L'Italia, i seggi al Parlamento di Strasburgo e la cittadinanza europea di residenza
Il problema non è tanto la riduzione degli eurodeputati italiani e la supposta parità con Francia e Gran Bretagna, cosiccome ci viene ripetutamente sottolineato dai commentatori politici nostrani, quanto piuttosto la nuova ondata di nazionalismo che sta mettendo a repentaglio i progressi ottenuti dal processo di integrazione europea.
Le avvisaglie di questo risveglio neonazionalista le abbiamo già intraviste durante l'ultimo consiglio europeo di Bruxelles a giugno con le intemperanze e i successi ottenuti da Sarkozy, dai gemelli Kaczynski e da Blair.
Tutti i paesi europei grazie a decenni di sviluppo pacifico del processo di integrazione europea sono riusciti a rafforzare le proprie economie al riparo da turbolenze finanziarie planetarie. E grazie alla coperta europea credono di poter contare ancora qualcosa nello scacchiere internazionale. Basta vedere, per esempio, l'attivismo del Presidente francese che porterà la Francia a rientrare nella Nato.
I paesi europei sono, in realtà, polvere senza sostanza. La presunta sovranità nazionale è una semplice chimera. I paesi europei possono contare qualcosa solo se si presentano uniti altrimenti le pretese nazionaliste di governare e orientare la globalizzazione risultano evidentemente inefficaci e risibili.
Veniamo alla sostanza della questione. Il governo italiano si vuole impuntare per riavere la parità dei seggi all'Europarlamento con la Francia e la Gran Bretagna sulla base di un conteggio che prevede di rappresentare solo i cittadini nazionali e non i residenti. Sebbene sia formalmente giusta la posizione italiana, che prevede la rappresentanza nel Parlamento europeo dipendente da coloro che possono votare (ovvero chi possiede la cittadinanza nazionale), occorre considerare che l'attribuzione dei seggi basata anche sui residenti darebbe un nuovo slancio a coloro che sostengono la campagna per una cittadinanza europea di residenza con la quale si vuole allargare la cittadinanza europea anche ai residenti. Con tale opzione emergerebbero dal limbo europeo milioni di persone che vivono e lavorano nel nostro continente da tantissimi anni, che contribuiscono alla produzione della ricchezza europea, ma che non godono ancora dei diritti politici di cittadinanza. Si tratta di una battaglia di civiltà e di democrazia in un continente che può diventare un esempio di convivenza multietnica per il mondo intero.
In questo contesto il ventilato veto italiano per qualche seggio in più nell'Europarlamento risulta chiaramente di segno nazionalista e conservatore. Anche l'Italia, paese europeista per eccellenza, cadrebbe nel calderone neonazionalista.
Una domanda andrebbe rivolta ai governanti che ci rappresentano in Europa: "Perchè non avete usato la minaccia di veto durante il consiglio europeo di giugno per arginare le derive nazionaliste provenienti da Francia, Gran Bretagna e Polonia? Perchè non avete sostenuto il mantenimento dei simboli dell'Unione: la bandiera, l'inno e il motto? Perchè non avete fatto battaglia per mantenere il termine Costituzione e la Carta dei diritti nella loro formulazione originaria? E se, proprio, si vuole usare il diritto di veto, perchè non farlo per alzare la posta in gioco al fine di realizzare quell'Europa libera e unita immaginata da Altiero Spinelli di cui quest'anno ricorrono i 100 anni della nascita."
Invece di sventolare in ogni occasione un federalismo europeo di facciata (facendosi vedere in quel lembo di terra dove è stato pensato e scritto il Manifesto di Ventotene) occorrerebbe, da parte di coloro i quali hanno la responsabilità della politica nazionale, fare della lotta per la democrazia europea una priorità assoluta rilanciando il processo costituente e superando le contraddizioni non risolte nel Trattato di riforma con un'apertura democratica verso la partecipazione dei cittadini sui contenuti e le forme dell'Europa cosmopolita del XXI secolo.
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