Trattato costituzionale: il debole “sì” dei socialisti scuote l’Europa
A livello continentale questa insolita consultazione referendaria sembra inviare un doppio allarmante segnale sull’attuale stato del processo di costituzionalizzazione comunitario. E' necessario inventare una nuova grammatica politico-istituzionale consapevoli che la domanda referendaria non possa essere rinchiusa in un no o un sì, ma necessiti di nuovi spazi pubblici continentali
Tra poco più di due mesi, il 29 maggio 2005, il corpo elettorale francese dovrà pronunciarsi tramite referendum sull’approvazione o meno del «Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa», sottoscritto a Roma il 29 ottobre 2004 dai Capi di Stato e di Governo dei 25 paesi dell’UE (1).
All’interno del Partito Socialista francese, già nell’estate del 2004, si erano andate esplicitando posizioni assai diversificate rispetto al contenuto ed al valore del Trattato costituzionale europeo, con spaccature tra favorevoli e contrari che attraversavano sia la base (militante e/o simpatizzante) che la classe dirigente socialista.
Proprio in virtù della diffusa percezione di questa polarizzazione dell’opinione pubblica socialista intorno alle sorti del Trattato costituzionale, e nella prospettiva di una consultazione referendaria nazionale, la dirigenza socialista optò per la convocazione di un referendum interno.
1. La convocazione del referendum
Nella tradizionale intervista televisiva del 14 luglio, ad un mese esatto dalle elezioni per l’Europarlamento del 13 giugno 2004, il Presidente francese J. Chirac comunicò alla nazione la volontà di indire, «nella seconda parte dell’anno successivo», un referendum sul Trattato costituzionale europeo per «adattare la nostra Costituzione ai principali obblighi» derivanti dalla nuova Costituzione europea (cfr. Le Monde del 15 luglio 2004) (2). Questa presa di posizione pubblica del Capo dello Stato francese anticipava di circa tre mesi la firma del «Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa» ad opera dei Capi di Stato e di Governo dei 25 paesi dell’UE, avvenuta a Roma il successivo 29 ottobre.
Tale scelta di consultare direttamente la cittadinanza francese su di un tema così ampio, complesso e spigoloso come l’adozione di un Trattato costituzionale europeo veniva salutata dall’unanime apprezzamento delle forze politiche francesi e di fatto apriva una infinita campagna referendaria che, partendo dalla questione europea, avrebbe continuamente attraversato le diverse problematiche presenti nell’agenda politica francese, non ultimo con la concreta possibilità di incidere sulla definizione della campagna per le elezioni presidenziali di primavera 2007.
Nell’immediato ebbe l’effetto di rendere pubbliche le divisioni all’interno del PS (cfr. Libération del 16 luglio), in particolare tra la maggioranza del partito favorevole all’adozione del Trattato e le correnti del Nuovo mondo (di H. Emmanuelli e J.-L. Mélenchon) e del Nuovo Partito socialista (di A. Montenbourg e V. Peillon), che invece manifestavano parere contrario. Questa frattura all’interno del PS francese ha poi assunto dimensioni considerevoli, dal momento in cui l’ex Primo ministro e attuale dirigente di spicco socialista Laurent Fabius ha manifestato pubblicamente il suo no al Trattato.
Di fatto nel corso dell’estate scorsa la classe dirigente socialista ha riprodotto al suo interno quella spaccatura tra favorevoli e oppositori alla Costituzione europea, che sembrava già attraversare la base del suo corpo elettorale e militante, avviando con ciò un percorso di dibattiti e confronti interni che sono culminati nella tradizionale università estiva del PS, svoltasi a fine agosto a La Rochelle e che hanno aperto la strada all’ipotesi di consultazione diretta della base militante socialista, esigenza espressamente manifestata dall’attuale segretario socialista François Hollande.
È così che si giunge alla convocazione di un vero e proprio referendum interno al PS, esclusivamente riservato ai 120.027 iscritti al partito da almeno sei mesi prima della data dello scrutinio, che viene fissato per il 1° dicembre 2004. È il primo caso nella storia del PS francese di un referendum interno per la consultazione diretta dell’orientamento della propria base militante.
