Le illusioni della sinistra che vota no sull'Europa
PER lungo tempo, le élite politiche hanno portato avanti da sole l'unificazione
europea; e finché tutti se ne avvantaggiavano, i cittadini erano soddisfatti.
Finora il progetto europeo si è legittimato da sé, grazie ai suoi risultati.
Ma a fronte dei conflitti distributivi che si profilano nell'Europa dei
venticinque, una legittimazione basata sul puro e semplice output non può più bastare. I cittadini rifiutano di essere diretti con metodi burocratici, e anche nei Paesi più europeisti il grado di accettazione è in calo. Per di più, il tandem franco-tedesco ha perso il ritmo, e non è più in condizioni di indicare la direzione di marcia.
In questa situazione, il governo francese ha avuto il coraggio di sottoporre la ratifica della Costituzione a un referendum. Da tedesco deluso dalla pusillanimità dei politici del mio Paese, invidio la Francia. Questa Repubblica
francese ha ancora la consapevolezza dei capisaldi democratici di una tradizione
della quale non vuole mostrarsi indegna. L'atto costituente si compie così nel confronto tra opinioni polarizzate e voci dissonanti, attraverso la conta dei sì e dei no espressi dagli elettori. Dovremmo dunque rallegrarci di questo dibattito a più voci, se non fosse per un piccolo problema: guardando
alla Francia al di là dei nostri confini nazionali, ci rendiamo conto che
il voto francese potrebbe mettere a repentaglio una Costituzione che è anche
la nostra.
Allo stesso modo, i francesi dipendono dal voto dei britannici, dei polacchi,
dei cechi e di tutti gli altri. Mentre di norma un popolo è chiamato a pronunciarsi sulla propria legge costituzionale, la Costituzione europea potrà nascere solo dall'adesione concomitante di venticinque popoli, e non da una volontà maturata contestualmente dai cittadini europei.
Difatti, non esiste ancora uno spazio pubblico europeo, né una tematica
transfrontaliera, né un dibattito pubblico a livello dell'Ue. La discussione su ciascuno dei processi referendari si svolge quindi all'interno dei rispettivi
spazi pubblici nazionali. E quest'asimmetria è pericolosa, perché la priorità
attribuita ai problemi nazionali - nel caso della Francia, le riserve verso il governo e la presidenza di Chirac - distoglie l'attenzione dai problemi reali che si porrebbero nel caso dell'accettazione, o al contrario in quello del rifiuto della Costituzione. Dovrebbe almeno esistere, nello spazio pubblico di ciascun Paese, la possibilità di vagliare anche i pro e i contro delle altre nazioni.
A mio parere, se la sinistra si pone l'obiettivo di domare e civilizzare il capitalismo attraverso il "no" alla Costituzione europea, fa la scelta sbagliata nel momento sbagliato.
Esistono ovviamente buone ragioni per criticare la via su cui si è immessa l'unificazione europea. La visione politica di Delors è stata battuta, e l'integrazione europea si è andata sviluppando in senso orizzontale, con la creazione di un mercato comune e di un'unione monetaria parziale. È però
presumibile che l'unione politica non avrebbe potuto farsi strada senza la dinamica degli interessi economici. Di fatto, questa dinamica non fa che rafforzare la tendenza alla deregulation dei mercati su scala mondiale.
Ma l'idea xenofoba della destra, che vorrebbe sventare le difficoltà sociali
conseguenti alla cancellazione delle frontiere ripiegando sulle forze protezioniste dei singoli stati nazionali, oltre che sospetta sul piano normativo, è del tutto priva di realismo La sinistra non dovrebbe lasciarsi contaminare da riflessi regressivi del genere.
Da molto tempo ormai la capacità normativa dei singoli stati non basta più a tamponare gli effetti ambivalenti della globalizzazione economica. Il tanto celebrato "modello sociale europeo" potrà essere difeso solo se la politica saprà ritrovare la capacità di confrontarsi con i mercati nel quadro europeo. Solo a questo livello si può infatti sperare di ricuperare in parte la capacità di regolazione politica che ormai, comunque vadano le cose, è in via di declino nei singoli Stati. (...) Una sinistra che voglia resistere al regime economico neoliberista deve guardare al di là dell'Europa. Per poter contrapporre al consenso di Washington oggi dominante un'alternativa socialdemocratica nel senso più ampio del termine, l'Unione europea dovrà potenziare la propria capacità d'azione non solo al proprio interno, ma anche nei suoi rapporti esterni. Dovrà, in ogni caso, imparare a parlare con una sola voce in politica estera, se vuole tener testa a un liberismo egemonico che si propone di imporre all'intero pianeta, se occorre anche unilateralmente e con la forza delle armi, un sistema che assimila libere elezioni e libertà dei mercati.
(...) Per le altre nazioni, un eventuale no della Francia avrebbe inoltre un significato specifico. Fu la nazione francese, alla fine della seconda guerra mondiale, ad assumere la generosa iniziativa della riconciliazione con la Germania, aprendo così la strada all'unificazione europea; e non ha mai cessato di incoraggiarla con sempre nuovi impulsi. Se oggi, nel momento critico di un difficile crocevia, la Francia deviasse dalla rotta fin qui seguita, ne conseguirebbe inevitabilmente, per tutta l'Europa, una depressione destinata a durare a lungo. (...)
Traduzione di Elisabetta Horvat
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