La stasi europea e la resistibile risoluzione del parlamento europeo

L'Europa ampliata non può funzionare senza una riforma istituzionale. Per tale ragione, il Parlamento chiede l'adozione di una nuova Costituzione prima di procedere a altre adesioni, oltre a quelle di Romania e Bulgaria. Ma oggi l'Europa è chiusa tra l’immobilismo degli assetti istituzionali comunitari e l’inadeguatezza delle classi dirigenti nazionali ed europee
"Dirò, quando sarò morto, che l’Europa è una grande disgrazia della terra, che voi in America avete preso il meglio che l’Europa aveva da offrire, mentre speravate di evitare il peggio…"

E. L Doctorow, La città di Dio, 2000.

31 gennaio 2006
Giuseppe Allegri
Fonte: Centro Riforma dello Stato - Rubrica Europa anno zero - 30 gennaio 2006

Il “periodo di riflessione” nel pantano europeo.

Manifestazioni a Berlino pro (Jef) e contro (Attac) la Costituzione europea

Dopo i risultati negativi dei referendum francese ed olandese della tarda primavera dello scorso anno (29 maggio e 1° giugno)(1), che hanno interrotto il percorso di ratifica del “Trattato che adotta una Costituzione”, il processo costituzionale europeo vive una fase di stallo che le élites europee si sono incaricate di definire “periodo di riflessione”.Già il Consiglio europeo del successivo 18 giugno 2005 aveva dichiarato aperto questo periodo che, nell’ottica dilazionatoria di quel consesso di Capi di stato e di governo, avrebbe dovuto consentire “in ciascuno dei nostri paesi un ampio dibattito, che coinvolga i cittadini, la società civile, le parti sociali, i parlamenti nazionali e i partiti politici”. Fu con una certa dose di soddisfazione che Tony Blair, presidente di turno di quel Consiglio europeo, inaugurò tale pausa, con l’intento di sospendere i processi di ratifica ed in generale archiviare il percorso costituzionale comunitario. Infatti dopo quella solenne Dichiarazione, più nulla si era detto e fatto per rendere produttiva questa fase di ripensamento, che sembra invece contraddistinguersi per un prolungato immobilismo delle classi dirigenti, delle supreme istituzioni comunitarie (in particolar modo Commissione e Consiglio) ed un ancor più colpevole afonia delle forze politiche di qualsiasi colore e nazione. L’incantesimo avrebbe potuto essere infranto da un chiaro, forte ed univoco pronunciamento del Parlamento europeo, sede istituzionale comunitaria che, agli occhi dei più sinceri europeisti, poteva incaricarsi di prendere in mano la situazione e proporre almeno una riparlamentarizzazione della crisi istituzionale comunitaria.

L’iniziale proposta dell’Europarlamento: “rinegoziare la Costituzione”

Così nel corso dell’autunno successivo l’europarlamentare, liberaldemocratico, britannico Andrew Duff ed il suo collega verde, austriaco Johannes Voggenhuber partirono proprio da una radicale critica dell’immobilismo in cui si crogiolavano Tony Blair e José Barroso (definiti come candidati all’incarico di “becchini della Costituzione” (2), per inaugurare un nuovo percorso di rilancio del dibattito sul futuro dell’Europa. Intorno alla metà di settembre fu lo stesso Andrew Duff a parlare di volontà di “rinegoziare la Costituzione”(3), attraverso una procedura che avrebbe potuto prevedere tre fasi: un dialogo europeo interparlamentare, una nuova Convenzione con l’intento di elaborare un Trattato “definitivo” a partire dalle parti del Trattato costituzionale dove maggiore era il consenso (e quindi modificare sostanzialmente e/o eliminare la III parte), quindi cadenzare il tutto per le elezioni dell’Europarlamento del 2009, data in cui si sarebbe proposto un “voto consultivo” europeo su quel nuovo testo. A grandi linee era questa la sostanza della proposta che i due correlatori fecero il 30 settembre 2005 all’interno della Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo e che venne salutata con una ventata di ottimismo da gran parte degli analisti europei sensibili alle sorti costituzionali del Continente. In particolare sembrava di scorgere una forte presa di posizione politica da parte dei rappresentanti europarlamentari: una volontà di prendere sul serio il no franco-olandese per spostare il processo di costituzionalizzazione nelle sede parlamentari, con un dialogo continuo tra partiti politici e strutture più o meno organizzate della società civile. Ma soprattutto si evocava la volontà di modificare e appunto rinegoziare il Trattato con procedure consultive più aperte al dialogo, per sanare e non aggirare il dissenso popolare.

