Bauman sull'Europa: Quell'arte tutta nostra di saper parlare all'Altro

11 gennaio 2007
Zygmunt Bauman

Partendo dal presupposto che è "insensato pensare che l'Europa possa competere con il potere economico, militare e tecnologico" degli Stati Uniti e delle economie emergenti (in particolare quelle asiatiche), George Steiner asserisce che il compito dell'Europa "è di ordine spirituale e intellettuale". "Il genio dell'Europa è ciò che William Blake avrebbe chiamato 'la santità dei minimi particolari'.

Il genio di una varietà linguistica, culturale, sociale, di un ricchissimo mosaico che spesso trasforma una distanza irrilevante, una ventina di chilometri, in una frontiera tra due mondi (...).

L'Europa morirà se non combatterà per difendere le proprie lingue, le proprie tradizioni locali e le proprie autonomie sociali. Perirà se dimentica che 'Dio si trova nei dettagli'" (Una certa idea di Europa).

Concetti analoghi si ritrovano nell'eredità letteraria di Hans-Georg Gadamer (in particolare L'eredità dell'Europa). In cima alla lista dei pregi unici dell'Europa, Gadamer pone proprio la sua varietà e la sua ricchezza, che rasenta la dissipazione; ai suoi occhi, la profusione di differenze è il principale tesoro che l'Europa ha conservato e che può donare al mondo. "Vivere con l'Altro, vivere come l'Altro dell'Altro è il principale compito dell'uomo, al livello più basso così come a quello più elevato… Di qui forse il vantaggio peculiare dell'Europa, che poteva e doveva imparare l'arte di vivere insieme agli altri". In Europa, più che in qualsiasi altro luogo, "l'Altro" è ed è sempre stato vicino, a vista e a portata di mano; l'Altro è, metaforicamente e persino letteralmente, il vicino di casa, e gli europei, nonostante l'alterità e le differenze che li contraddistinguono, non possono far altro che negoziare i termini di questo buon vicinato. La cornice europea, caratterizzata dal "multilinguismo, dalla prossimità dell'Altro e dall'eguale valore accordato all'Altro in uno spazio estremamente ridotto", potrebbe essere vista come una scuola in cui il resto del mondo può apprendere
quelle conoscenze e quelle competenze fondamentali che fanno la differenza tra la sopravvivenza e il declino. Acquisire e condividere l'arte di imparare gli uni dagli altri è, secondo Gadamer, "il compito dell'Europa", e io aggiungerei la missione dell'Europa, o meglio il fato dell'Europa in attesa che venga riconfigurato come destino.

Non si tratta di sopravvalutare l'importanza di questa missione - e l'importanza della determinazione con cui l'Europa la intraprende - dal momento che "condizione essenziale per risolvere i problemi vitali del mondo attuale", un'autentica conditio sine qua non, sono l'amicizia e la "ferma solidarietà" che, sole, possono assicurare alla convivenza tra gli uomini una "struttura ordinata". Per far fronte a tale compito possiamo, ed è necessario, trarre ispirazione dalla comune eredità europea: per gli antichi greci, ci ricorda Gadamer, il concetto di "amico" "esprimeva la totalità della vita sociale". "Amici" sono coloro che riescono, ancorché diversi, ad essere solidali gli uni con gli altri e ad aiutarsi a vicenda proprio in virtù delle loro differenze, e che soprattutto riescono a far ciò senza rinunciare alla propria unicità e senza, d'altra parte, far sì che la propria unicità li allontani o li metta gli uni contro gli altri.