2. La campagna referendaria tra questione europea e lotta interna all’élite socialista
Tra settembre e novembre 2004 si tiene una vera e propria campagna referendaria interna al partito, ma che assume una vasta dimensione pubblica, nel corso della quale sono state organizzate più di 400 riunioni e almeno un’assemblea generale con contraddittorio – seguita da dibattito – nelle 102 federazioni dipartimentali e nelle 3700 sezioni locali del PS (cfr. Le Monde del 22 novembre). Al contempo il corpo militante socialista si attiva dando vita ad una serie di comitati locali che parteggiano per il sì o per il no ed organizzano altre forme di comunicazione e partecipazione, sfruttando anche i 15.000 euro (per parte) stanziati dal partito per finanziare le rispettive campagne referendarie. Ciascun militante iscritto al PS riceve una pubblicazione del testo del Trattato costituzionale, inclusi gli allegati, quindi il settimanale interno dei socialisti (L’Hebdo des socialistes) dedica una sezione sulla campagna referendaria, equamente divisa tra le due posizioni. In questo contesto si avvia anche un vero e proprio tour de force dei dirigenti socialisti che girano per l’esagono, con le 4 maggiori federazioni (Pas-de-Calais, Nord, Paris e Bouch-du Rhône, ca. 32.000 iscritti) che vengono visitate per almeno tre volte dai diversi leader.
Un ruolo decisivo di capillare informazione e mobilitazione lo giocano gli strumenti della comunicazione informatica e digitale, a cominciare dai tre siti internet appositamente aperti – www.ouisocialiste.net, http://www.nonsocialiste.net/, www.ambitioneurope.org – e soprattutto dalle diverse forme di comunicazione e dibattito messe in opera dalle migliaia di mediattivisti: web community, blog, mailing list, chat realizzate anche dai maggiori quotidiani nazionali con politici ed esperti (cfr. quelle di Le Monde, con il costituzionalista D. Rousseau e con l’eurodeputato socialista M. Rocard, ambedue dell’11 ottobre, quindi quella con F. Hollande del 29 novembre; ma più in generale cfr. i siti di Le Monde, Libération e Le Figaro), cui prendono parte iscritti e simpatizzanti socialisti, ma anche militanti di altre organizzazioni politiche e delle diverse forme dell’autorganizzazione sociale. È un proliferare incontrollato e spesso estremamente parziale di informazioni, propaganda, proselitismo – in ogni caso di libera e riproducibile discussione fondata su criteri di orizzontalità, di completa apertura e di continuo scambio, che molto sembra innovare le forme della comunicazione politica e sulla cui evoluzione i più avvertiti settori della ricerca si interrogano ormai da anni.
Tutto questo interrogarsi e mobilitarsi della base socialista investe l’élite del partito, che in realtà, oltre a sbandierare la volontà di realizzare un democratico dibattito interno (F. Hollande, Le Monde, 29 novembre), si gioca anche l’inizio di partita sulla candidatura per le elezioni presidenziali del 2007, tanto che ci si è spesso interrogati sulla vera essenza del referendum interno, così perennemente in bilico tra «vero dibattito e lotta intestina» (Le Monde, 11 ottobre). In particolare agli occhi di gran parte dell’opinione pubblica francese è apparsa contraddittoria l’opposizione di L. Fabius al Trattato costituzionale: alla luce della sua carriera di Primo ministro negli anni ’80, condotta all’insegna del funzionalismo comunitario più radicale e del suo impegno nel votare e nell’aver fatto votare l’adesione francese al Trattato di Maastricht, si è infatti da più parti interpretato tale atteggiamento con la volontà di proporsi come alternativa all’attuale dirigenza socialista per le future elezioni presidenziali. Del resto che questo sia stato un periodo particolarmente movimentato nella scena politica francese è testimoniato dal fatto che nello stesso scorcio dell’anno il partito di maggioranza governativa, l’UMP, stava scegliendo il proprio nuovo presidente (dopo le dimissioni di A. Juppé) e lo trovava nell’(ex) Ministro delle Finanze N. Sarkozy, la cui elezione al vertice dell’UMP, ufficializzata pubblicamente il 28 novembre, ha assunto la valenza di esplicito trampolino di lancio per la sua candidatura alle presidenziali del 2007, avviando una lotta interna al centro-destra francese con lo stesso presidente J. Chirac.