La risoluzione votata dall’Europarlamento: la Dichiarazione 30 ed i tre no

Ora, lo scorso 19 gennaio, il Parlamento europeo ha adottato la “Risoluzione sul periodo di riflessione: struttura, temi e contesto per una valutazione del dibattito sul futuro dell’Unione europea” (2005/2146(INI)), presentata dai succitati relatori Andrew Duff (ALDE/ADLE, UK – liberaldemocratici) e Johannes Voggenhuber (Verdi/ALE, AT), con 385 voti favorevoli, 125 contrari e 51 astenuti(4). Tale risoluzione è quanto di più distante dalla proposta di lavoro inizialmente avanzata dai due correlatori: sia per analisi politica della situazione, quanto, soprattutto, per le modestissime idee che mette in campo per riaprire il processo costituzionale.Di fronte allo status quo continentale la risoluzione pone all’inizio delle sue considerazioni un esplicito richiamo alla “Dichiarazione 30” allegata al Trattato costituzionale, in base alla quale, se, “al termine di un periodo di due anni a decorrere dalla firma del trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, i quattro quinti degli Stati membri hanno ratificato detto trattato e uno o più Stati membri hanno incontrato difficoltà nelle procedure di ratifica, la questione è deferita al Consiglio europeo” (punto H dei consideranda). Sembra manifestarsi immediatamente la volontà di restare all’interno del processo costituzionale disegnato dal Trattato, proseguendo nei processi di ratifica e riducendo il no franco-olandese più ad “un’espressione di dissenso sullo stato attuale dell’Unione che [a] un’obiezione specifica alle riforme costituzionali, ma, paradossalmente, ha come risultato il mantenimento dello status quo e il blocco delle riforme”. Ecco le premesse della risoluzione parlamentare: conservazione del processo previsto dal Trattato costituzionale e volontà di non assumere politicamente il doppio no referendario; quanto di più distante dalla presa d’atto polemica e sostanziale esplicitata nella versione iniziale della proposta di risoluzione.Quindi si procede con l’esplicitare il rifiuto di tre ipotesi politiche per il proseguimento dell’integrazione comunitaria:· a) l’impossibilità di ulteriori adesioni (dopo Bulgaria e Romania) sulla base del trattato di Nizza;· b) rifiuto sia del costituirsi di un “nocciolo duro di Stati membri”, sia del “formarsi di coalizioni di taluni Stati al di fuori del sistema dell’UE”;· c) evitare una “strategia basata su un’attuazione selettiva della Costituzione”.Le proposte: l’esigenza di “riforme democratiche”, nuovo dialogo pubblico e forum interparlamentari.L’ottica compatibilistica di conservazione dell’iter previsto dal Trattato sembra talmente opprimere tale risoluzione che si sente il bisogno di affermare che “numero limitato di riforme democratiche può essere introdotto in questa fase senza modifiche al trattato, ma mediante revisione del regolamento o dell’accordo interistituzionale” (punto 9); come a voler sottolineare la necessità di queste riforme (che potrebbero comprendere la “trasparenza del processo legislativo”, fino all’”introduzione di una forma di iniziativa dei cittadini” e a miglioramenti nelle procedure di “comitologia”), ma da realizzare senza mettere in discussione il testo del Trattato ed il contesto politico.Ma proprio di fronte ad esigenze che giustificherebbero un radicale ripensamento delle procedure e dei contenuti presenti attualmente nell’agenda politico-istituzionale comunitaria si finisce con il proporre quella che sembra un’ossessiva ripetizione: aprire un ampio dibattito pubblico, un “nuovo dialogo” condotto sia nel quadro europeo che in quello nazionale, organizzando congiuntamente delle conferenze, dei “Forum parlamentari” (tra livelli nazionali ed europeo, cominciando con “un primo forum interparlamentare convocato per la primavera del 2006”), pubblicando “documenti europei" (da parte dell’Europarlamento) sulle "grandi questioni che l’Unione deve affrontare". Sembra davvero di assistere all’"eterno ritorno dell’identico": una coazione a ripetere che spinge l’istituzione rappresentativa comunitaria per eccellenza a percorrere gli stessi sentieri (dimostratisi interrotti) battuti, con scarsi successi dal punto di vista della partecipazione e della legittimazione politica, nel corso dell’ultima decina di anni dai processi convenzionali.

