I cittadini europei hanno il diritto di scegliere chi governa l'Europa
Il 6-7 giugno gli Europei si recheranno alle urne, per la settima volta, per eleggere il loro Parlamento, che è – ricordiamolo – il primo parlamento soprannazionale della storia, il simbolo dell’unità e della pace in cui gli europei vivono grazie al processo avviato nel secondo dopoguerra dai padri fondatori dell’unità europea.
Voteranno per un partito, per dei candidati, ma da questo voto non nascerà un “governo europeo”, come avviene in democrazia quando si vota sul piano locale, regionale o nazionale. E se non si può decidere chi governa l’Europa, la conseguenza è che il voto europeo non appare importante, e si finisce per parlare della solita competizione tra le forze politiche nazionali per il ‘governo italiano’, al massimo della crisi economica (ma è una crisi nazionale?).
In più questa volta si rischia un forte assenteismo proprio perché l’Unione europea – priva di un reale governo responsabile della politica estera, della difesa e dell’economia - non ha mostrato di saper fronteggiare con efficacia le emergenze degli ultimi anni: si è divisa sulla guerra in Irak, non è riuscita a darsi una Costituzione, non ha varato un piano ‘europeo’ contro la crisi internazionale, lasciando ai singoli stati la decisione sulle misure da prendere (e gli stati hanno fatto poco). Ha funzionato solo sul versante monetario, evitando il collasso del sistema finanziario e bancario europeo, grazie all’euro, conquista oramai irreversibile, retto da un potere di tipo federale quale è quello della Banca Centrale Europea. Ciò dimostra che quando c’è, l’Europa funziona.
Ma c’è un’aggravante che spiega il disinteresse dell’opinione pubblica sulle elezioni europee. I partiti nazionali e le ‘famiglie politiche’ europee alle quali sono collegati non hanno presentato dei reali programmi europei, non hanno messo in moto un confronto tra le diverse visioni dell’Europa e, soprattutto, non hanno presentato un loro ‘candidato’ alla Presidenza della Commissione Europea, l’organo che dovrebbe rappresentare, appunto, il ‘governo dell’Europa’. Quindi: niente partiti europei, niente programmi europei, nessun candidato-Presidente. La conseguenza logica è, pertanto, il disinteresse generale per il tema europeo: i cittadini capiscono se il loro voto conta oppure no.
La domanda allora diventa: ma perché i partiti nazionali/europei non hanno presentato programmi europei e non hanno indicato chi è il loro candidato alla Presidenza della Commissione europea? La risposta è duplice: a) preferiscono mantenere la propria ‘sovranità’ di partito nazionale e quindi non delegare poteri al ‘loro’ partito europeo; b) di conseguenza, lasciano che siano i rispettivi governi nazionali a decidere la spartizione delle cariche europee, cosa che viene fatta attraverso quel metodo che in Italia si chiama ‘consociativismo’, cioè un accordo in base al quale se ad uno tocca la Presidenza del Parlamento all’altro deve toccare quella della Commissione, e via di seguito; e questo indipendentemente dal voto elettorale, ma sulla base dei complessi equilibri tra Paesi grandi e piccoli, Paesi mediterranei o nordici, ecc. L’accordo alla fine non può che essere sul minimo denominatore comune, quindi su un personaggio possibilmente scialbo, che non crei problemi ai governi nazionali.
Ci si chiede, però, se questo sistema poco democratico – che esclude, nei fatti, il popolo europeo dalle scelte del governo dell’Europa - possa ancora reggere. Probabilmente è giunto alla fine perché le contraddizioni tra la dimensione dei problemi – europei e mondiali – di fronte ai quali si trova l’Unione e l’inadeguatezza della risposta cresce ogni giorno. C’è da far fronte ai problemi di un’azione di contrasto veramente seria, cioè europea, della crisi economica, che è già pesante oggi sul fronte produttivo e diventerà pesantissima sul fronte occupazionale nel prossimo autunno: occorre lanciare prestiti europei (eurobonds) reperendo risorse sul mercato internazionale, sfruttando la forza e la credibilità dell’euro, per finanziare i progetti nelle infrastrutture e nei settori della terza rivoluzione industriale (nuove energie rinnovabili, ambiente, ricerca scientifica e nuove tecnologie). C’è da far fronte ai problemi della sicurezza internazionale (proliferazione nucleare), del rapporto tra Europa ed Africa (immigrazione), del rapporto con le altre grandi potenze attorno ai temi della riforma dell’ordine finanziario internazionale (nuova Bretton Woods) e del commercio mondiale, specialmente sul tema delle derrate alimentari (Doha Round).
E’ di tutta evidenza che per affrontare questi problemi con efficacia, nell’interesse degli Europei, c’è bisogno di un ‘governo europeo’ effettivo, che sia legittimato dalla maggioranza che emerge dal voto delle elezioni europee. La prossima legislatura del Parlamento europeo sarà dunque importante perché dovrà affrontare il problema della riforma delle istituzioni atte a consentire la nascita di una vera democrazia europea: la fine del potere di veto degli Stati nel Consiglio europeo, la formazione di una legge elettorale europea uniforme, la nascita di veri partiti europei; e poi la piena potestà legislativa del Parlamento, l'aumento dei poteri di bilancio dell'Unione ( oggi fermo a un ridicolo 1% del Pil europeo ).
Malgrado la latitanza delle forze politiche il voto del 6 e 7 giugno sarà importante per dare all'Europa la forza per cominciare ad affrontare questi problemi.
http://www.mfe.it/decidailpopoloeuropeo
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