Dall'Euro al Fondo Monetario Europeo. Un altro passo verso l'Unione politica europea
La crisi economica della Grecia, contrariamente alle aspettative, potrebbe finire per rafforzare la zona euro. La proposta di creazione di un Fondo Monetario europeo (FME), se attuata, potrebbe infatti segnare un nuovo avanzamento sul lungo e difficile cammino dell’integrazione europea. Non soltanto nei suoi aspetti economici, ma anche e soprattutto sul versante dell’unificazione politica.
Per comprendere il significato della proposta di dotare la zona euro di uno strumento analogo al Fondo Monetario Internazionale, bisogna rammentare che il lancio dell’euro ha rappresentato una scommessa senza precedenti. I paesi europei si sono dotati di una moneta unica, senza che i presupposti di natura economica e politica dell’esistenza di un segno monetario comune fossero pienamente realizzati. Nel mondo moderno della moneta fiduciaria una moneta deve necessariamente fare riferimento a uno Stato, che costituisce il garante ultimo del valore del mezzo di pagamento. Con l’aggiunta che sul piano tecnico-economico l’unificazione politica supera la soglia della irreversibilità quando si crea una unione fiscale, vale a dire quando si decidono insieme le politiche delle imposte e delle spese, ed esistono meccanismi di trasferimento automatico delle risorse dalle regioni o dai paesi in buone condizioni ai partner colpiti da una crisi economica. Se in Italia una regione come la Basilicata è colpita da una recessione, l’esistenza di un bilancio comune a livello dello Stato italiano garantirà una serie di aiuti (e di minori imposte) che renderanno meno dura la recessione, e al limite potranno assorbirla interamente. Un meccanismo del genere a livello europeo non esiste, se non altro perché il bilancio comune ha un peso risibile, dato che rappresenta soltanto l’un per cento circa della ricchezza prodotta annualmente dagli europei.
In apparenza l’euro ha funzionato benissimo durante il suo primo decennio di vita, ed anzi ha rappresentato uno scudo contro le turbolenze esterne. Cosa sarebbe capitato alla lira e ai tassi di interesse italiani durante la crisi economica mondiale, se la nostra vecchia moneta fosse ancora esistita?
Tuttavia, all’intero della zona euro gli squilibri si stavano accumulando. I paesi periferici, che dopo la loro adesione avevano visto calare in modo molto consistente i tassi, hanno attraversato all’inizio una fase di boom. Ma quando quest’ultimo si è interrotto, in seguito alla crisi mondiale, si sono ritrovati con il peso di un differenziale di competitività a con un debito a livelli tali, da metterne in pericolo la solvibilità. La Grecia, da questo punto di vista, è solo il paese più esposto di un gruppo di economie che comprende anche il Portogallo, la Spagna, l’Irlanda e l’Italia.
Di fronte al pericolo che la crisi greca metta in discussione non solo l’appartenenza di questo paese alla zona euro, ma l’intero edifico della moneta unica, l’unica via di uscita in avanti consiste nel rafforzare l’unione economica, dando inizio a un principio di unione politica in Europa. L’alternativa sarebbe di lasciar morire l’euro, rimettendo in discussione le stesse basi del processo di integrazione.
Sarkozy e la Merkel lo hanno capito e hanno proposto il varo di un FME, che in pratica dia sì degli aiuti ai paesi in difficoltà, vincolando però fortemente le loro politiche fiscali, e quindi creando un primo nucleo di unione fiscale europea.
Il tedesco Stark che siede nel comitato esecutivo della Banca centrale europea (BCE), non è però d’accordo perché teme che la nuova istituzione riduca l’autonomia di quest’ultima. Ma solo perché non ha capito che senza un inizio di unione fiscale in Europa la stessa BCE rischia prima o poi di morire, con il fallimento dell’euro.
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