica, una modifica del nostro sito realizzata in assenza di un invito da parte del diretto interessato potrebbe essere malignamente interpretata come una ammissione di colpevolezza, mentre noi
non ci sentiamo colpevoli di nulla.
Lei sostiene che il suo sito e' l'unico "ad aver eliminato dalla famosa lista di parlamentari inquisiti o condannati della Repubblica delle Banane, un nominativo erroneamente inserito per omonimia". Perche' non ha controllato personalmente quell'elenco di nominativi contattando uno per uno tutti i parlamentari inseriti nell'elenco? Come mai si e' fidata cosi' tanto della "fonte" che le ha fornito quell'elenco, e non ha ritenuto che le fonti fossero in realta' ciascuna delle persone nominate? Se sapra' dare la risposta a queste domande riuscira' anche a capire cosa ci ha indotto a
pubblicare quel testo cosi' come era stato diffuso da altri.
Credo che la pubblicazione in un elenco di ex-delinquenti sia molto piu' grave dell'inserimento in un elenco di ambientalisti critici verso le politiche militari della Nato, e allora le chiedo se per coerenza con le sue affermazioni lei non ritenga di essere in debito di riconoscenza con il parlamentare "omonimo", che ipoteticamente avrebbe avuto tutto il diritto di pretendere da lei e dal suo osservatorio un risarcimento ben piu' consistente di quello che viene richiesto a noi.
Anche in quel caso la liberta' della persona in questione era stata violata dalla vostra liberta' di pubblicazione, ma e' stata sufficiente una onesta rettifica per risolvere la questione, e sono molto contento che sia andata a finire cosi', perche' probabilmente se il vostro cammino si fosse incrociato con una persona dalla volonta' persecutoria il vostro sito e il vostro osservatorio avrebbero potuto offrire un servizio meno efficace e completo, o forse avrebbero addirittura cessato di esistere, un rischio che adesso si prospetta per il nostro sito e la nostra associazione.
Lei inoltre ci rimprovera la nostra posizione fortemente critica verso l'obbligo di registrazione dei cosiddetti "siti informativi" come testate giornalistiche, evidenziando il fatto che oggi saremmo in condizione di difenderci meglio in tribunale se fossimo una testata giornalistica, o meglio ancora un sito "non affidabile" perche' sprovvisto di "bollino",
anziche' essere un sito web uguale (almeno per il momento) a tutti gli altri. Il punto e' proprio questo: la nostra lotta nonviolenta per non e' solo una lotta per la nostra sopravvivenza, ma e' una lotta il diritto all'esistenza di tutte le piccole voci della rete che fanno volontariato dell'informazione al di fuori del giornalismo, e che oggi per mettere in piedi un sito internet non sono (ancora) costrette a trovare un "amico giornalista" che svolga il ruolo di "prestanome" per avere un direttore responsabile "di facciata" che metta le carte in regola, cosi' come avviene invece per tutto l'arcipelago di piccole riviste dell'associazionismo.
Nessun sito web e' anonimo, ogni indirizzo e' associato al nome di una o piu' persone che ne hanno effettuato la registrazione. Perche' si vuole regionalizzare questa regola mondiale con un obbligo in piu' che sarebbe valido solo per i cittadini italiani? Anche senza fare discorsi di principio, immagina quanto costerebbe questa operazione solo in termini di burocrazia e di carte bollate?
E' per questo che non siamo rammaricati di non essere una testata giornalistica, ne' ci auspichiamo una suddivisione dei siti web tra "certificati" e "inaffidabili", creando il regno del rigore a cui si contrappone il regno dell'impunita', ma al contrario siamo fieri di affermare il principio che anche una piccola associazione di volontariato come la nostra abbia il diritto di far sentire la propria voce in rete al pari dei grandi partiti nazionali o delle grandi testate giornalistiche, con gli stessi diritti e i medesimi doveri.
Mi stupisce molto discutere con lei di legalita' e di una legge che sia uguale per tutti, ipotizzando al tempo stesso scenari in cui alle pagine web di una piccola associazione sia riservato un trattamento piu' severo, degli obblighi piu' stringenti e una "legge" piu' restrittiva di quella che si vuole applicare ai grandi quotidiani nazionali. A loro sarebbe bastata una rettifica, cosi' come e' stata sufficiente a voi una rettifica per saldare i conti con una persona che voi avete erroneamente associato ad una lista di "fuorilegge". Perche' a noi si chiede di piu'?
Al termine della sua lettera, nonostante lei non sia convinta della bonta' dei nostri argomenti, leggo un invito "a fare un versamento a favore di questa associazione", che interpreto come una dimostrazione di affetto e di stima che va al di la' dei rispettivi pareri su questa specifica vicenda legale. In qualita' di segretario dell'associazione PeaceLink, tuttavia,
quello che mi preme di piu' non e' un acritico sostegno economico da parte di chi ci legge, ma proprio quello che e' mancato nella comunicazione tra me e lei, e cioe' la condivisione di un obiettivo alto, che non e' la semplice salvezza di un sito web e dell'associazione che lo gestisce, ma una seria ed approfondita riflessione sullo stato di salute dell'informazione nel nostro Paese, che si misura sicuramente dal livello di correttezza, serieta' e professionalita' di chi produce informazione a qualunque titolo, ma anche e soprattutto dalla fragilita', dalla precarieta' e dalla vulnerabilita' degli spazi di informazione libera e indipendente, una debolezza che accomuna i nostri siti indipendentemente dalle nostre divergenze di opinioni. Se c'e' una cosa che ho imparato da questa vicenda e' che in rete nessuno puo' sentirsi al sicuro ne' fare ipoteche sul futuro, e che l'esistenza di una voce estranea ai circuiti dell'informazione commerciale non e' un fatto scontato ne' tantomeno garantito. Spero che questa preoccupazione per il bene comune, e non l'apprensione per le controversie legali della mia associazione, a guidare le scelte future di tutti i soggetti legati al volontariato dell'informazione.

Cordiali Saluti
Carlo Gubitosa
c.gubitosa@peacelink.it

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