Anche Chomsky e Zanotelli con PeaceLink
repressione ci associazioni pacifiste. Come PeaceLink, alla quale un
consulente Nato ha chiesto cinquantamila euro per aver pubblicato il suo
nome senza consenso. Il 18 febbraio l'udienza
Peacelink è in emergenza. A fine dicembre è arrivata una citazione alla storica associazione pacifista di Taranto nata nel '9, nella quale si parlava di lesioni alla "professionalità, all'immagine e alla carriera" di un consulente Nato firmatario, non consenziente, di un "Manifesto per un forum ambientalista" pubblicato in una pagina del sito datata 10 Febbraio 2000 e preo da altre fonti. L'udienza è prevista per il 18 Febbraio prossimo e la cifra dell'indennizzo è da capogiro: 50.000 euro. Più che sufficienti, in caso di condanna, a far chiudere l'associazione che ha messo in rete una sezione con tutta la documentazione sul caso e sta chiedendo aiuto ( http://www.peacelink.it/emergenza ). E centinaia sono le email arrivate a firmare l'appello (tra gli altri Chomsky e Zanotelli), con un volantino da scaricare, un banner da poter inserire tra le pagine del proprio sito, la rassegna stampa e quant'altro possa servire a mantenere viva l'attenzione sul caso. Che non è certo l'unico.. Infatti c'è una tendenza stabile e pericolosa a trattare i conflitti legali sul web attraverso l'uso delle cause civili con richieste di risarcimenti record che, quando non giungono alla condanna del sito, hanno sicuramente un potenziale effetto intimidatorio a maggior ragione quando si tratta di soggetti privati che fanno informazione indipendente, quasi senza budget e con molto volontariato, pur offrendo un notevole contributo al pluralismo informativo nel panorama deprimente del nostro paese. Il problema, in generale, è che non esiste un quadro organico di leggi che possa assicurare un minimo di garanzie costituzionali. Per il momento si va avanti attraverso sentenze "che fanno giurisprudenza" con esiti anche molto diversi. Ma che la confusione regnasse sovrana sul settore si è visto anche dal dibattito sulla nuova legge sull'editoria (62/01), fortemente voluta da lobbies industriali e una parte del giornalismo corporativo, che ha sancito l'analogia assolutamente anacronistica tra carta stampata e web e che, a quasi due anni dall'approvazione (Carta 7/01 e 9/02), è ancora oggetto di interpretazioni contrapposte sulle modalità di applicazione rispetto alla registrazione presso il tribunale e al responsabile iscritto all'ordine dei giornalisti. Ma il punto è: anche se Peacelink fosse stata registrata, avrebbe potuto evitare la citazione? No, perché se il consulente Nato avesse voluto trattare quel sito come un giornale avrebbe potuto chiedere una rettifica, come si fa a norma di legge, cosa che invece non risulta. D'altra parte, quando succede che Repubblica o Economist siano citati in giudizio ci sono "plotoni" di avvocati e tutto il budget che serve per sostenere un processo anche se chiederlo è Silvio Berlusconi. Una differenza da far notare alla signora Rita Guma, dell'osservatorio sulla legalità, che ha risposto a Carlo Gubitosa, nel suo distinguo sull'adesione all'appello, dimostrando non pochi pregiudizi (fin troppo diffusi) verso la comunicazione in rete ed i principi costituzionali che rende davvero effettivi (. Ma rimanendo ai "legittimi sospetti": come mai dopo tre anni questo consulente cita proprio Peacelink visto che lo stesso appello è disponibile anche sul sito di Rifondazione Comunista e visto che in altri casi gli è stato sufficiente chiedere la rettifica? Come mai proprio ora, alla vigilia di una nuova guerra nel golfo, un consulente Nato se la prende proprio con un sito storico riferimento del pacifismo italiano? Intanto c'è qualcuno che si è preso anche la briga di scoprirne il nome ( cosa piuttosto facile - http://www.mantellini.it/2002_12_01_archivio.htm ) che Peacelink, prudentemente ha tenuto anonimo. Fino al 18/02, sperando che non sia il solo "bombardamento" della democrazia e dei diritti che si possa evitare.
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