Afghanistan: la guerra è un fallimento. Interveniamo di più e meglio in altri modi.
In Afghanistan la combattiamo da quasi cinque anni.(1)
Gli Stati Uniti la chiamano “guerra”. Tutto il mondo la chiama nello stesso modo. Dunque non è una “operazione di pace”. Se in Afghanistan si sta combattendo una guerra dobbiamo avere la serietà e l’onestà di chiamarla per nome.
Tutti gli osservatori riconoscono che la guerra decisa e condotta dagli Stati Uniti in Afghanistan è un fallimento. Il problema è sempre il solito: è facile fare la guerra ma è difficilissimo costruire la pace che può far rinascere un paese martoriato dalla guerra. La guerra è uno strumento incapace di risolvere i problemi che pretende di risolvere.
Se questi sono i frutti dopo cinque anni di guerra ad alta intensità, per quanti anni ancora dovremmo continuare a combatterla? Altri 5 – 10 anni? Basteranno? Con quante vittime innocenti? Con quali conseguenze internazionali? Se gli Stati Uniti non sono ancora riusciti a vincere questa guerra perché dovrebbe riuscirci la Nato (peraltro in violazione del suo mandato originale)?
Se la guerra è lo strumento sbagliato non è meglio cercare altre strade più efficaci? Un altro “impegno” è possibile: più Onu, più rispetto del diritto e della legalità internazionale, più sicurezza comune, più aiuti economici diretti alla popolazione e per la ricostruzione del paese, più impegno per la tutela dei diritti umani.
Gli stessi soldi (320 milioni di euro all’anno) che abbiamo speso per la missione militare in Afghanistan possono dare ben altri frutti se diversamente investiti.
L’Italia che ha iscritto nella Costituzione il ripudio attivo della guerra può imboccare finalmente una nuova strada. Il mondo saprà essere riconoscente.
Chiediamo al Parlamento e al Governo italiano:
1. di guardare alla situazione in Iraq, in Afghanistan e negli altri luoghi di conflitto con realismo e senso di responsabilità. Non chiediamo un “disimpegno” dell’Italia ma un diverso e maggiore impegno per la risoluzione dei gravissimi conflitti aperti;
2. di passare dall’impegno militare ad un impegno politico e civile a fianco delle popolazioni vittime delle guerre, dell’oppressione e della miseria;
3. di agire per rendere finalmente operativo il sistema di sicurezza collettiva previsto dal Cap. VII della Carta delle Nazioni Unite. In particolare di stipulare gli accordi con il Consiglio di sicurezza delle NU previsti dall’art. 43, al fine di mettere a disposizione dello stesso Consiglio le forze armate, l’assistenza e le facilitazioni necessarie per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali e di rendere ad esso possibile di decidere in proprio, e non più soltanto di delegare, l’esercizio delle funzioni previste dall’art. 42.
Tale accordi possono essere conclusi anche da “gruppi di membri” delle Nazioni Unite. In questo caso il governo italiano dovrebbe agire anche in seno all’Unione Europea affinché gli stati membri che hanno dato vita ai cosiddetti EU Battlegroups (unità militari integrate di pronto intervento, stand-by) stipulino gli accordi previsti dall’art. 43.
L’art. 44 della Carta delle NU stabilisce che lo stato membro che ha messo a disposizione le forze armate ai sensi dell’art. 43 partecipi alla riunioni del Consiglio di sicurezza quando quest’ultimo debba decidere il loro impiego.
Occorre che il governo italiano denunci la disposizione transitoria dell’art. 106 della Carta delle Nazioni Unite, che riserva agli stati vincitori della seconda guerra mondiale il privilegio di operare al di là e al di sopra della Carta delle NU fino a quando non sarà messo in attuazione l’art. 43.
Al nuovo governo italiano si chiede una coraggiosa iniziativa che segni la discontinuità, nel nome della legalità e del multilateralismo, rispetto all’ambiguo, avventuristico e illegale modo di agire del precedente governo.
In questo contesto, il Parlamento e il Governo italiano devono farsi promotori del definitivo chiarimento circa la distinzione tra operazioni militari di guerra –vietate dal vigente diritto internazionale– e autentiche operazioni di polizia internazionale (militare e civile).
La forte iniziativa del governo italiano deve essere inquadrata in una più ampia e organica strategia intesa a valorizzare la centralità delle Nazioni Unite nel sistema delle relazioni internazionali e, allo stesso tempo, a promuoverne senza indugio la democratizzazione in termini di democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa sulla base delle proposte elaborate a partire dal 1995 dall’Assemblea dell’Onu dei Popoli.
In questo stesso contesto, il governo italiano d’intesa con altri paesi europei “like minded”, deve operare perché l’intera Unione Europea si faccia sostenitrice, non soltanto nei documenti, ma anche e soprattutto nelle decisioni politiche, della messa in opera di un efficace sistema di sicurezza umana collettiva, i cui obiettivi siano quelli della prevenzione dei conflitti, della loro risoluzione pacifica e dell’esercizio della solidarietà internazionale per una economia di giustizia e per l’equa gestione dei beni comuni globali.
Tavola della Pace
Perugia, 20 giugno 2006
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