Di recente, Lionel Jospin ha riversato le sue speranze per un nuovo ruolo mondiale dell'Europa nel suo "approccio sfumato alle realtà attuali". L'Europa, sostiene Jospin, ha imparato a proprie spese, e pagando un prezzo altissimo in termini di sofferenza, a "superare le rivalità storiche e risolvere pacificamente i conflitti", a conciliare "un'enorme varietà di culture" e a convivere con la prospettiva di una permanente diversità culturale non più considerata un fastidio temporaneo. Sono queste, è bene sottolinearlo, le lezioni di cui il resto del mondo ha così tanto bisogno.
Vista sullo sfondo di un mondo dilaniato dai conflitti, l'Europa appare come una fucina in cui vengono continuamente forgiati gli strumenti necessari al raggiungimento di quell'unità universale del genere umano di cui parlava Kant, come un laboratorio in cui tali strumenti vengono "testati in corso d'opera", sebbene per ora in progetti meno ambiziosi e su scala ridotta. Gli strumenti che all'interno dell'Europa si vanno forgiando e collaudando servono
soprattutto alla delicata operazione - per gli osservatori meno ottimisti troppo delicata perché possa avere una benché minima probabilità di successo - di separare i fondamenti della legittimità politica, del processo democratico e della disponibilità a condividere le risorse come avviene in una comunità, dal principio di sovranità nazionale e territoriale cui sono stati indissolubilmente legati per gran parte della storia moderna.

La nascente Federazione europea si trova dinnanzi al compito di replicare l'impresa compiuta agli albori della modernità dallo Stato nazione: riconciliare potere e politica, che attualmente sono divisi e seguono rotte opposte. Oggi come allora la strada che conduce alla realizzazione di questa impresa è impervia, irta di insidie e disseminata di rischi incalcolabili, con l'aggravante che il percorso non è tracciato, cosicché ogni passo è un salto nell'ignoto.

Se occorre ricentrare ed elevare a un livello superiore a quello di Stato nazione i capisaldi della solidarietà umana (il sentimento di mutua appartenenza e di responsabilità condivisa per il futuro comune o la disponibilità a prendersi cura del benessere reciproco e a trovare soluzioni durature e pacifiche ai conflitti che di volta in volta insorgono), allora tali valori necessitano di una cornice istituzionale per la formazione della volontà e dell'opinione pubblica. L'Unione europea aspira, seppur con passo lento ed esitante, a creare una forma embrionale o rudimentale di tale cornice
istituzionale (solo il tempo dirà quali dei due aggettivi è il più adatto), ma gli ostacoli più insormontabili che sta incontrando sul proprio cammino sono appunto gli Stati-nazione e la loro riluttanza a disfarsi di ciò che rimane della loro sovranità un tempo piena. È dunque difficile tracciare in modo preciso il cammino e ancor più arduo (oltre che irresponsabile e azzardato) è prevederne le svolte future. Se adottata e anteposta alla logica dell'arroccamento locale, la logica della responsabilità e delle aspirazioni globali può contribuire a preparare l'Europa alla sua prossima avventura, più
grandiosa forse di quelle che l'hanno preceduta. Nonostante le probabilità contrarie siano innumerevoli, quella logica potrebbe far sì che sia ancora una volta l'Europa a definire i modelli globali, consentendole di mettere in pratica tanto i valori che ha saputo custodire e utilizzare per preservarsi nelle avversità, quanto l'esperienza etico-politica di autogoverno democratico acquisita, per far fronte all'immane compito di sostituire l'insieme di entità
arroccate nei rispettivi territori e impegnate in un gioco a somma zero per la sopravvivenza con una comunità umana universale e pienamente inclusiva. Solo se e quando si riuscirà a realizzare tale comunità, l'Europa potrà considerare compiuta la sua missione. Solo in seno a una tale comunità i valori che guidano le ambizioni e la quête dell'Europa - quei valori che sono l'Europa - potranno essere veramente al sicuro.

Ciò che ci aspetta è stato profeticamente descritto da Franz Kafka nel racconto I difensori: "Se dunque non trovi nulla in questi corridoi, apri le porte; e se non trovi nulla dietro a queste porte, esistono altri piani; se non trovi nulla lassù, non importa; sali per nuove scale! Finché non smetterai di salire non cesseranno i gradini, anzi, si moltiplicheranno all'infinito sotto i tuoi piedi che salgono".

Certo, riconosco che non si può considerare un programma, né un aspettativa o un auspicio, da realizzare nel 2007, ma deve esserci un momento in cui cominceremo a incamminarci lungo quei corridoi... Che quel momento sia il 2007

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