Non manca poi un richiamo alla necessità "strategicamente importante [di] incoraggiare un atteggiamento proattivo dei mezzi di informazione", quindi di impegnare tutti i livelli istituzionali (dagli enti locali-regionali in su) ad organizzare dei "Forum dei cittadini", in cui le parti sociali e le organizzazioni della società civile partecipino attivamente ai dibattiti, per finire con una vaghissima allusione alla previsione di "finanziamenti adeguati".

Davvero uno sforzo immaginativo assai limitato, al punto da far temere una esplicita volontà politica di perseverare nelle forme e negli strumenti esistenti, per far terminare questo periodo di riflessione nella seconda metà del 2007, con l’evidente speranza che "la possibilità di mantenere il testo attuale costituirebbe un risultato positivo", per "garantire l’entrata in vigore della Costituzione nel corso del 2009". E da parte nostra non si dimentica che nel corso del 2007, oltre ad esserci la presidenza tedesca del Consiglio europeo, si voterà in Francia (politiche e presidenziali, a primavera) e in Olanda, i due paesi del no popolare: sarà decisivo comprendere in che modo si arriverà a queste scadenze.

La crisi dell’Europarlamento e l’infinita pausa del processo costituzionale europeo

La modestia e la vaghezza sia delle opzioni di fondo che delle proposte formulate per uscire dallo stallo del processo costituzionale continentale non ammettono scusanti: l’incapacità politica di riaprire il processo costituzionale europeo da parte dell’Europarlamento è sotto gli occhi di tutti. Si verbalizza un’assoluta inanità delle forze politiche di raccogliere la sfida del no popolare franco-olandese. Tale atteggiamento deve far riflettere quella porzione di opinione pubblica europea ancora disponibile a pensare politicamente l’Europa. Di fronte allo scacco dei processi di ratifica e alla manifestazione di un dissenso popolare nei confronti di alcune parti del testo del Trattato l’Europarlamento era nella condizione di assumere su di sé la volontà politica di proporre un nuovo inizio del processo costituzionale; e così sembrava ancora nell’autunno scorso, dinanzi all’immobilismo di Consiglio e Commissione.

Questo assai modesto pronunciamento del Parlamento europeo sembra inserirsi in una fase involutiva dell’assise parlamentare continentale, tradizionalmente la più spregiudicata ed aperta alle innovazioni politico-istituzionali e al riconoscimento di nuovi diritti. Basti guardare il voto parlamentare del 17 gennaio, con il quale è stata bocciata la proposta di risoluzione sulla "cittadinanza dell’Unione in funzione della residenza", che avrebbe permesso il "riconoscimento dei diritti politici a chiunque risieda legalmente e stabilmente nel territorio dell’Unione europea".Ciò dovrebbe in primo luogo indurre ad una approfondita riflessione riguardo l’attuale composizione del Parlamento europeo, in particolare agli effetti dirompenti, rispetto alle dinamiche tradizionali (destra/sinistra, progressisti/conservatori, etc.), prodotti dall’ingresso dei rappresentanti parlamentari dei dieci nuovi paesi dell’allargamento(5). Ma la pochezza di questa risoluzione parlamentare non ammette scuse e sarebbe stato forse auspicabile che i Relatori si fossero dimessi dal loro ruolo o comunque avessero fatto uno scatto di orgoglio dinanzi allo svuotamento della loro iniziale proposta di risoluzione, per comunicare l’inutilità di questa risoluzione. Ciò non è accaduto e il silenzio quasi assoluto dei mass-media (in particolare quelli italiani) di fronte a tale risoluzione è emblematico. Mentre solo la scorsa primavera si riempivano pagine sul dibattito sul futuro dell’Europa, ora solo la domanda sembra essere oziosa, quando non inutile.In secondo luogo sembra che anche il Parlamento europeo (l’istituzione comunitaria a mandato rappresentativo universale) sia vittima dell’incapacità politica che attanaglia Consiglio e Commissione e più in generale un’intera classe dirigente europea, chiusa tra calcoli di bottega, ennesime cerchie ristrette e assenza di una volontà politica in grado di ripensare le istituzioni ed il senso di un Continente.

