Rilanciare il processo costituente europeo per un'Europa soggetto di pace
I No francese ed olandese possono mettere in questione questa Costituzione europea, ma non la necessità di rafforzare e democratizzare l'Unione, rendendo l'Europa capace di agire sul piano internazionale.
I due No sono molto diversi tra loro ed eterogenei al loro interno. Ma mostrano con chiarezza il degrado della politica, e quindi della democrazia, nazionale. I problemi della società europea non ammettono risposte nazionali, e pertanto la classe politica moderata o "di governo" – di destra e di sinistra, cha sia in questo momento al governo o all'opposizione non conta – non è in grado di offrire soluzioni. La politica diventa lotta per il potere per il gusto del potere, senza progettualità e capacità di risposta alle esigenze sociali, e seleziona leaders cinici e senza visione, pronti a sacrificare l'interesse collettivo alla speranza di vantaggi politici personali – il che vale per Chirac, così come per Fabius. Così i giovani si allontanano dalla politica dei partiti e si impegnano solo nella società civile.
Si crea così un forte malcontento sociale e si apre uno spazio politico per il populismo e il nazionalismo, che si richiama alla passata età dell'oro nazionale, e predica la chiusura delle frontiere: in sostanza l'autarchia contrapposta alla globalizzazione. Così si spiega il voto francese al primo turno delle scorse presidenziali, e a questo referendum. Nel Parlamento francese la Costituzione sarebbe stata ratificata con il 90% dei voti, ma al referendum ha preso il 45% dei suffragi: la classe politica nazionale è delegittimata e lontana dai cittadini, molto più dell'Unione europea in quanto tale.
Queste due vittorie del populismo di destra e di sinistra scoperchiano il vaso di pandora delle forze del nazionalismo, che cercano di sfruttare il vento favorevole e puntano subito al bersaglio grosso: l'Euro, il vero potere europeo che c'è. Difficilmente potranno vincere subito questa battaglia, ma cercheranno di rinazionalizzare altre politiche e di indebolire i vincoli di bilancio dell'Unione monetaria. Se ci riusciranno la situazione economica e politica europea peggiorerà, e cercheranno di far ricadere la responsabilità sull'Euro per disfarsene una volta per tutte. È stato l'Euro a permettere l'apertura di un processo costituente. Finché tiene, la contraddizione di un mercato unico, una moneta unica e 25 politiche economiche nazionali terrà aperto il processo di unificazione.
La necessità di un vero governo europeo per rilanciare l'economia e per permettere all'Europa di giocare un ruolo attivo sulla scena internazionale rimane, è sentita. Tutti i sondaggi mostrano che cittadini europei vorrebbero che l'Europa agisse come soggetto unitario sul piano internazionale, ponendosi come un grande attore di pace. E criticando l'Europa per la stagnazione economica, mostrano di comprendere implicitamente che solo da politiche europee può venire il rilancio. Il problema è che l'Unione può agire con efficacia solo nei campi in cui la Commissione funziona come un governo europeo sia sul piano interno che sul piano internazionale (il commercio, l'anti-trust), mentre è impotente nei campi in cui il potere rimane al Consiglio (che rappresenta i governi nazionali) dove spesso si decide all'unanimità, ovvero non si decide).
Ora, è possibile che le procedure di ratifica procedano. Questo darebbe ai governi un po' di tempo e permetterebbe di tenere aperto il processo. Non a caso la Gran Bretagna si oppone, congelando il referendum per chiudere qui la partita, ma probabilmente pronta a rimetterlo in pista, se il suo No fosse decisivo per un affossamento definitivo. Se si arrivasse a 20 ratifiche e si aspettassero le elezioni presidenziali francesi forse sarebbe possibile organizzare un referendum europeo per dare di fatto modo ai francesi di rivotare. Oppure, se la Germania fosse disposta ad andare avanti senza la Francia, e gli altri Paesi a seguire la leadership tedesca, la Francia si troverebbe costretta a rilanciare per rientrare in gioco - presumibilmente già prima dell'entrata in vigore della Costituzione, nel momento in cui divenisse palese la volontà di andare avanti senza la Francia, di usare la Dichiarazione 30 sulla ratifica con 4/5 degli Stati non (solo) nei confronti della Gran Bretagna, ma anche eventualmente della Francia. Le procedura di ratifica offrono dunque uno spazio di tempo per agire e indicare la strada per superare l'impasse, sapendo che i politici europei sono incapaci di rispondere da soli all'offensiva nazionalista indicando l'alternativa europea, come mostra l'esperienza dei referendum.
Bisogna fare in modo che la crisi investa questa costituzione, ma non l'idea che l'Europa ha raggiunto con l'Euro un tale livello di integrazione da essere una polity che richiede una Costituzione, perché è nel corso di un processo costituente che il progetto di un'Europa democratica (cioè federale) può affermarsi. I governi si sono dimostrati incapaci di creare un'Europa come la vogliono i cittadini – quale che sia.
Bisogna dare la parola ai cittadini europei per far loro decidere quale Europa vogliono, e non solo per mettere un timbro di approvazione o per distruggere l'intero edificio. Bisogna rivendicare una nuova procedura costituente democratica, da concludersi con un referendum europeo, sottolineando che tale processo deve partire anche solo da un'avanguardia di Paesi, se alcuni – come prevedibile - non saranno disposti a riconoscere ai cittadini europei il loro potere costituente.
