Europa e la crisi greca: Che cosa vogliono i mercati ..
A quanto pare, e non senza molte ragioni, il destino dell'Europa è legato agli umori dei mercati finanziari. Stiamo tutti chiedendoci che cosa vogliono i mercati "di più". Eppure non è un mistero ciò che i mercati vogliono. È anzi chiarissimo. Basta immaginare (e beato chi non ha bisogno di immaginarlo) di possedere qualche milione di euro e di dover decidere se continuare a investirlo in titoli pubblici europei, o meglio nei titoli di una delle nazioni europee finanziariamente meno solide. Che cosa vorremmo "di più"? Che cosa stiamo aspettando, che cosa potrebbe farci decidere? Che cosa occorrerebbe perché l'Europa brillasse ai nostri occhi di una luce nuova, di un nuovo smalto?
Occorre un atto rivoluzionario, un grande gesto politico – e non uso a caso la parola "gesto". Occorre lanciare il progetto della Federazione europea, e non soltanto perché è l'unica arma politica di cui l'Europa dispone per affrontare il mare in tempesta dell'economia mondiale, ma perché serve precisamente un segnale, e che sia il più chiaro, il più forte possibile. Non solo bisogna compiere il passo fatale – la definitiva subordinazione delle sovranità nazionali europee a una sovranità federale –, passo che fino ad oggi è stato tabù, ma bisogna che ciò sia fatto alla luce del sole e prima ancora, letteralmente, gridato ai quattro venti, abbastanza perché sentano i mercati e non sussistano più dubbi sulle intenzioni dell'Unione. Allora, magicamente, le acque si calmeranno. Siamo pronti a scommettere?
Sarebbe strano se tutto questo suonasse paradossale, considerato che la più importante acquisizione teorica degli ultimi decenni in campo economico è il ruolo delle aspettative nell'orientare le scelte dei mercati. Ed è abbastanza evidente che la politica dell'austerità da sola non può bastare, perché essa deprimerebbe semplicemente i redditi, già depressi, e sprofonderebbe l'economia europea nel ristagno. Su questo è necessario intendersi. Non soltanto una politica di risanamento andrà condotta con la massima equità possibile, salvaguardando il ceto medio come ciò che di più prezioso la storia europea ha prodotto negli ultimi due secoli della sua storia – e non fingendo, ministro Tremonti, che tagliare la spesa per la sanità sia qualcosa di diverso che colpire nel modo più duro possibile i redditi medio–bassi –: soprattutto dovrà condursi all'interno di un grande progetto politico. Questo chiedono i mercati finanziari.
Bisogna indicare un futuro: perché chi deve investire il proprio capitale guarda al futuro e vuole futuro. E nel futuro è scritto che l'unico orizzonte di crescita possibile per l'Europa è la Federazione europea, anche perché soltanto così, con lo strumento di una finanza pubblica europea, sarebbe possibile procurarsi le risorse da investire nello sviluppo. Lo stesso rigore di cui la Germania va facendosi paladina può e deve essere applicato nel condizionare gli investimenti a un piano federale; ma il piano dovrà essere, appunto, federale. In verità non occorre essere profeti per scommettere che i mercati finanziari sarebbero pronti a dare tutta la propria fiducia a un'Europa finalmente risorta. Ma nulla di meno potrà bastare. Al contrario: tutto ciò che "di meno" sarà fatto peggiorerà le cose, fino al punto di non ritorno.
Non si scordi soprattutto il rischio più grave che noi stiamo correndo: la definitiva disaffezione dei cittadini europei per l'idea stessa dell'unità politica, se l'Unione non saprà alzare la testa e se invece di promettere loro un futuro, invece di invitarli a essere protagonisti di un grande progetto politico – il più grande che la storia abbia mai conosciuto, lo si può affermare tranquillamente –, apparirà ai loro occhi come un Moloch burocratico intento a vibrare il colpo di grazia alla qualità de loro vivere, come unica risposta a una crisi di cui nessun cittadino si sente direttamente responsabile.
Qui, oggi – dobbiamo esserne tutti consapevoli –, o si fa l'Europa federale o si muore.
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