Europa, il doppio rischio del no francese (Alain Touraine)
- 18 maggio 2005
L’ultimo sondaggio è quello della Sofres per Le Monde: 53 per cento al no, 47 per cento al sì. A meno di due settimane dal voto gli avversari della Costituzione europea tornano quindi in testa, facendo presagire un finale sul filo di lana. La Francia intera si accalora e si divide, come mai era accaduto da molti anni a questa parte. Ne abbiamo parlato con il sociologo Alain Touraine.
«Io ritengo che questo affare del referendum non debba esser preso sul serio, ma sul tragico. In senso greco, intendo. È questione dirimente, vitale, drammatica. Vi si gioca il futuro della Francia, e il futuro dell'Europa».
Professore, non è che lei esaspera la questione perché preso in contropiede dalle dimensioni del rifiuto della Costituzione europea? Dica la verità: si aspettava un no così massiccio?
«No, non me l'aspettavo. Sono rimasto sorpreso anch'io, come tutti. Jacques Chirac aveva deciso di chiamare i francesi alle urne quando i sondaggi davano il sì al 60-70 per cento. Non gli farò il torto di rimproverargli di aver scelto la via referendaria, anziché l'approvazione parlamentare. Anch'io pensavo che fosse una strada in discesa, e che sarebbe stata benedetta dall'espressione democratica del popolo. Invece la strada è in salita, e per giunta ripida».
La sorpresa viene dalla volontà punitiva verso il governo, che trascina con sé il destino del Trattato…
«No, attenzione. Ci si può sorprendere dalle dimensioni potenziali del no, ma non del fatto che questo no esprima un malcontento che con la Costituzione europea non ha nulla a che fare. Non ci si può e non ci si deve sorprendere del malessere sociale che percorre il paese. Ci si può stupire invece del fatto che ai vertici del partito socialista vi siano dirigenti che svolgono un ruolo cruciale per le fortune del no. Lo sa che nel “bureau” nazionale del partito, la direzione, la maggioranza è favorevole al no? Questo è strano e sorprendente, non il fatto che la gente manifesti il suo malumore attraverso il referendum».
Volenti o nolenti, lo schema che si è disegnato pare semplificare il problema: il no è di sinistra, il sì è di destra.
«Purtroppo c'è del vero in quel che lei dice. Ma è uno schema che non esaurisce la questione. Quel che è abbastanza chiaro è che la Francia dei piani bassi è favorevole al no, quella dei piani alti è favorevole al sì. Voteranno per il Trattato coloro che dall'Europa sanno di non aver nulla da temere. Gli altri, hanno trovato un capro espiatorio, e voteranno no. Ma nella Francia dei piani bassi non c'è solo una certa sinistra. Ci sono anche Le Pen e i suoi imitatori».
D'accordo. Quindi?
«Quindi ci avviciniamo al nocciolo del problema. L'Europa com'è oggi esiste in quanto misto di politiche liberali e di politiche socialdemocratiche. La domanda è la seguente: se questo equilibrio si spezza, non è forse a causa dell'avanzata inesorabile del liberismo più sfrenato? E questa è la risposta che molti si danno: l'equilibrio sociale europeo si sta squagliando, il liberismo avanza, e con esso la mondializzazione. E quest'ultima, è cosa nota, porta con sé l'egemonia americana. Conclusione: se non posso più fare affidamento sull'Europa per oppormi a questa deriva, non mi resta che lo Stato francese. E divento "sovranista", quindi voto no».
Quali argomenti può opporre il fronte del sì a questa logica?
«Deve spiegare che la socialdemocrazia non è morta, che non ha abbandonato il campo. Che non è vero che Tony Blair, per esempio, ha tranquillamente infilato le pantofole abbandonate da Margaret Thatcher. Che in Gran Bretagna lo Stato sociale esiste, e che i laburisti l'hanno rafforzato. Che non si capisce perché l'uscita dal quadro europeo dovrebbe impedire, eventualmente, l'arrembaggio liberista. Che l'equilibrio tra politiche liberali e socialdemocratiche è possibile solo dentro una cornice europea. Che non è pensabile l'abolizione dell'economia di mercato, pena la miseria. E che d'altra parte non è pensabile il liberismo senza freni, pena il disordine rivoluzionario».
Non sono cose facili da spiegare in un comizio, o in un dibattito televisivo.
«Certo che no, e questo spiega in parte le difficoltà del fronte del sì. Ma mi lasci finire. Quanto dicevo ci porta ad incontrare un tema cruciale: la rivolta contro le élites, la sfiducia nelle cosiddette classi dirigenti. È questa la scorciatoia attraverso la quale passa il populismo, quello di estrema destra come quello di estrema sinistra. Questo è il vero pericolo per la Francia: la nascita di un populismo bulldozer. In Europa è già accaduto. In Italia, per esempio, con Berlusconi e Bossi».
Basta questo per spiegare le fortune del no?
«Io penso che il no alla Costituzione europea sia talmente assurdo da non trovare in sé le ragioni di esistere. Non scordiamoci la tradizione statalista della Francia, quella visione hegeliana che fa dire: l'economia è il male, lo Stato è il bene. Ma al di là di questo: bisogna spiegare che la vittoria del no, spaccando la sinistra e il Ps, porterà all'elezione di Nicolas Sarkozy alle presidenziali, quindi all'ascesa all'Eliseo del campione del liberismo. L'esatto contrario di quanto auspicano gli elettori del no. Non sarà la Costituzione europea a disarticolare il servizio pubblico francese. Lo farà invece Sarkozy».
Quali sono stati gli errori compiuti dal fronte del sì?
«Un grande errore è stato di aver considerato che il buon senso comune l'avrebbe vinta facilmente. A questo si sono aggiunti una serie di piccoli errori. Per esempio quando Jack Lang presenta i suoi comitati di sostegno per il sì: un'accolita di gente di cultura e spettacolo che è l'immagine stessa dell'élite, così lontana dalle preoccupazioni quotidiane dei francesi. Ci sono ottime possibilità che la gente li mandi al diavolo, anziché prenderli ad esempio».
Quali le conseguenze di una eventuale vittoria del no?
«La prima che mi viene in mente è l'implosione della sinistra. Un partito socialista ingovernabile. Non me la sento di dare la croce addosso a François Hollande, il segretario. Ha vinto due elezioni importanti, le regionali e le europee. Ha vinto alla grande anche il referendum interno sulla Costituzione, con il 60 per cento dei consensi dei militanti. Chi altri, al posto suo, non sarebbe andato fiducioso al referendum? Invece oggi è travolto dagli eventi, non li controlla più. Siamo chiari: al giorno d'oggi il partito socialista non esiste. Se il no dovesse vincere, è ovvio che sarà Fabius il campione socialista alle presidenziali. Ma uno come me, per esempio, non voterà certo Fabius».
E sul piano europeo?
«Non ci sarà più una Costituzione, e l'Europa ne sarà grandemente indebolita. La Francia perderà il suo primato politico, con grande gioia di alcuni paesi dell'est che preferiscono guardare a Washington. Il rapporto con l'Islam resterà quello che definiranno gli Stati Uniti. Per questo considero che si tratti di un affare di estrema gravità».
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