Eppur si muove: l’evoluzione del ruolo internazionale dell’Unione Europea
La Comunità europea è stata definita “un gigante economico, ma un nano politico sullo scacchiere internazionale”, visto che i suoi paesi membri hanno sempre agito sulla base di interessi storici-economici nazionali che si sono spesso rivelati in contrasto tra loro. Il nuovo scenario internazionale, scaturito dal crollo del muro di Berlino, ha posto l’esigenza di ripensare il ruolo internazionale dell’Europa, unica in grado di competere con le potenze emergenti asiatiche nella costruzione di un nuovo ordine mondiale multipolare affianco agli Stati Uniti d’America. Dal 1992 con la nascita dell’attuale Unione Europea (UE) realizzata dal Trattato di Maastricht e le ulteriori sviluppi della Politica Estera di Sicurezza Comune (PESC), si giunse alla nomina di Javier Solana a rappresentate della politica estera comune, il cosiddetto Mr. PESC, dando finalmente una risposta alla famosa battuta di Kissinger: “L’azione dell’Europa unita sarebbe importante per il mondo, ma non so mai chi chiamare quando devo chiedere quale è la sua posizione internazionale”.
Negli ultimi quindici anni, nonostante l’introduzione di questi strumenti, l’Unione Europea non è stata sempre in grado di prestare fede alla funzione internazionale che si auspicava. A dimostrazione di ciò vi sono alcuni casi eclatanti in cui i veti incrociati nazionali hanno bloccato una azione comune, impedendo di fare della UE un protagonista internazionale. Ad esempio, all’epoca del dissolvimento dell’ex-Jugoslavia, il frettoloso riconoscimento di nuove autoproclamate repubbliche da parte di alcune importanti cancellerie incentivò il propagarsi dei conflitti nei balcani, fino ad arrivare alla guerra del Kosovo dove solo un intervento diretto della NATO riuscì a frenare una pulizia etnica a cui l’Unione Europea aveva assistito impotente. Anche in occasione dell’ultima guerra in Iraq gli stati europei si sono presentati divisi a causa di scelte di politica interna nazionale, avendo ripercussioni negative nella lotta al terrorismo internazionale o nella costruzione del ruolo europeo di pacificatore internazionale. Cosi alla presa di distanza dagli attacchi in Iraq dettato dal tradizionale motore comunitario franco-tedesco, segui la cosiddetta “lettera degli otto” governi europei in favore dell’intervento, perdendo una preziosa occasione per influenzare gli avvenimenti internazionali attraverso una voce unica dell’Europa nel mondo.
Il trattato costituzionale europeo, la cui applicazione rimane ancora incerta dopo che i referendum in Francia e in Olanda si sono espressi contro la sua approvazione, propone una evoluzione degli strumenti della PESC, in modo da far parlare l’Europa con una sola voce nel mondo. L’introduzione della figura del Ministro degli Esteri dell’Unione Europea, al contempo vice presidente della Commissione Europea (ovvero dell’organo garante dell’interesse comunitario) e membro del Consiglio dei Ministri (cioè dell’istituzione che rappresenta gli interessi nazionali) farebbe senz’altro fare un balzo in avanti nella costruzione di un nuovo ruolo internazionale dell’Europa, ma lascerebbe aperta la questione essenziale riguardo il meccanismo con cui si definisce la politica estera comune. Come oggi, infatti, la costituzione europea prevede il principio del voto all’unanimità nell’ambito della PESC, con la conseguenza che un qualsiasi paese membro può porre un veto nazionale su una decisione, bloccando una posizione comune che sicuramente avrebbe un peso internazionale maggiore rispetto a quelle di singoli governi. Inoltre l’applicazione del voto a maggioranza qualificata anche nelle procedure decisionali in materia di PESC potrebbe facilitare il raggiungimento degli obiettivi di cui si parla da decenni, capaci di dare un maggior peso internazionale all’Europa, come la creazione di un seggio permanente dell’Unione Europea al Consiglio di sicurezza dell’ONU o la nascita di un Esercito Comune Europeo.
