L'Europa dopo Lisbona

L’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona: affrontare le difficoltà, accettare la sfida

16 dicembre 2009
Raffaella Bolini (Presidente dell'Arci)
Fonte: Arcireport

Con l’entrata in vigore il primo dicembre del Trattato di Lisbona, si apre un nuovo capitolo per l’Unione europea. E anche per la società civile si impone l’apertura di una nuova fase. Per anni abbiamo discusso sul Trattato, concepito come una Costituzione e poi declassato.

Da oggi, è bene mettersi alle spalle i no, i sì, i sì critici che hanno segnato e diviso i movimenti civici di tutta Europa e provare a costruire un polo sufficientemente coeso e organizzato per giocare un ruolo utile nella dimensione comunitaria. Sapendo che la situazione non è per nulla facile.

È paradossale che si rafforzino i poteri del Parlamento europeo proprio nel momenti in cui i cittadini disertano in gran massa le sue urne ed eleggono una discreta rappresentanza di partiti xenofobi e razzisti.

Intervento di Raffaella Bolini, Presidente Arci, al Congresso del Movimento Federalista Europeo a Roma, marzo 2007

È paradossale che diventi possibile, raccogliendo un milione di firme, sottoporre iniziative legislative dal basso negli stessi giorni in cui la maggioranza degli svizzeri nega alla minoranza islamica di costruire i minareti.

La costruzione europea, nei disegni dei padri fondatori, non era un progetto neutro.

dopo il Trattato di Lisbona si apre una nuova fase ..
Da oggi, è bene mettersi alle spalle i no, i sì, i sì critici che hanno segnato e diviso i movimenti civici di tutta Europa e provare a costruire un polo sufficientemente coeso e organizzato per giocare un ruolo utile nella dimensione comunitaria.
Della composita storia europea Spinelli e compagni prendevano la parte migliore, il filo rosso delle esperienze e dei pensieri tesi ad affermare diritti e democrazia, e la ponevano a fondamento di un polo originale, autonomo, con una sua forte identità: pace, diritti, libertà.

L’Europa reale l’ha invece poi costruita il mercato, e oggi neppure la Carta dei diritti fondamentali, che con il Trattato diventa giuridicamente vincolante, potrà automaticamente garantire all’Ue una cifra progressista.

L’Unione europea con il Trattato si rafforza e assume maggiori poteri, nella politica estera e di sicurezza con l’Alto rappresentante, nonché in altri settori importanti.
La possibilità di decidere a maggioranza qualificata dei Paesi e non più per consenso ne aumenterà l’efficienza. Ma questo accade in uno dei momenti più complicati della sua storia. Dopo la Seconda guerra mondiale, con il bipolarismo Usa-Urss e poi con l’unilateralismo Usa e atlantico, l’Europa ha sempre avuto una oggettiva centralità nello scenario internazionale, nel bene o nel male.

Il declino della potenza statunitense, il nuovo multilateralismo senza regole che affida, sulla base della crescita economica, un ruolo centrale ai Paesi emergenti come Cina, India, Russia, Brasile crea una condizione nella quale il destino del nostro continente negli scenari mondiali è incerto e non scritto. Inoltre, il progetto di trasferire all’Unione europea il tasso alto di democrazia che era caratteristica delle Costituzioni dei suoi Paesi fondatori, nate dalla Resistenza al nazifascismo, si scontra oggi con la crisi della politica e la caduta della partecipazione in quegli stessi Paesi, con la crescita del populismo, con la chiusura localistica e la riduzione dello spazio pubblico, associate all’ingresso nell’Unione delle fragili e incompiute democrazie dell’Est. Non si può assistere da spettatori alla decadenza dell’Europa senza provare a fare la nostra parte. È vero, lo spazio pubblico europeo non è facile a trovarsi.

Un ‘demos’ europeo non esiste realmente, e il modo in cui l’Unione è strutturata non aiuta, con i poteri ancora saldamente nelle mani degli Stati nazione. Possiamo eleggere solo la fetta nazionale dei parlamentari.

I partiti europei nei fatti non esistono. Non esistono media, giornali, tv europee. Commissari e parlamentari continuano di fatto a dover rispondere solo agli interessi nazionali. Bisogna allargare gli spazi esistenti, e il Trattato all’articolo 11 ci offre un’occasione, riconoscendo il dialogo civile, le ampie consultazioni della società civile e la democrazia partecipativa come una componente nella vita dell’Unione. Non possiamo lasciare la definizione di questi spazi solo agli addetti ai lavori, bisogna che la società civile che anima quotidianamente i territori europei metta i piedi nel piatto di questa discussione, affronti le difficoltà e la crisi e accetti la sfida.

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