La Costituzione è morta e il Trattato di Nizza sarebbe vivo e vegeto
Ispirandosi alla posizione espressa da una ristretta minoranza di paesi membri (Regno Unito, Polonia, Repubblica Ceca, Paesi Bassi), la presidenza tedesca ha proposto ai governi europei di avviare una Conferenza intergovernativa per modificare alcuni articoli del Trattato di Nizza, impiantando al suo interno alcune innovazioni istituzionali previste dalla Costituzione europea.
In questo modo il Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa firmato a Roma il 29 ottobre 2004 sarà definitivamente accantonato e si tornerà al Trattato di Nizza, archiviando un processo che ha impegnato istituzioni, esperti, interpreti e traduttori, i partner sociali, una parte della società civile europea, una convenzione di giovani e ricerche accademiche, dalla dichiarazione di Laeken del dicembre 2001 fino alla vigilia del semestre di presidenza tedesca.
"Il periodo di lutto" è finito, aveva dichiarato Romano Prodi dopo le elezioni presidenziali francesi e con la proposta tedesca si propone di prendere atto che la Costituzione è morta e che invece il Trattato di Nizza sarebbe vivo e vegeto.
In chirurgia, l'operazione di espianto da un corpo morto ad un corpo malato comporta sempre rischi di rigetto soprattutto se si tratta di un intervento multiplo e, se non ci sono complicazioni post-operatorie, il corpo malato sopravvive in uno stato di permanente convalescenza.
L'operazione di espianto e di impianto nel sistema istituzionale europeo non è stata mai tentata e vedremo che cosa saranno capaci di fare i diplomatici incaricati dai ministeri degli affari esteri dei 27 nella Conferenza intergovernativa che inizierà verosimilmente il 23 luglio e terminerà con il Consiglio europeo del 13-14 dicembre.
Non è ancora chiaro, scorrendo le numerose parentesi quadre e tonde che costellano il progetto di mandato alla Conferenza intergovernativa proposto dalla Germania, quali saranno gli organi da espiantare.
Tony Blair ha indicato puntigliosamente che cosa non potrà essere accettato dal futuro governo di Gordon Brown e cioè il carattere vincolante della Carta dei diritti o almeno quelli relativi alla dimensione economica e sociale, l'estensione del voto a maggioranza, il primato del diritto dell'Unione e la sua personalità giuridica, il ministro degli esteri europeo oltre a tutti i simboli che richiamano l'idea di un "super Stato" europeo.
L'opinione di Tony Blair è condivisa non solo dal suo successore, che è già apparso ai più come un freddo sostenitore dello splendido isolamento britannico, ma anche dai governi polacco, ceco ed olandese con un fronte comune della minoranza che rischia di travolgere le deboli difese di altri diciotto governi che pur si erano ritrovati a Madrid cinque mesi fa per respingere sdegnosamente ogni ipotesi di polverizzazione della parte prima della Costituzione europea.
Quel che è avvenuto nel corso di cinque conferenze intergovernative non lascia sperare nulla di buono, poiché è sempre risultato evidente che chi negozia si siede al tavolo delle trattative portando con sé i dadi truccati degli apparenti interessi nazionali e che gli accordi finali si raggiungono con l'occhio rivolto più alla politica interna di ogni paese membro che allo stato dell'Unione nel suo insieme.
È opinione comune che eventuali ostacoli durante la presidenza portoghese potrebbero far slittare la fine della Conferenza intergovernativa fino alla presidenza francese del secondo semestre 2008 poiché Nicolas Sarkozy vorrà ispirarsi al cinico esempio di François Mitterrand che fece fallire il Consiglio europeo di Atene nel dicembre 1983 per prendere su di sé gli onori di un compromesso raggiunto sei mesi dopo a Fontainebleau.
