Nuovo Trattato: le due strade dell'Europa
Il “dio Mercato” non fa miracoli nonostante la fede dei suoi seguaci ed è venuto il momento di cambiare religione per seguire la via della riforma abbandonando la strada fallace della conservazione. Con questo criterio di giudizio deve essere valutato l'accordo sul “rafforzamento dell'Unione economica” (in inglese “REU international agreement”) che traduce in obblighi giuridici e procedure per sanzionarne la violazione le conclusioni a cui sono giunti i governi dell'Eurozona. Con la volontà di assecondare i mercati, è iniziata una corsa contro il tempo per giungere all'approvazione dell'accordo agli inizi di febbraio, sottoporlo alla firma dei capi di Stato o di governo agli inizi di marzo e sottometterlo alle ratifiche nazionali con l'obiettivo di farlo entrare in vigore entro la fine del 2012. La necessità di far presto contrasta con la mancata ratifica del meccanismo permanente “salva stati” che nessun parlamento nazionale ha finora approvato.
I termini essenziali dell'accordo sono noti e ce li ha ricordati Paolo Soldini due giorni fa. Accanto alla conferma di obiettivi, regole e procedure già previsti dal diritto primario europeo (i trattati) e dal diritto secondario (regolamenti e direttive), l'accordo ha l'obiettivo di rendere obbligatorio l'inserimento nelle costituzionali nazionali della regola del pareggio di bilancio (“gli Stati contraenti devono...,”), di portare ad una cifra vicina allo zero (0.5%) la percentuale dei disavanzi rispetto al PIL, di eliminare il carattere tendenziale della riduzione del debito pubblico obbligando i paesi contraenti al pesante esercizio finanziario di un taglio delle spese per una cifra annuale pari ad 1/20 di ciò che eccede il 60% del PIL. Avendo già sottoscritto i termini politici dell'accordo, appare ora difficile per i capi di Stato o di governo smentire se stessi e dare incarico ai loro rappresentanti di bloccarne il cammino utilizzando deboli argomentazioni giuridiche.
La natura ed il contenuto dell'accordo difficilmente potranno essere mutati perché esso è costruito tutto intorno all'esigenza di garantire la disciplina di bilancio erroneamente considerata come la sola soluzione capace di rilanciare la crescita. La volontà italiana, espressa alla cancelleria Merkel dallo stesso premier Monti e introdotta poi negli emendamenti predisposti dal ministero dell'economia e delle finanze, di accompagnare la disciplina di bilancio con un allentamento dei rigidi vincoli richiesti dalla Germania in particolare per quanto riguarda il debito pubblico, con la conferma del ruolo super partes della Commissione europea sia nel Trattato che nell'accordo internazionale anteponendola al discutibile intervento della Corte di Giustizia e con un teorico incitamento a misure europee per lo sviluppo si scontra con la natura dell'esercizio imposto dalla Germania e rischia in definitiva di portare acqua al mulino tedesco accettandone l'impianto intergovernativo e la dissociazione rispetto al sistema comunitario. Più coerente con i principi dell'Unione appare l'approccio del PE che tende a ricondurre l'esercizio all'interno del diritto europeo proponendo termini di tempo per l'inserimento dell'accordo nel trattato, una clausola di decadenza dopo sette anni dalla sua entrata in vigore ed aggiungendo l'idea di un gruppo di economisti tedeschi di “mutualizzare” i debiti pubblici nazionali al di là del 60% in un fondo europeo. Anche nel caso del PE, la determinazione a sostegno del metodo comunitario rischia purtroppo di infrangersi contro la tendenza alla rinazionalizzazione espressa dal direttorio franco-tedesco. In questo quadro sarebbe utile riflettere su due azioni complementari alla modifica dell'accordo.
La prima fondata sulle possibilità offerte – in molti casi con voti a maggioranza qualificata nel Consiglio ed in codecisione con il PE - dal trattato di Lisbona per adottare misure urgenti a favore della crescita come l'introduzione dei project bonds per investimenti a dimensione europea o l'accelerazione nella realizzazione degli obiettivi fissati dalla strategia Europa 2020.
La seconda fondata sull'esigenza di andare al di là del trattato di Lisbona per garantire democrazia e legalità a livello europeo riprendendo il cammino verso l'Unione politica. Quest'azione può e deve essere intrapresa dal PE che ha il potere di proporre modifiche al trattato chiedendo la convocazione di una convenzione composta da rappresentanti delle istituzioni europee e nazionali. Essa può essere aiutata da un'iniziativa del governo italiano per introdurre nell'accordo una “clausola del rendez-vous” dando appuntamento in tempi brevi per un esercizio più ambizioso di riforma globale del trattato di Lisbona.
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