La voce dei cittadini
Ogniqualvolta i popoli sono chiamati a pronunciarsi sull'Europa dei governi − quella del neoliberismo e dei Trattati internazionali che hanno istituito una nuova 'costituzione' fondata sul mercato al posto della democrazia e dei diritti della persona − , ogni volta hanno detto No. Ora sono stati i cittadini dell'Irlanda che nel referendum sull'approvazione del Trattato di Lisbona hanno respinto a maggioranza netta le scelte dei governi, interessati solo all'accrescimento dei propri poteri, e di quelli della tecnocrazia, dell'impresa e della finanza. Il Trattato di Lisbona non sana il deficit democratico che l'Unione europea si trascina fin dalla nascita, per questo ora i cittadini dell'Irlanda lo hanno bocciato, così come nel maggio-giugno del 2005 furono i francesi e gli olandesi a respingere il Trattato costituzionale, sempre deciso in una Conferenza intergovernativa.
È stato detto No ai governi europei che agiscono come Signori dei Trattati, che escludono dai processi decisionali i cittadini e le loro rappresentanze democratiche.
Il Trattato di Lisbona istituisce la figura del Presidente del Consiglio europeo e quella del 'ministro degli esteri', delega agli organi dell'Unione la competenza in campi delicatissimi come la politica estera, militare, della giustizia e dell'emigrazione. Non interviene per ampliare i poteri legislativi e di controllo del Parlamento europeo, relegato a organo con diritto di veto su ben definite materie o addirittura di mera consultazione come avviene proprio nei campi della politica estera e militare in cui i governi acquistano nuove prerogative cancellando le competenze degli stessi
Parlamenti nazionali.
Il Trattato di Lisbona persevera nella linea di svuotamento della democrazia parlamentare mentre concentra i poteri nelle mani dei governi, che a Bruxelles fungono da organo legislativo. Sì, perché è bene sempre ricordare che, nonostante Montesquieu e l'articolo 16 della Dichiarazione dei diritti del lontano 1789, nell'Unione europea gli esecutivi sono organo legislativo, fanno le leggi - chiamati regolamenti - immediatamente applicabili ai cittadini senza neppure la mediazione dei Parlamenti nazionali; sì, nell'Europa del costituzionalismo, il Parlamento europeo non ha il potere di iniziativa legislativa che è di competenza esclusiva della Commissione.
Il Trattato di Lisbona non cambia in nulla lo Statuto della Banca centrale europea che decide la politica monetaria secondo i parametri di Maastricht tesi a controllare le politiche di bilancio e a garantire la stabilità dei prezzi, che fungono da sferza per la
deregolamentazione del mercato del lavoro e per la ristrutturazione produttiva, cioè la delocalizzazione, e per i bassi salari.
Il Trattato di Lisbona non ha cambiato l'asse intorno a cui ruota la politica economica dell'Unione: la competitività nel mercato delle merci e dei servizi, le privatizzazioni dei beni pubblici. Un Consiglio dei ministri decide di innalzare a 65 ore il tempo di lavoro
settimanale da contrattare per di più individualmente così da rompere il limite storico delle 48 ore ma dando anche una picconata al contratto collettivo di lavoro. Un Consiglio dei ministri decide la detenzione dei migranti fino a 18 mesi senza garanzie processuali.
L'Unione europea è la punta di lancia del neoliberismo. Questa è l'Europa che i popoli non vogliono.
Le reazioni delle élites europee di fronte al voto irlandese sono assolutamente stupefacenti. Innanzitutto lo stile dell'argomentazione.
L'Irlanda è l'1% della popolazione dell'Unione, dunque piccola cosa: la parità tra gli Stati, cardine del diritto internazionale, viene saltata a piè pari e si instaura una gerarchia tra Stati che contano e quelli che non contano. Si dimentica che a fondamento dell'Unione europea ci sono i Trattati che sono firmati dagli Stati e che essi
entrano in vigore, secondo le regole del diritto internazionale, solo se tutti gli Stati li approvano secondo le loro rispettive norme costituzionali.