Questa posizione è altamente democratica, e sufficientemente radicale da controbilanciare le campagne nazionaliste per la rinazionalizzazione delle politiche europee. Sfrutta alcune delle lezioni che i governi stanno traendo dai No francese e olandese, come mostra la discussione sul referendum europeo. Può riportare nel campo europeo i cittadini che in buona fede hanno votato no perché volevano un'Europa più democratica e sociale (non i loro leaders che chiaramente in buona fede non erano) – e il referendum mostra che si tratta di una fetta di cittadini decisiva per determinare la vittoria o la sconfitta del campo europeo. Il processo di unificazione europea vive ora un momento difficile, con la ripresa del nazionalismo come dopo Maastricht, ma se saprà superarlo si potrà uscire da questa crisi con un rilancio del processo costituente volto a creare un governo federale europeo dotato dei poteri necessari sul bilancio e la difesa, e quindi a trasformare l'Unione – o parte di essa – in un vero Stato federale europeo, condizione perché l'Europa possa divenire un grande attore di pace.
La situazione internazionale mostra che quando l'Europa riesce ad agire come un soggetto unitario promuove il multilateralismo svolgendo un ruolo positivo di catalizzatore di consensi sulla scena mondiale, come accaduto per la creazione dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, della Corte Penale Internazionale, per il sostegno al Protocollo di Kyoto. È soprattutto sul piano politico e della sicurezza che l'Europa non è in grado di agire, mentre avrebbe enormi potenzialità. L'Unione europea non ha spese militari, ma i suoi Stati membri spendono per la difesa nel loro insieme circa 2/3 della spesa americana, quasi il 20% della spesa mondiale per la difesa, senza esser in grado di mettere sul campo capacità militari effettive – anche perché il 70% di tale spesa riguarda stipendi, mentre negli USA armamenti e ricerca. In Europa vi sono così quasi 2 milioni di uomini in armi, impiegabili invece in attività ben più produttive, anche perché una guerra tra Francia e Germania o tra Italia e Austria non sembra oggi possibile.
L'Europa non ha significative minacce militari alle sue frontiere e quindi non può e non deve puntare a divenire una superpotenza militare, ma deve rafforzare le sue capacità nella soft-security, rispetto alle operazioni di peace-keeping, peace-enforcing, e di ricostruzione e nation-building. La creazione di un sistema di sicurezza europeo, al posto di quelli nazionali, e composto fin dalla sua origine da un esercito di professionisti e da corpi civili di pace, e affiancati da un servizio civile europeo - per educare i giovani europei ad agire per la pace e in programmi di aiuto allo sviluppo o di solidarietà sociale - permetterebbe al contempo un notevole risparmio di risorse e una maggior capacità di contribuire alla stabilità internazionale.
Sarebbe questo un vero modello di Europa potenza civile, ma richiede, ovviamente, un governo europeo. Non si può creare un apparato di sicurezza senza istituire un governo democratico verso cui tale apparato deve essere responsabile. Un tale governo avrebbe automaticamente la capacità di agire anche su altri piani. Già ora gli europei detengono quote di maggioranza relativa nel Fondo Monetario Internazionale e nella Banca Mondiale, ma essendo divisi ne lasciano il controllo agli USA, che li impiegano per promuovere politiche neo-liberiste che non hanno sempre dato buona prova di sé. I popoli, ed anche i governi, europei spesso le criticano, come se fossero responsabilità altrui, dimenticando che basterebbe assegnare le loro quote all'Unione e delegare alla Commissione la rappresentanza europea in quelle sedi per avere immediatamente il potere di cambiarle. Naturalmente ciò può accadere solo se esiste un centro di governo democratico europeo, non soggetto ai veti nazionali – altrimenti alla paralisi europea si aggiungerebbe quella delle organizzazioni internazionali – e in grado di mettere le sue politiche al servizio della pace e dello sviluppo umano a livello mondiale.
Anche un seggio dell'Unione nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU sarebbe auspicabile, ma richiede un governo democratico europeo. Un'Unione europea paralizzata dai veti nazionali non sarebbe infatti in grado di esprimere alcuna posizione di fronte ad una crisi, e il suo seggio sarebbe inutile, o addirittura dannoso per l'efficacia dell'azione dell'ONU. È evidente che l'Unione sarebbe un soggetto con cui fare i conti – contrariamente alla Francia la cui minaccia di porre il veto in Consiglio non ha certo impedito agli USA di lanciare la guerra in Iraq, perché la Francia non ha alcun potere reale sulla scena mondiale – ma solo se fosse politicamente unita. E sbaglia chi ritiene ciò impossibile a causa della diversità d'opinioni dei cittadini europei: anche in Italia l'opinione pubblica era divisa sulla guerra in Iraq, ma essendoci un parlamento e un governo che decidono a maggioranza e non all'unanimità l'Italia ha potuto decidere la sua posizione – che purtroppo è stata a favore della guerra. Decidere significa prendersi delle responsabilità: gli europei devono decidere se preferiscono rimanere nel limbo dell'impotenza, pronti a criticare gli USA quando intervengono (in Iraq), o quando non intervengono (in Rwanda), ma senza dotarsi degli strumenti per agire essi stessi e prendersi le loro responsabilità nel contribuire a creare un ordine mondiale che dicono di volere diverso.
Roberto Castaldi
Sociale.network