Si potrebbe arrivare così alla vigilia delle elezioni europee del 14 giugno 2009. Considerati i tempi lunghi delle ratifiche nazionali, gli elettori e le elettrici sarebbero chiamati alle urne per votare e dare fiducia ad un'Unione governata ancora dal Trattato di Nizza.
Se i portoghesi riusciranno nel loro compito, sarà tuttavia difficile che i governi nazionali possano offrire all'opinione pubblica europea un trattato leggibile e semplificato e che i negoziati svoltisi nel segreto dei conciliaboli diplomatici e le ratifiche votate di fronte a parlamenti distratti possano suscitare un vigoroso dibattito sull'avvenire dell'Europa e sui pro ed i contro dell'Unione europea.
Ironia della sorte vuole che il Consiglio europeo si riunisca ventiquattro ore dopo la diffusione dell'ultimo Eurobarometro nel quale si conferma che la maggioranza degli intervistati - in tutti i paesi membri - è favorevole all'idea di una Costituzione europea e si riconosce addirittura nella bandiera a dodici stelle che Blair e Kaczynski non vogliono iscrivere nei trattati ma che continuerà a sventolare a Londra e Varsavia nonostante la loro opposizione.
La maggioranza dei polacchi è convinta dei benefici che il loro paese trae dalla appartenenza all'Unione europea e basterebbe che Lech Kaczynski visitasse le fattorie del suo paese per rendersi conto dei vantaggi che in particolare i suoi agricoltori ricevono grazie alla solidarietà comunitaria espressa con decisioni prese a maggioranza senza ricorrere alla radice quadrata.
La difesa accanita degli interessi nazionali polacchi ha già provocato del resto delle ondate di insofferenza nelle capitali europee ed in particolare in Germania la stampa ed i media si chiedono se la cancelleria Merkel non si sia mostrata troppo tollerante verso gli "odiati vicini" (foto dal Der Spiegel n. 25/2007).
Insieme all'Eurobarometro, il Financial Times ha pubblicato ieri un sondaggio secondo cui la maggioranza dei cittadini europei esprime il desiderio di essere consultata attraverso un referendum sull'avvenire dell'Europa. Il risultato era scontato poiché è difficile immaginare che molti elettori rispondano negativamente a chi chiede loro se vogliono essere consultati ma il risultato dell'indagine mostra ancora una volta il desiderio di partecipazione dei cittadini, un desiderio che rischia di essere frustrato ancora una volta dai governi.
Aspettiamo ora le reazioni di coloro che in questi anni hanno sostenuto che la parte prima della Costituzione europea e la Carta dei diritti erano un insieme da prendere o da lasciare e che, nel caso in cui fosse stato impossibile raggiungere un accordo unanime, bisognava prendere in considerazione l'ipotesi mitterrandiana di un'Europa "entre ceux qui voudront".
Che dirà il Parlamento europeo che ha appena votato a larga maggioranza la risoluzione Baron Crespo/Brok e che rischia di essere associato alla Conferenza intergovernativa con il solito metodo dei due strapuntini concessi ai suoi osservatori?
Come reagiranno i partiti europei (popolari, socialisti, liberal-riformatori, verdi) che hanno consacrato congressi e mozioni al tema della Costituzione europea chiedendo spesso ai governi di mostrare più ambizione e di andare al di là del testo firmato a Roma nel 2004?
Come reagiranno i rappresentanti dei poteri locali e regionali riuniti nel Comitato delle regioni ed i rappresentanti dei partner sociali nel Comitato economico e sociale che hanno adottato risoluzioni non equivoche al tema della Costituzione europea?
Un piccolo mondo antico - visto da Londra, Varsavia, Praga e L'Aja - che si appresta ad essere dimenticato nelle decisioni dei capi di Stato e di governo a Bruxelles.
In attesa di tempi migliori per il futuro dell'Europa, c'è materia per riflettere attentamente sul sistema politico europeo in statu nascendi.
Giriamo la questione agli studiosi della scienza della politica europea.
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