Oggi, viceversa, una incisiva PESC è possibile solo grazie alla volenterosa azione di qualche governo all’interno Consiglio europeo in grado di coagulare un consenso diffuso (e soprattutto evitare veti basati su interessi particolari) al fine di produrre un efficace coordinamento dell’azione comune. Ciò non è impossibile, e la missione di pace in Libano ne è la prova più recente. Infatti grazie all’iniziativa politica del governo francese e italiano, a cui è stato riconosciuto il comando internazionale dell’intera missione, l’Unione Europea è stata in grado di raccogliere l’invito dell’ONU ed essere promotrice della forza di pace di interposizione nel sud del Libano, la quale ha immediatamente realizzato il principale obiettivo della cessazione delle ostilità. La metà dei caschi blu impegnati è composta da contingenti europei, dando prova che l’Unione Europea può essere un attivo soggetto costruttore di pace e di dialogo tra le sponde del mediterraneo. Infine il possibile successo del nuovo approccio multilaterale voluto dall’ONU, guidato sul terreno dall’Europa e con il coinvolgimento diretto di alcuni paesi musulmani, potrebbe divenire il modello d’intervento in tutte le aree di crisi, ad iniziare da quella storica Israelo-Palestinese.
Un medio oriente pacificato avrebbe enormi ripercussioni nell’ambito della sicurezza globale. Ciò potrà essere possibile solo con azioni coordinate di diversi soggetti internazionali, secondo il “modello multilaterale” adottato in Libano. Dunque è necessario che l’Unione Europea continui ad essere un modello di integrazione e a svolgere un attivo ruolo internazionale, grazie a strumenti incisivi nell’ambito della PESC. Solo in questo modo si potrà avere un ordine globale multipolare dove l’Europa possa svolgere un ruolo di mediazione e di costruttore di pace di cui oggi non solo gli europei, ma tutto il mondo ha grande bisogno.
Paolo Acunzo
Risoluzione sul Medio Oriente, approvata il 7 settembre 2006, in cui il Parlamento Europeo esprime le seguenti principali posizioni sulla vicenda libanese:
· considera che all’Unione europea incombe una responsabilità particolare per la pace e la sicurezza in una regione vicina all’Europa quale è il Medio Oriente, e che è pertanto necessario migliorare gli strumenti e i metodi per il coordinamento della PESC;
· sottolinea che nessun cessate il fuoco può essere duraturo senza la volontà politica delle parti coinvolte di affrontare le cause alla radice della recente crisi e che non vi può essere una soluzione militare al conflitto mediorientale;
· plaude all’adozione all’unanimità della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, si compiace della sua immediata applicazione da parte dei governi libanese e israeliano e sottolinea il ruolo attivo assunto da Francia e Italia per la sua attuazione;
· sottolinea l’importanza che tutti gli stati membri della UE agiscano nel rispetto delle disposizioni della risoluzione 1701 concernenti le forniture di armi, portando al disarmo di tutte le milizie coinvolte, unitamente a misure volte a impedire l’entrata di armi in Libano;
· invita a riportare il processo di pace nel Medio Oriente fra le priorità dell’agenda politica internazionale e ribadisce che la formula dei due Stati, con uno Stato israeliano e uno palestinese che vivono fianco a fianco in pace e sicurezza, è una condizione chiave per una soluzione pacifica e duratura nell’area;
· invita il Consiglio e la Commissione europea a continuare a garantire, unitamente alla comunità internazionale, l’assistenza umanitaria fondamentale al popolo palestinese e di farsi promotore di una nuova conferenza regionale di pace;
· ritiene che la presenza di una forza multinazionale in Libano potrebbe essere considerata un esempio da seguire nel processo negoziale per la soluzione del conflitto israelo-palestinese.
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