Che ci sia stato un gioco interno all’élite socialista appare difficilmente contestabile ed è parzialmente comprensibile, tenuto conto del fatto che il PS è ancora alla ricerca di una identità definita dopo il fallimento delle presidenziali del 2002 (quando L. Jospin non è arrivato neanche al ballottaggio) e le due recenti (marzo e giugno 2004) vittorie alle regionali (solo 2 regioni hanno attualmente un presidente UMP) e alle europee, che però non hanno minimamente scalfito né la maggioranza governativa, né il presidente J. Chirac. Per di più le posizioni dei due massimi esponenti socialisti non apparivano, dal punto di vista del modo di pensare l’Europa, particolarmente distanti. Il discrimine era il rifiuto o l’accettazione del Trattato costituzionale, ma ambedue ponevano la loro riflessione nell’ottica di un’Europa politica e sociale da costruire: attraverso un nuovo trattato sociale che partisse dal nucleo progressivo di diritti contenuto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue – attuale II parte del testo – (Hollande), attraverso lo sganciamento delle prime due parti del Trattato costituzionale rispetto alla terza e comunque con la prospettiva di non ingabbiare la Costituzione europea in un’ottica liberista, affinché fosse lasciato l’«avvenire aperto» (Fabius).
C’è da dire che al di là della risonanza nazionale degli effetti del referendum socialista, negli ultimi giorni della campagna referendaria si era sempre più destata la preoccupazione continentale intorno all’esito di questa consultazione, vista la posizione di apripista rispetto ai diversi referendum nazionali che si terranno nel corso del 2005. In particolare alcuni capi di governo e gruppi dirigenti dei partiti socialisti e socialdemocratici europei si sono espressi pubblicamente a favore dell’adozione del Trattato costituzionale esortando i socialisti francesi a votare sì, come nel caso di S. Gross (primo Ministro della Repubblica Ceca), G. Shröder (cancelliere tedesco) e J. L. Zapatero (capo del governo spagnolo) con il loro «Sì, tre volte sì alla Costituzione europea» (cfr. Le Monde, 27 novembre), o dell’intervista a P. N. Rasmussen, presidente del PSE (ivi). Per di più tra il 26 ed il 27 novembre si è tenuto un vertice a Madrid del PSE, in cui una commissione presieduta da P. Lamy ha elaborato una piattaforma di 64 proposizioni per prospettare un’Europa «più a sinistra», anche per provare a lanciare la campagna per il sì al referendum spagnolo del successivo 20 febbraio 2005 (in cui andranno a votare il 42,3% degli aventi diritto, con il 76,7% di sì, poco meno di 11 milioni di voti favorevoli, su di un totale di 34 milioni ca. di aventi diritto al voto).
Mentre a sostegno della campagna per il no il 17 novembre alla Mutualité di Parigi è stato ospitato un dibattito in cui L. Fabius ha potuto presentare l’appoggio dell’ex eurodeputato belga J.-M. Dehousse, del vicepresidente del Senato italiano Cesare Salvi (DS) e di Mark Seddon, membro del Labour party di Tony Blair.
3. L’esito del referendum e primi commenti sugli effetti nazionali: il caso dei Verdi
Così si giunge al voto del 1° dicembre 2004 in cui ai 120.027 iscritti al PS si pone un unico quesito: «Approuve-vous la Constitution européenne, oui ou non?».
Prendono parte alla votazione ca. 93.000 militanti, il 78% degli iscritti, e il sì ottiene il 58% dei consensi (uno scarto di circa 15.000 voti) con sole 26 federazioni (su 102) in cui vince il no. In particolare le federazioni del Nord e del Pas-de-Calais, quelle con il maggior numero di iscritti e con i propri dirigenti saldamente assestati per il no, si pronunciano apertamente per il sì, benché il tasso di partecipazione sia inferiore rispetto alla media nazionale. Con ciò il PS francese sembra assestarsi definitivamente nel solco della sua ormai più che ventennale tradizione europeista, che prende le mosse dall’affermazione di un’Europa sociale prospettata già da F. Mitterand agli albori della sua presidenza, evolutasi non senza contraddizioni con l’adozione dell’Atto unico (1986) e del Trattato di Maastricht (1992) adottati sotto la guida socialista e che ora sintetizzabile nei due slogan: «L’Europa sarà socialista, o non sarà» (F. Mitterand nel 1978) e «il PS sarà europeo, o non sarà più» (F. Hollande, cfr. Le Monde del 3 dicembre 2004).
