UE: Ashton e Van Rompuy scelte di basso profilo
Con una sorpresa finale sono arrivate le nomine del premier belga Herman Van Rompuy alla Presidenza stabile dell’Unione Europea, mentre l’attuale commissario al commercio estero Catherine Ashton è stata nominata Alto Rappresentante per la politica estera, in pratica il nuovo ministro degli Esteri dell'Unione, vale a dire il cosiddetto «Mr. Pesc». E’ una soluzione di basso profilo, precipitata nelle ultime ore, con il classico ‘colpo di teatro’ inglese. I britannici hanno agitato per mesi lo spauracchio Blair (sapendo che sarebbe stato inaccettabile ai più) per ottenere ciò cui tenevano realmente: la guida della diplomazia europea. Mr. Pesc infatti guiderà le riunioni dei ministri degli esteri europei, sarà responsabile delle relazioni esterne della Commissione, avrà a disposizione anche un congruo portafoglio per gli aiuti allo sviluppo. E poi sarà a capo del servizio diplomatico, con personale proveniente dalla stessa Commissione, del Consiglio e dalle varie diplomazie nazionali. E, ancora, vicepresidente della stessa Commissione europea. Solo che alla fine la carica di ‘ministro degli esteri’ non è andata all’attuale ministro degli esteri inglesi, il più quotato (e brillante) David Miliband, bensì all’oscura Catherine Ashton. Perché?
All’inizio le ‘famiglie politiche europee’ hanno cercato di imporre la propria agenda stabilendo un principio: al PPE sarebbe spettata la Presidenza stabile dell’Unione, al PSE il ‘ministro degli esteri’. Ma i governi hanno presto preso in mano il gioco. Hanno accettato lo schema, ma hanno deciso i nomi, sulla base di un ragionamento semplice: le cariche europee non devono ‘oscurare’ i leader nazionali. Hanno persino accettato un inglese, purchè fosse di basso profilo.
C’è una logica in tutto ciò. Francia e Germania continuano a preferire un’Europa intergovernativa, basata su un ‘direttorio’ che consenta loro la leadership in un’Europa debole. Per questo non vogliono mai rompere con gli Inglesi. Naturalmente non possono accettare personaggi ingombranti come Blair o come lo stesso Miliband. L’oscura Ashton va bene, è anche una donna, così sono a posto anche con le ‘quote rosa’.
La conclusione è che l’Europa di Lisbona parte con un forte segno intergovernativo, pur avendo, con le nuove istituzioni, certe potenzialità innovative. Quando ci sono dei cambiamenti istituzionali le persone contano, se ci sono dei leader questi possono avere un grande ruolo per imprimere un’accelerazione al processo di cambiamento. Nel passato un leader come Jacques Delors riuscì a dare autorevolezza (come mai è più stato) ad una Commissione europea che aveva meno poteri dell’attuale guidata da Barroso.
Ed oggi è proprio questo che si vuole evitare: che nascano dei leader europei. E’ la stessa lezione che ci è venuta dalle recenti elezioni europee. I socialisti europei rinunciarono a candidare un loro uomo che contrastasse Barroso alla guida della Commissione: i vari segretari nazionali temevano di essere ‘oscurati’, di perder potere. Preferirono così rinunciare a combattere. E non poterono che perdere. Ora, nell’attuale circostanza, hanno prima provato a fare un passo, candidando D’Alema. Ma poi hanno ceduto alla ‘ragion di Stato’ ed hanno accettato che le cariche europee fossero di basso profilo, con piena soddisfazione dei governi e dei partiti nazionali che così non si vedono oscurati da un ministro europeo degli esteri che potrebbe emergere come leader europeo.
Il parlamento europeo deve imparare – anche da questa vicenda – che deve giocare la partita sul proprio campo, là dove può vincere, sempre che lo voglia. La battaglia sul bilancio è il terreno sul quale può nascere il potere nuovo di cui l’Europa ha bisogno per crescere: un consistente aumento delle risorse per fare le politiche che non si possono più fare a livello nazionale e che servono effettivamente agli europei (difesa, energia, ambiente, ricerca e innovazione scientifica, investimenti nelle grandi infrastrutture, piani europei di riconversione industriale). Quando nascerà un “governo europeo dell’economia” emergerà allora anche la forza per scegliere autonomamente presidenti e ministri degli esteri, negli interessi dei cittadini europei, e non più secondo le logiche dei governi e dei partiti nazionali.
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