La fiera delle non-vanità, ovvero le mancanze politiche dietro la crisi finanziaria

15 ottobre 2008

La crisi finanziaria tutt’ora in corso è senza dubbio uno straordinario esempio di come i mercati e le relazioni economiche e di scambio siano fondate su due presupposti non economici: la fiducia da una parte e l’opposto rischio del panico dall’altra (link al comunicato stampa della Gioventà Federalista Europea: http://www.taurillon.org/Federazione-Europea-o-Catastrofe-Economica).

L’effetto perverso della fine di un periodo di “esuberanza irrazionale”, la rottura dell’ingranaggio di coordinamento delle miriadi di micro-decisioni e micro-motivazioni individuali che compongono il complicato puzzle dell’economia finanziaria globalizzata nascondono però il ben più articolato rapporto che esiste tra politica ed economia; si dice che ogni transazione economica sia in realtà un problema politico concluso con successo e, in effetti, tra le cause di questa crisi la politica occupa un posto d’onore. E a dire il vero la colpa della politica sta non solo nelle decisioni sbagliate, quanto in quelle non prese, nelle sue mancanze. A mancare non è solo la fiducia dei risparmiatori-investitori nel mercato, quanto quella nei leader politici incapaci di prendere per le redini il cavallo impazzito dell’economia mondiale; ma soprattutto a mancare è la fiducia dei politici in loro stessi, quel pizzico di vanità che storicamente ha sempre dato corpo all’idealismo e alle proposte più innovative e rivoluzionarie.

Le mancanze della classe politica mondiale sono evidenti in primo luogo nel colpevole silenzio dei repubblicani americani, autori del disegno deliberato della deregulation che da anni sottrae dalla legislazione e dal controllo i territori selvaggi dell’attività bancaria e assicurativa; in seconda battuta le mancanze si personificano nei capi di stato e di governo europei, incapaci di unirsi anche quando la situazione si fa catastrofica, quando ciò che servirebbe è il lancio di un grande New Deal europeo (Link al comunicato stampa della JEF Europe: http://www.taurillon.org/It-s-Time-for-Change-It-s-Time-for-a-New-European-Deal)

Due sono a mio avviso i limiti politici che stanno alla base della difficoltà di porre rimedio in modo deciso e profondo a questa once-in-a-lifetime-crisis:

1) Il mondo colpito dalla crisi è molto diverso rispetto a quello del ’29; nonostante le entità dei due disastri siano paragonabili, oggi una fitta rete di istituzioni incomplete, protezioni, contrappesi e compensazioni riesce nel compito di attutire la “caduta”. Si badi bene, non risolvere (dato che le cause sono di natura sistemica), ma solamente attutire. Questa costruzione incompleta aggiunge delle complicazioni al problema, invece che semplificarne la soluzione; un esempio per tutti: la grande depressione spingeva le persone disperate a gettarsi dai balconi degli uffici, e queste situazioni rendevano evidente lo stato di crisi in cui il mondo versava. Al contrario oggi ben poco salta agli occhi dell’uomo della strada, se escludiamo il fastidio di sapere che i soldi delle proprie tasse vengono usati per salvare delle banche irresponsabili; questa percezione della crisi molto più soffusa e sfumata certo non aiuta i governanti a proporre e giustificare grandi piani e soluzioni rivoluzionarie;
2) L’unica vera possibilità di risolvere la crisi è una completa rifondazione dell’ordine economico mondiale (l’opzione “nuova Bretton Woods”). Il problema sta nel fatto che c’è un solo modo per creare un sistema di rapporti che superi e corregga i limiti del precedente: l’eliminazione di tutte le asimmetrie di potere che sottendono le relazioni internazionali. Questa necessità a sua volta comporta la scelta federale per l’Unione Europea; solo con la creazione del foedus politico e democratico è pensabile un rilancio della politica economica, degli investimenti, dell’occupazione su scala continentale, evitando il collasso dell’unione monetaria. Solo la federazione europea potrà avere la forza di sostenere la proposta della creazione di un unico paniere monetario di riferimento, abolendo il predominio del biglietto verde. Ma la radicalità della proposta è allo stesso tempo la sua forza ed il suo maggiore ostacolo, considerato il deficit carismatico e l’assenza di lungimiranza che caratterizza gli attuali leader europei.

La questione veramente fondamentale ha probabilmente una natura più “sociologica”, che riprende la già citata mancanza di fiducia e di capacità dei politici di levatura mondiale. Dagli inconcludenti consessi del G8 e del G4 alle inutili riunioni delle Nazioni Unite, il circo della politica occidentale appare sempre più come una fiera delle non-vanità; dov’è finita la passione, il sogno di gloria e anche l’egocentrismo che dà linfa al coraggio dei grandi statisti? Possibile che il nazionalismo ed i piccoli interessi siano più forti della possibilità di fare la storia? Mai come oggi questi uomini avrebbero la possibilità di scrivere in modo indelebile il loro nome tra quelli dei fautori dell’integrazione dell’intera umanità in una pacifica comunità di destino. Perché allora questa ignavia, questa mancanza della minima vanità? Forse la ragione sta nella crisi generalizzata dell’occidente, forse e più semplicemente il motivo si trova nell’inettitudine e nel disinteresse verso i grandi temi, i sogni e le utopie del passato.

Questa crisi rappresenta un’occasione irripetibile, forse l’ultima, per evitare la completa disillusione dei cittadini del mondo verso la capacità della politica di governare e di dare veramente un senso condiviso e una direzione anche morale alla polis. Nel “18 brumaio di Luigi Bonaparte” Marx ed Engels scrivevano, giocando con la storia e con la natura umana, che ogni vicenda tende a ripetersi due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa. Basterebbe solamente un po’ più di intelligenza, coraggio e vanità per non perdere la sfida che ci troviamo di fronte; il rischio sempre più reale è invece che, dopo la tragedia del ’29, i posteri ricorderanno i nostri tempi solamente come una triste, dolorosa e rassegnata farsa.

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