All’interno del PS esce quindi vincente la linea politica della segreteria di F. Hollande e sonoramente sconfitto L. Fabius, con l’effetto di veder compattarsi l’intera classe dirigente socialista in favore del sì al Trattato costituzionale, ma l’effetto di questa unità di intenti sarà terreno di conferma in occasione della prossima campagna referendaria nazionale. Per converso già il fine settimana dopo il responso referendario si è assistito al ritorno dei cd. elefanti del PS (cfr. Libération del 6 dicembre): M. Aubry, J. Lang e D. Strauss-Kahn (ministri con il governo socialista di L. Jospin) lanciano il loro appello per «donare un contenuto forte al riformismo di sinistra» sulle pagine di Le Monde del 5 dicembre e di fatto aprono la lotta per la campagna presidenziale socialista per il 2007. A questo punto il successo politico-istituzionale di F. Hollande sembra ridotto dalla rentrée della vecchia classe dirigente socialista e dal consenso diffuso che continua a ricevere L. Jospin nell’opinione pubblica simpatizzante socialista (cfr. il sondaggio pubblicato in Libération del 6 dicembre 2004). Motivo per cui la lunga campagna presidenziale socialista sembra giocarsi tra questi quattro ex ministri dell’ultimo governo socialista e l’attuale segretario.
A livello nazionale l’esito di questa consultazione ha rincuorato il presidente J. Chirac, fino al punto di anticipare la consultazione referendaria (inizialmente prevista per la fine del 2005) al 29 maggio 2005. Nel frattempo (il 29 ottobre) lo stesso presidente J. Chirac (ex art. 54 Cost.) aveva adito il Conseil constitutionnel per sapere se «l’autorizzazione a ratificare questo Trattato» dovesse «essere preceduta da una revisione costituzionale». E con la decisione n° 2004-505 DC, del 19 novembre 2004 (3) il Conseil ha richiamato l’esigenza di una composita revisione costituzionale precedente l’adozione del Trattato (tra l’altro sia per quanto riguarda le clausole del Trattato che trasferiscono all’Ue delle competenze inerenti le condizioni essenziali di «esercizio della sovranità nazionale», sia per quanto concerne i nuovi poteri riconosciuti ai parlamenti nazionali per opporsi alla «procedura di revisione semplificata» del Trattato – art. IV-444 – e per far rispettare l’applicazione del «principio di sussidiarietà» – protocolli 1 e 2 del Trattato).
La successiva legge costituzionale n° 2005-204 del 1° marzo 2005 (approvata dal Parlamento riunito in Congresso il 28 febbraio 2005) ha modificato il titolo XV della Costituzione nelle parti in cui il Conseil aveva ritenuto necessario l’intervento del legislatore costituzionale.
Il Primo ministro J.-P. Raffarin ha proposto al Presidente della Repubblica J. Chirac, in una lettera del 9 marzo 2005, di sottoporre a referendum, in virtù dell’art. 11 Cost., il progetto di legge che autorizza la ratifica del «Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa».
Il Presidente della Repubblica, con decreto n° 2005-218, del 9 marzo 2005 ha deciso di convocare il referendum il 29 maggio 2005 ed ha quindi emanato due decreti (n° 2005-237 e n° 2005-238, entrambi del 17 marzo 2005) riguardanti l’organizzazione della campagna referendaria e del successivo referendum.