La Francia, per esempio, ha fatto in modo da evitare di nuovo la pronuncia popolare per timore di un rinnovato voto contrario. I governi temono i popoli: segno di decadimento della democrazia e di volontà di affermare il potere delle élites dirigenti. Queste hanno reagito con spocchia e disappunto: i popoli non accettano i Trattati decisi dai governi, cancelliamo i popoli - questa per esempio la risposta di Tommaso Padoa- Schioppa. La sua arroganza e presunzione sono ben note, non smentite neppure in questa occasione. Sul Corriere della Sera mette in dubbio le capacità intellettive dei cittadini e infatti afferma che per i Trattati internazionali lo strumento del
referendum non è adatto: materie troppo difficili, da lasciare agli esperti, ai coltivatori dei misteri diplomatici e del mercato. Certo l'articolo 75 della Costituzione italiana sottrae la materia dei Trattati internazionali al referendum, a differenza di altri
ordinamenti come quello irlandese o francese. Senza entrare nel merito della ragionevolezza dell'articolo 75, vorrei ricordare che nel 1989 il Parlamento italiano votò una legge costituzionale per consentire un referendum di indirizzo affinché il Parlamento europeo fosse investito del compito di elaborare una Costituzione; che i Trattati, secondo la giurisprudenza della stessa Corte del Lussemburgo, sono la
'Costituzione' dell'Unione europea; che la Convenzione presieduta da Giscard d'Estaing elaborò un Trattato costituzionale perché avvertì l'esigenza di una qualche 'costituzione' date le competenze ormai vastissime dell'Unione, sia pure 'enumerate' dai Trattati. Sulla Costituzione non possono che decidere i popoli. Spinelli nel 1984 e poi Herman nel 1994 fecero approvare dal Parlamento europeo due testi costituzionali, rimasti lettera morta a causa della sua non competenza che il referendum d'indirizzo italiano mirava a superare. Ciò che Padoa-Schioppa non vuole accettare è che i popoli possano decidere sui fondamenti dell'Europa, dimensione
quotidiana del loro vivere associato, e, soprattutto, non vuole prendere atto che si è venuto formando un europeismo di sinistra che ha superato i ritardi culturali del PCI e anche del PSI degli anni '50, quando i gruppi dirigenti cattolici e liberali avviarono
dall'alto la costruzione europea. Certo, esistono settori in Europa in cui sono vive tendenze al ritorno nei confini dello Stato-nazione o in cui prevale l'antieuropeismo, che si nutre dell'avversione a Bruxelles per le sue politiche neoliberiste e per le sue modalità decisionali chiuse, dove dominano i metodi della 'comitologia' segreta e della
governance.
Il No di Rifondazione comunista-Sinistra europea al Trattato di Lisbona è un No che si ispira al disegno politico di fondare un'altra Europa, quella pacifista e della cittadinanza democratica e sociale.
Intorno ad esso è bene organizzare una campagna di opinione per premere affinché il Parlamento italiano riproponga il progetto sotteso al referendum di indirizzo del 1989 per giungere a una democrazia costituzionale europea.
Prevalente nel nostro tempo è un movimento popolare, di sinistra, convintamente europeista. Oggi si confrontano non l'europeismo delle classi dirigenti e l'antieuropeismo dei popoli; no, oggi si confrontano due visioni dell'Europa: quella dei governi che hanno accentrato il potere nelle proprie mani e in quelle della sua tecnocrazia, e la visione dei popoli che vogliono un'Europa democratica e sociale, aperta al mondo, basata sulla cittadinanza transnazionale. È un nuovo europeismo, non più elitario ma democratico, condiviso da milioni di persone. Per questo
Padoa-Schioppa sbaglia nel giudicare come retrivo, chiuso nella difesa identitaria, il voto irlandese, e prima quello dei francesi e degli olandesi.
Lo stesso Presidente della Repubblica è ingeneroso nel giudizio, lui così appassionato ed esperto europeista. Al centro della questione c'è il deficit democratico, per questo promuovere un disegno politico che spacca l'Unione, spingendo i paesi 'volenterosi' a una sorta di 'cooperazione costituzionale rafforzata', significa distruggere una
visione democratica dell'Europa, l'unica che la può salvare dal naufragio dei governi.
Le classi dirigenti devono prendere atto che il metodo funzionalistico e intergovernativo, se è stato in grado di costruire il mercato unico, non ha la forza politica di fondare l'Europa dei cittadini: il disegno di Monnet in questo ha fallito - il mercato non fonderà l'Europa politica che ha bisogno di una Costituzione democraticamente fondata con la partecipazione dei popoli.
La strada è quella indicata da Spinelli: il Parlamento europeo diventi l'organo di elaborazione della Costituzione anche attraverso un dialogo con i Parlamenti nazionali e con la società civile, testo da sottoporre a referendum europeo. Serve un processo politico che coinvolga i popoli e i loro rappresentanti.
Si va formando un popolo europeo, sempre assente nei progetti delle élites liberali: è quello che si delinea nel Social forum europeo, da quello di Firenze nel 2002 a Malmoe nel prossimo settembre. Decine e decine di migliaia di persone dell'Est e dell'Ovest - migranti, donne, lavoratori, precari, giovani − partecipi a seminari, assemblee, iniziative e campagne sull'Europa vanno forgiando il popolo europeo, vero e unico soggetto della creazione dell'altra Europa.
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