"Forum costituenti dei cittadini" per l’Europa che verrà

Il presente contesto europeo è chiuso tra l’immobilismo degli assetti istituzionali comunitari, l’inadeguatezza delle classi dirigenti nazionali ed europee e l’afonia delle forze politiche organizzate. Le domande sulle forme e sul ruolo politico di un Continente, sulla sua capacità di intervenire per modificare gli assetti globali, così come su quali possano essere le sorti del modello sociale europeo di fronte “ai cambiamenti ed ai pericoli imposti dalla globalizzazione” rimangono non solo inevase, ma si evita addirittura di porle (mentre erano ancora contenute nel documento di lavoro parlamentare del settembre scorso).Ai piani alti delle istituzioni nazionali ed europee sembra esserci una condivisa volontà di mettere la sordina alle trasformazioni sociali e politiche richieste dalle cittadinanze d’Europa: un’attitudine che unisce leader politici sempre più incantati dalle declinanti sirene tardoliberiste della guerra globale strisciante che provengono dalla Gran Bretagna e dall’altra sponda dell’Atlantico, insieme con i sovranisti di antica vocazione antieuropea, i nazionalisti più o meno identitari, xenofobi e/o sociali, le corporative burocrazie intergovernative ed economico-finanziarie.Un caravanserraglio del lato più oscuro dello scorso secolo, che era già stato pubblicamente messo in minoranza dal protagonismo dei movimenti attivi di critica della globalizzazione neo-liberista e dell’offensiva armata globale a cavallo tra i due secoli. C’è da sperare che quella plurale, irriducibile e irrapresentabile moltitudine di movimenti riesca a recuperare piena visibilità negli spazi pubblici d’Europa e non sia invece condannata ad esser chiusa tra il ribellismo autolesionistico delle mille banlieues d’Europa e il silenzio di una macelleria economico-finanziaria che fa della precarietà e dell’insicurezza sociale i nuovi meccanismi regolativi. Solo così quei "Forum dei cittadini" evocati in sede di Europarlamento potrebbero divenire nuovi spazi pubblici post-statuali di azione costituente locale e continentale, per dare risposte adeguate a quelle cittadinanze d’Europa che chiedono maggiori diritti e giustizia sociale di fronte di una società del rischio e dell’insicurezza resa permanente.E la scommessa sarebbe che riescano a connettersi con la diffusione di un "nuovo costituzionalismo europeo multilivello", con le istanze di un assetto continentale improntato ai princìpi di un federalismo radicale e critico, con la definizione di un nuovo welfare locale e continentale all’altezza dei tempi, con il riconoscimento di diritti sociali e basic income, con l’apertura nei confronti di una cittadinanza di residenza. Una scommessa che varrebbe la pena giocare anche a scapito dell’inaffidabilità dell’attuale classe dirigente continentale, anzi forse proprio per metterla definitivamente di fronte ai propri errori. Perché si spera sempre di essere ancora in tempo per affermare una visione inedita dell’Europa che verrà.

Note: 1)Un’analisi del contesto francese pre-referendum, prevedibilmente incamminato verso il no, era contenuta nel nostro intervento dal titolo L’ultimo referendum di Jacques “Bonaparte” Chirac, sempre in questo sito, cui si rinvia e quindi Dal Trattato costituzionale al nuovo spazio pubblico europeo: Dal Trattato costituzionale al nuovo spazio pubblico europeo mentre per una prima riflessione sul contesto europeo post-referendum sia concesso rinviare a G. Allegri, Dopo il no francese al Trattato costituzionale, in Critica marxista, n. 4/2005, pp. 23-29.

2)Così si espresse il Verde Voggenhuber in una celebre, quanto rumorosa, conferenza stampa il 22 settembre 2005 e riportata da Agence Europe: “L’incarico di becchino della Costituzione è messo in palio e ci sono molti candidati, tra cui, purtroppo, i presidenti del Consiglio europeo e della Commissione”; appunto Tony Blair e José Barroso.

3)In un’intervista pubblicata in Democrazia e diritto, n. 3/2005 ed anticipata in questo sito: Rinegoziare la costituzione Nello stesso numero si veda anche l’intervento di U. Allegretti, Proposta per l’Europa Proposta per l'Europa.

4)Cfr. Niente nuove adesioni senza una Costituzione nel 2009 per un primo commento alla risoluzione.

5)In particolare sul voto parlamentare contrario alla “cittadinanza di residenza” (347 no, 276 sì e 20 astensioni) sono stati decisivi i no dei deputati delle Repubbliche baltiche, ex sovietiche, dove assai problematico è il rapporto con le forti minoranze russe (in particolare in Lettonia, dove i russi costituiscono il 40% della popolazione) e risulta difficile ipotizzare l’estensione dei diritti politici in virtù della sola residenza. Così tra gli 88 voti del gruppo liberal-democratico, ben 34 hanno votato contro e 9 – tra cui l’Europarlamentare della Margherita Patrizia Toia – si sono astenuti, pregiudicando l’esito del voto.
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