All different, all equal

L’articolo ripercorre la storia dell’ideale europeista dal dopoguerra a oggi e traccia il percorso per il futuro che non può che essere unitario, se l’Europa
vuole continuare ad avere un ruolo nel mondo.
11 agosto 2006
Piero Badaloni
Fonte: Servire - Rivista scout per educatori (www.rs-servire.org)

La tua pizza è italiana, il tuo cus cus è tunisino, la tua camicia è indiana, il tuo orologio è svizzero, gli spaghetti che mangi sono cinesi, i numeri dei tuoi conti sono arabi, la scrittura è latina, la democrazia te l’hanno insegnata i greci, e tu ti ostini ancora a considerarmi uno straniero?....

Marcia per la Pace Perugia Assisi "L'Europa ripudia la guerra" Questa lettera inviata da un immigrato senegalese a un quotidiano romano per protestare contro le discriminazioni subite, e pubblicata in prima pagina, credo che sia la sintesi più efficace per dimostrare quanto siano ridicole le insofferenze di una parte dell’opinione pubblica verso gli stranieri che cercano faticosamente un posto al sole nel nostro come in tanti altri paesi europei, lasciando la loro terra, arida e povera. Purtroppo non sono pochi coloro che vorrebbero un’Europa chiusa a riccio, con i ponti levatoi alzati ai propri confini, per impedire l’invasione degli extracomunitari. 60 anni fa un dittatore che la pensava allo stesso modo finì suicida in un bunker, a Berlino, dopo aver provocato, con il suo folle disegno, milioni di morti. Adolf Hitler odiava gli ebrei e gli zingari, li considerava una pericolosa contaminazione per il suo popolo. Li sterminò perché, disse, bisognava preservare la purezza della razza ariana.

Proprio nel mezzo di quella tragedia che fu la seconda guerra mondiale, un italiano, confinato dal regime fascista in una piccola isola del mediterraneo,
Ventotene, lanciò l’idea vincente per uscire dal tunnel in cui si era ficcato il vecchio continente per colpa del Fuhrer e del suo alleato Mussolini. Si chiamava Altiero Spinelli, un nome che i giovani dovrebbero imparare a ricordare perché è grazie a lui che sono nati in un’epoca di pace e di ritrovata stabilità. Nella sua cella, in carcere, prese carta e penna e scrisse un manifesto, tracciando il profilo di un’Europa federale, con gli Stati uniti fra loro da regole comuni, con un valore fondamentale condiviso da tutti, la democrazia. Quel manifesto fu la base su cui venne poi costruito il primo nucleo dell’Unione europea, il Consiglio d’Europa, il 5 maggio del 1949. Da allora ad oggi il percorso è stato lungo e spesso tormentato: non è stato facile sormontare le resistenze nazionalistiche degli Stati, preoccupate di perdere anche solo in parte la loro sovranità, per cederla ad organismi sopranazionali, lontani dalle loro capitali.
Ma alla fine il sogno di Spinelli si è avverato.

Dare voce all’Europa unita

L’Europa unita oggi è una realtà, con una sua moneta, l’euro, la sua bandiera, azzurra con 12 stelle, un parlamento, che ha sede a Bruxelles, e un governo, la commissione, che porta avanti politiche comuni non solo nell’economia, ma anche nel campo della sicurezza, della giustizia, dell’ambiente, dell’istruzione, dell’energia. Ha aperto le sue frontiere interne, con uno storico trattato, firmato a Schengen nel 1985.

Gli Stati che ne fanno parte sono passati progressivamente da sei a 15 e nel 2000 hanno firmato tutti la carta dei diritti fondamentali dei cittadini europei: oltre ai paesi fondatori, Germania, Italia, Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo, sono entrati nella comunità prima Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca, nel ‘73, poi Grecia, Spagna e Portogallo, nell’86, infine Austria, Finlandia e Svezia, nel ‘95. E nel 2004, dopo una lunga trattativa, l’Europa unita ha accolto nella sua comunità altri dieci nuovi Stati: Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, tutti paesi che prima del crollo del comunismo facevano parte del blocco sovietico, e in più Cipro e Malta. Questo ultimo allargamento, che doveva rappresentare il balzo definitivo verso la realizzazione piena del manifesto scritto 65 anni fa, a Ventotene da Altiero Spinelli, l’intera Europa federata nel segno della pace e della cooperazione, ha causato invece una improvvisa frenata nella costruzione dell’ultimo tassello che mancava per completare il percorso: una carta costituzionale comune.

All’improvviso sono riemerse, in Olanda e in Francia, le antiche paure dello straniero in casa, con la conseguente voglia di rialzare anacronistiche barricate contro presunte invasioni.
Il testo della costituzione europea, preparato da un’assemblea rappresentativa di tutti i governi e parlamenti nazionali, è stato bocciato in due referendum.
E l’Europa è entrata in una fase di pericoloso stallo.

È possibile riprendere il cammino?

Per farlo bisogna superare gli egoismi corporativi delle varie categorie fin qui privilegiate dalla comunità, gli agricoltori innanzitutto ma non solo, che dovranno necessariamente fare un passo indietro in favore dei cittadini più poveri dei paesi appena entrati in Europa. Non sarà facile, soprattutto se i leader politici nazionali degli Stati più ricchi non avranno il coraggio di bloccare queste lobbie.
Ma non si può accettare l’Europa solo quando si prende e rifiutarla quando si deve dare. Il principio della solidarietà è un cardine della comunità, così come quello della giustizia sociale. E se non si mantiene l’unità nella difesa degli interessi comuni, l’Europa rischia di restare strangolata fra le grandi potenze: quelle già esistenti, gli Stati Uniti e il Giappone, e quelle emergenti, l’India e la Cina.
Poi bisogna a tutti i costi ricucire lo strappo profondo che si è verificato fra i 25 stati dell’Unione europea, dopo la guerra in Irak voluta da Bush. Da una
parte, quella che il ministro della difesa degli Usa, Rumsfield, ha chiamato spregiativamente la vecchia Europa, Francia e Germania in testa, che si è
opposta alla guerra, dall’altra la cosiddetta nuova Europa, guidata da Gran Bretagna e Italia, che si è schierata apertamente con la Casa Bianca.
Un’Europa che non è capace di parlare con una sola voce all’ONU, non riuscirà mai a difendere e a imporre al mondo quel valore fondamentale su cui si è costruita l’Unione, cioè la pace.

Una pace che rispetta le diversità, che tutela le minoranze, etniche e religiose, che difende i diritti umani. La posta in gioco dunque è alta e se i leader politici che siedono al tavolo del potere non saranno in grado di assumersi le loro responsabilità, spetterà ai cittadini far ripartire dal basso la spinta verso quegli ideali perduti, a partire dai giovani, dalle nuove generazioni, che di pace e solidarietà hanno bisogno come il pane che mangiano, come l’aria che respirano.

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