Nel frattempo sulla falsa riga del referendum interno al PS anche il partito ecologista dei Verdi ha ritenuto opportuno consultare i propri militanti e lo ha fatto il 13 febbraio 2005 ottenendo una partecipazione del 58,47% (5126 votanti – per corrispondenza – su 8806 iscritti), in cui i sì hanno raggiunto il 52,63% ed i no il 44,06% (ed un’astensione del 5,31%) (4). Questa assai debole pronuncia favorevole nei confronti del Trattato costituzionale europeo (i sì non raggiungono neanche un terzo degli iscritti alla consultazione – solamente 2698 voti) ha raffreddato gli slanci europeisti di parte della dirigenza dei Verdi francesi che, fino alle precedenti elezioni per il Parlamento europeo, si distinguevano per essere la forza della sinistra francese con maggiore entusiasmo nei confronti dell’evoluzione dell’integrazione comunitaria.
Varrà quindi la pena seguire attentamente l’evolversi del dibattito pubblico francese sulla ratifica del Trattato ed il connesso referendum, mentre già si profila distintamente il no di comunisti e trotzkisti da una parte, quello repubblicano di J.-P. Chevénement e quello dell’estrema destra nazionalista, cui si aggiunge il no del «100% souverainiste» (5), fondatore del Mouvement pour la France, Philippe de Villiers. Senza dimenticare che tanto i socialisti, quanto il centro-destra neogollista e repubblicano hanno al loro interno ampi settori di opposizione alla ratifica del Trattato costituzionale europeo. Nonostante questa complessa e frammentata costellazione di posizioni all’interno dei singoli partiti il governo ha stabilito che, per la ripartizione dei tempi per la campagna referendaria, ci saranno quattro partiti per il sì (UMP presieduto dall’ex ministro N. Sarkozy, UDF di Bayrou, PS e Verdi) e quattro per il no (Fronte nazionale, MPF di P. de Villiers, Rassemblement pour la France di C. Pasqua e il partito comunista).
A tutto ciò si aggiunga la naturale propensione dei referendum francesi a sfociare in appelli plebiscitari pro o contro i governanti (il sottile filo rosso che lega il bonapartismo al gaullismo), quasi si possa ripetere il voto-sanzione contro J. Chirac vanamente sperimentato dalla compagine socialista in occasione delle ultime due elezioni (regionali ed europee). Rimane poi sempre vivo il ricordo del minimo scarto con il quale passò il referendum sull’Ue (Trattato di Maastricht) del 20 settembre 1992, in cui a fronte di un’astensione del 30,3% il sì ottenne il 51,04% (poco più di un terzo dell’intero corpo elettorale).
4. Prime considerazioni sugli effetti continentali del referendum del PS francese
A livello continentale questa insolita consultazione referendaria sembra inviare un doppio allarmante segnale sull’attuale stato del processo di costituzionalizzazione comunitario. Da una parte l’opinione pubblica europea appare frastornata dinanzi ad un processo costituente che giudica per lo più autoreferenziale e sganciato dalla capacità di incidere materialmente nelle dinamiche globali quotidiane. Dall’altra sembra del tutto latitante l’esistenza di una credibile classe dirigente continentale in grado di mobilitare grandi ideali e valori, che riescano a fondare e riempire di contenuti condivisi istituzioni politiche attraverso le quali vivere in comune un futuro preferibile al contesto presente. A tutto ciò si aggiunga il quotidiano referendum-sondaggio sull’adesione della Turchia all’Ue (alla luce dei prossimi, immediati negoziati), il che trascina con sé la continua e sfibrante frizione tra credo religioso e dimensione politico-sociale, già terribilmente al centro della spazio pubblico locale e globale. E rimane sempre in ballo, come sospesa in un vuoto generato dalla propria incapacità di azione, la dimensione globale dell’Unione europea, del tutto inadeguata nel proporsi come credibile mediazione euromediterranea tra Pacifico, Medio Oriente ed Atlantico, o come soggetto che possa anche solo in parte contribuire alla riforma dell’ONU.
