Euro e referendum: Lira? Non scherziamo
E se dopo il progetto di costituzione europea, bocciato sonoramente anche dall’Olanda, saltasse per aria anche l’euro, con l’intera struttura dell’Unione economica e monetaria (UEM) che lo circonda? In queste ore circolano voci, semplici rumours, in questo senso, non ultimo perché si è scoperto che una delle ragioni che hanno indotto gli elettori francesi e olandesi a votare no nei rispettivi referendum riguarda proprio lo scontento suscitato dalla sostituzione delle monete nazionali con la moneta unica. Difficilmente nell’immediato o nei prossimi mesi queste voci sono destinate a essere confermate dai fatti, ma certo la sconfitta della costituzione europea ha indebolito l’euro, che nell’arco di pochi giorni ha perso un bel po’ di terreno nei confronti del dollaro. D’altro canto l’ex ministro delle finanze francese Dominique Strauss-Kahn aveva predetto che un no al referendum avrebbe posto in pericolo la stabilità della moneta europea.
Tuttavia, l’ipotesi di un fallimento dell’euro, una catastrofe di portata incalcolabile, può essere esclusa, per ora, perché i costi della sua abolizione e del ritorno alle monete nazionali sarebbero troppo elevati. Non solo per la Francia e la Germania, ma per tutti i paesi dell’UEM. Il compromesso, questo sì veramente storico, concluso fra Mitterrand e Kohl per permette alla Germania di riunificarsi con l’accordo francese, in cambio della rinuncia allo strumento della potenza economica tedesca, il marco, verrebbe rinnegato. Il vaso di Pandora delle tensioni nazionalistiche fra i due paesi verrebbe riaperto, riportando indietro la storia europea di più di cinquant’anni. Per i paesi più deboli dell’unione monetaria, come l’Italia, si aprirebbero prospettive da economia sudamericana. Nonostante i ripetuti attacchi all’euro e all’Europa come responsabili di tutti i nostri mali, anche l’attuale maggioranza sa che il nostro destino rischierebbe di essere simile a quello dall’Argentina. La reintroduzione della lira ci porterebbe a un cambio stratosferico nei confronti del dollaro, i tassi di inflazione e di interesse salirebbero a due cifre, il servizio del debito assorbirebbe una quota spropositata del bilancio dello stato e il rischio di un’insolvenza del nostro debito pubblico potrebbe diventare una tragica realtà. Tutti i paesi dell’UE, anche quelli esterni all’unione monetaria, si troverebbero di fronte ad una situazione di incertezza e di instabilità che renderebbe difficile la gestione in comune degli affari europei. Senza contare che, sul piano esterno, i primi beneficiari del fallimento dell’euro sarebbero il dollaro e gli Stati Uniti.
Rischierebbe di realizzarsi la nefasta previsione di uno dei maggiori economisti americani neoconservatori, Martin Feldstein, secondo il quale l’UEM è destinata a una fine funesta: non solo l’euro dovrebbe presto o tardi fallire, ma l’intero processo di integrazione si arresterebbe e –toccate ferro- si assisterebbe a un ritorno della guerra fra Francia e Germania.
Ma se per ora è escluso che questo scenario da fantastoria possa realizzarsi, la crisi dei no ai referendum sulla costituzione europea riporta in primo piano il problema della fragilità dell’UEM. Una moneta senza Stato quale è l’euro alla lunga non può esistere, e tutta la storia delle unioni monetarie, in particolare dell’Unione monetaria latina cui anche l’Italia partecipava, ci insegna che in assenza di un governo comune, ovvero di un’unione politica, esse sono destinate al fallimento. La prima seria crisi che l’euro sta probabilmente attraversando dovrebbe indurre i paesi, che tengono alla sua sopravvivenza, a porsi seriamente il problema del governo economico dell’UEM, al di là dei limiti del Patto di Stabilità, che nessuno sembra voler ormai rispettare.
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