La guerra in Libia e le responsabilità dell'Europa
Come la crisi dell’euro ha fatto emergere tutte le contraddizioni di una moneta senza Stato, così la guerra in Libia ha messo in luce quanto sia velleitario e pericoloso pretendere di condurre una politica estera e militare europea in un quadro di disunione politica.
Certamente l'iniziativa della Francia è servita per risparmiare Bengasi dal massacro. Ma purtroppo, che il massacro sia definitivamente scongiurato, non lo si può ancora dire.
E questo nonostante la risoluzione dell’ONU abbia riaffermato due importanti principi sovrannazionali:
-la “responsabilità di proteggere” la popolazione civile nei confronti di crimini contro l’umanità commessi dal governo di Gheddafi. Si tratta di un principio adottato dall’ONU nel 2005 sulla base di un rapporto del 2001 di una “Commissione sull’intervento e la sovranità statale”, che legittima l’intervento dell’ONU negli affari interni degli Stati per fare valere principi universali violati da governi oppressivi;
- il deferimento di Gheddafi alla Corte penale internazionale, che è stata creata per sottrarre all’impunità i grandi criminali che sono alla testa degli Stati.
Nell’era della globalizzazione, l'affermazione di questi principi è sempre più necessaria per fare rispettare quei valori della convivenza pacifica e democratica a livello internazionale indispensabili a creare un clima di fiducia e collaborazione fra i popoli. Nel quadro attuale, che ciò sia sufficiente a fare cadere Gheddafi, nessuno lo può sapere.
L’intervento militare in corso in Libia per instaurare una no fly zone per scopi umanitari da parte di un gruppo di paesi sotto l’egida delle Nazioni Unite sta infatti assumendo i connotati di una guerra dagli esiti incerti nel cuore del Mediterraneo, in cui rischiano di uscire sconfitti e indeboliti sia il popolo libico, sia gli europei, sui quali in ogni caso ricadono le maggiori responsabilità della situazione che si è venuta a creare.
Finita l’epoca coloniale, nell’ultimo mezzo secolo gli europei non sono stati capaci di contribuire, a causa delle loro contraddittorie e spesso conflittuali politiche nazionali, a sciogliere i nodi dello sviluppo economico e democratico dei paesi di questa regione, né sono stati in grado di avviare una reale, duratura e credibile politica di cooperazione euro-africana sui terreni cruciali della politica energetica, della sicurezza e della politica estera. Oggi, a causa della loro disunione politica, gli europei stanno
trasformando un’operazione nata per favorire la transizione pacifica alla democrazia in Libia, in un avventura dagli sviluppi imprevedibili. Una decisione politica multilaterale presa dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per proteggere la popolazione civile, continua infatti ad essere interpretata diversamente dai singoli paesi, in un quadro operativo ancora tutto da definire, e soprattutto al di fuori di un coerente disegno politico. A causa della pluralità delle organizzazioni internazionali coinvolte - l’ONU, l’Unione europea, la Lega Araba e la NATO – la coalizione di Stati che partecipa alle operazioni militari incontra difficoltà a realizzare gli obiettivi definiti dalla risoluzione dell’ONU. In particolare gli europei si sono divisi prima in seno al Consiglio di sicurezza, poi nella gestione delle operazioni militari, infine nella NATO. C’è il rischio che sulla crisi libica si innesti la competizione tra vecchie (USA e Russia) e nuove (in primo luogo la Cina) potenze per affermare o aumentare l’influenza in una zona che storicamente, economicamente, socialmente e culturalmente era finora stata legata all’Europa.
Sarà possibile nel medio periodo promuovere la pace e lo sviluppo nel Mediterraneo senza una coerente politica estera e di sicurezza europea? Sarà possibile dotarsi di una simile politica senza un governo democratico e capace d’agire legittimato a governare dal voto dei cittadini europei? Sarà possibile fare tutto ciò senza rilanciare il progetto della Federazione europea? Ebbene, la risposta a ciascuna di queste domande è NO.
Nell’immediato, occorrerebbe mostrare che i Trattati che sono stati sottoscritti non sono carta straccia e che le istituzioni europee che hanno contribuito a creare servono davvero per promuovere un’Unione sempre più stretta sul terreno delle politiche economiche, per lo sviluppo, per far parlare con una sola voce l’Europa. Per questo i governi, in particolare quelli di Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia, cioè dei maggiori paesi oggi coinvolti in questa crisi anche sotto la pressione delle istituzioni, delle opinioni pubbliche e dei movimenti che si battono per la pace e il rispetto dei diritti umani, anziché rivendicare un ruolo nazionale nel Mediterraneo, potrebbero e dovrebbero rafforzare la cooperazione fra loro, e non indebolirla. In prospettiva, per mostrare che esiste davvero la volontà di impostare su basi nuove le relazioni tra Stati europei e fra questi e il resto del mondo, alcuni paesi, a partire da quelli dell’Eurogruppo, dove si stanno affacciando all’orizzonte nuove tempeste finanziarie ed economiche, insieme ai rappresentanti più consapevoli delle istituzioni europee, dovrebbero rilanciare il progetto politico della Federazione europea, coinvolgendo i cittadini, promuovendo una nuova fase costituente e superando il metodo intergovernativo nell’affrontare le crisi.
(24 Marzo 2011)
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