L’acutizzarsi di queste aporie dell’ormai pluriennale processo costituente continentale spinge ad interrogarsi sulla reale possibilità di manifestazione della «volontà dei cittadini» nel percorso di ratifica del Trattato costituzionale europeo (6), visto che nel corso di questo e del prossimo anno molte delle cittadinanze d’Europa saranno chiamate a chiudere (sebbene transitoriamente, c’è da augurarsi) il processo di ratifica del Trattato costituzionale, attraverso alcune consultazioni referendarie nazionali. Al momento questa eventualità appare come una paradossale incognita, gravata dall’arbitraria imposizione di accettare o rifiutare in toto un testo costituzionale continentale costituito da più di 450 articoli e redatto in assenza di un reale dibattito pubblico, per tacere di una eventuale e seppur minima partecipazione popolare.
È probabile che proprio l’evoluzione dei meccanismi politico-istituzionali continentali rechi con sé la necessità di ripensare le forme attraverso le quali elaborare, discutere e quindi giungere a decisioni pubbliche e collettive. A cominciare dall’interrogarsi se la previsione di una consultazione referendaria a conclusione di un processo costituente realizzato altrove, con procedure e soggetti difficilmente rapportabili ad una dimensione autenticamente pubblica e democratica (benché sia estremamente apprezzabile l’innovazione introdotta dal cd. metodo convenzione rispetto alle procedure intergovernative), sia lo strumento più idoneo a manifestare la volontà costituente delle cittadinanze, in società complesse, frammentate e pluralistiche come quelle europee. Del resto l’istituto referendario (soprattutto in un contesto di modifica degli assetti istituzionali, per di più calati in un’epoca di così radicale stravolgimento delle tecnologie della comunicazione) trascina con sé il lato oscuro di brutale e arbitraria riduzione delle scelte che sono nella disponibilità delle cittadinanze: finisce con il sacrificare una delle maggiori conquiste delle democrazie pluralistiche, ovvero la possibilità di non escludere nessuna opzione e nessun argomento dall’agenda politica, dal dibattito pubblico e dai processi decisionali.
E di fronte all’attuale tentativo di costituzionalizzare in modo definitivo la trasformazione delle istituzioni comunitarie, nell’epoca della crisi della rappresentanza e delle derive populistico–plebiscitarie, si è consapevoli che la domanda referendaria non possa restare inevasa e al contempo che le parole per rispondere non possano rintracciarsi in un no o un sì, ma necessitino probabilmente di una nuova grammatica politico-istituzionale e di un fare insieme che sia una distribuzione multilivello di percorsi costituenti pluralistici e aperti. Per non sacrificare l’irriducibile ricchezza di nuove pratiche democratiche (situate ben oltre la riduttiva scelta referendaria, il claudicante processo costituente continentale e la sua ratifica statuale), tramite le quali immaginare spazi pubblici continentali, dove sia possibile innescare meccanismi continui di comunicazione orizzontale, partecipazione diffusa e deliberazione democratica, che mettano le cittadinanze d’Europa nelle condizioni di adottare scelte e decisioni condivise collettivamente.
È la scommessa di decostruire dall’interno l’attuale costituzionalizzazione comunitaria, scartando i vicoli ciechi delle false dicotomie referendarie, rispetto ai quali le cittadinanze d’Europa dovrebbero mostrare la saggezza, assente nelle proprie classi dirigenti, di organizzarsi per costruire dal basso un’Europa in perenne dissenso con le sue premesse mercantili e con l’attuale contesto di insicurezza globale.
2. Sulle elezioni francesi per il Parlamento europeo sia concesso rinviare a G. ALLEGRI, Elezioni europee in Francia:quale Europa tra astensionismo e voto-sanzione nazionale?, pubblicato in B. CARAVITA (a cura di), Le elezioni del Parlamento europeo del 2004, Giuffrè, Milano, 2005, pp. 93-107.
3. La sentenza è stata pubblicata anche in www.federalismi.it., n. 23/2004; per un primo commento (in rete ed in italiano) a tale decisione si rinvia a F. DURANTI, Il Conseil constitutionnel e la nuova Costituzione europea, pubblicata in www.forumcostituzionale.it.
4. Cfr. i dati riportati in http://lesverts.fr/article.php3?id_article=2068.
5. Così definito in Le Monde, 18 marzo 2005.
6. Si veda quanto opportunamente osservato da M. CARTABIA, La ratifica del trattato costituzionale europeo e la volontà costituente degli Stati membri, in www.forumcostituzionale.it.
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