Noi, giovani italiani d'Europa e il nostro Futuro.
Il discorso appassionato di fine anno scorso del Presidente della Repubblica mi induce a fare un appello alla mia generazione per risollevare le sorti del Paese. I continui tagli alla spesa pubblica sono diventati ormai la costante politica degli ultimi governi. La motivazione addotta è sempre la stessa: il debito pubblico è troppo alto per fare investimenti e bisogna ridurre le spese e i costi per rimanere competitivi.
Ma questa è tutta la verità? Io credo di no.
Oggi lo Stato non riesce a investire nelle nuove generazioni e a gestire la crisi perché non riesce ad affrontare la sfida della globalizzazione. Imprese e capitali lasciano il Paese perché è il loro unico modo per rimanere competitivi sul mercato globale scosso dalla crisi economica; mentre chi vive di redditi da lavoro dipendente viene impoverito dall’imposizione fiscale o, peggio, perde il posto.
E dove troviamo le risorse per fare le riforme necessarie? Può ancora la politica intervenire in economia? Dappertutto in Europa si diffondono sentimenti di rassegnazione, di rabbia e sdegno per i tagli allo stato sociale. L'Europa, affrontando divisa i propri problemi, è condannata all'impotenza, alla perdita delle proprie conquiste sociali, all'impoverimento economico. Ha ragione il ministro Tremonti quando il 6 gennaio ha dichiarato che "la competizione è tra continenti": i nostri stati nazionali sono troppo piccoli per governare i problemi della globalizzazione.
L'Unione Europea come uscita dal Trattato di Lisbona, non è un'istituzione sovrana nei campi del governo economico, della politica fiscale e della politica estera europea. Noi giovani abbiamo la storica responsabilità di costruire la Federazione europea perché solo con questa istituzione democratica potremo affrontare le sfide che ci attendono, fare gli investimenti in ricerca, ambiente e beni pubblici ma, più importante, tornare a sperare in una società migliore.
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