Il Gruppo Spinelli e il Parlamento europeo. Intervista a Pier Virgilio Dastoli

19 febbraio 2012
Michele Ballerin (Scrittore e pubblicista, collabora con giornali e riviste di cultura politica. Nel 2010 ha pubblicato "Ciò che siamo, ciò che vogliamo. Dalla crisi dei valori all'Europa del diritto", ed. Il ponte vecchio)

Pubblicato su iMille - Le cose cambiano.

Pier Virgilio Dastoli è stato per molti anni un alto funzionario dell'Unione Europa; ma prima ancora fu il collaboratore più stretto di Altiero Spinelli dal 1977 al 1986, all'epoca in cui l’eurodeputato Spinelli convinse il Parlamento Europeo a votare a larghissima maggioranza il progetto di Trattato per un’Unione Europea, che dopo un iniziale rifiuto da parte dei governi avrebbe portato all’Atto Unico Europeo e poi, nel 1992, al Trattato di Maastricht. Presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo, dal 2011 è anche membro e consigliere politico del Gruppo Spinelli. Lo abbiamo intervistato per chiedergli di spiegare ai lettori dei Mille che cos’è esattamente il Gruppo, che tipo di impegno politico sta portando avanti all’interno delle istituzioni europee e, più in generale, che aria tira in Europa in questi giorni convulsi e un po’ caotici.

Altiero Spinelli al PE

D: Credo che i nostri lettori vorrebbero sapere, in primo luogo, che cos’è esattamente il Gruppo Spinelli, chi ne fa parte, quando si è costituito e perché.
R: Il Gruppo Spinelli si è costituito nel settembre del 2010 su iniziativa di Guy Verhofstadt, Daniel Cohn Bendit, Isabelle Durant e Sylvie Goulard e si ispira al pensiero e all’azione politica di Altiero Spinelli. Oggi è formato da quattro organi piramidali: il primo e più allargato comprende tutti i firmatari del manifesto, che sono già diverse migliaia in tutta Europa; il secondo gruppo è lo steering committee, composto da una trentina di membri tra cui gli italiani Romano Prodi, Mario Monti, Monica Frassoni e Sandro Gozi, senza dimenticare naturalmente Tommaso Padoa Schioppa; il terzo è il board, l’esecutivo vero e proprio: qui siedono Verhofstadt, Sylvie Goulard, Cohn Bendit, Isabelle Durant, Jo Leinen, Sergio Cofferati, Andrew Duff e io stesso; infine il gruppo parlamentare, che conta attualmente circa 100 eurodeputati ed è presieduto da Duff e Cofferati. Il Gruppo ha tenuto finora due “Consigli ombra”, nel marzo e nel dicembre 2011, in occasione dei quali ha presentato alcune linee di indirizzo politico alternative a quelle del Consiglio europeo e ha elaborato una strategia per i prossimi mesi, i cui contenuti sono pubblicati sul sito del Gruppo.

D: Che cosa pensa il Gruppo Spinelli del modo in cui la Germania, la Francia e l’Italia stanno gestendo la crisi europea?
R: L’opinione del Gruppo a questo proposito è molto critica, in particolare nei confronti della politica tedesca e di quella francese. Siamo critici verso il metodo adottato dai governi, che è quello intergovernativo, ma al tempo stesso pensiamo che per uscire da questa situazione non basti neppure limitarsi a salvaguardare il metodo comunitario, che ha mostrato evidenti i segni del tempo. La verità è che bisogna andare oltre il metodo comunitario verso quello federale, che prevede una riforma profonda delle istituzioni europee e l'iniziativa del Parlamento europeo.

D: 25 Paesi dell’Unione hanno appena stretto un accordo che sottrae ulteriore sovranità a ciascuno di essi e impone alle rispettive politiche economiche un indirizzo ben preciso, all’insegna del rigore fiscale e di un maggiore controllo sui bilanci nazionali. Che posizione ha assunto il Gruppo nei confronti del cosiddetto Fiscal compact?
R: Noi riscontriamo almeno due elementi negativi nell’accordo. Il primo è che esso trascura il problema dello sviluppo economico e si concentra unicamente sul rigore; l’espressione “fiscal compact” a questo proposito è ingannevole, perché il contenuto dell’accordo concerne esclusivamente la disciplina di bilancio nei singoli stati membri. In secondo luogo riscontriamo un pesante deficit democratico nella procedura che si sta seguendo: non c'è, si potrebbe dire, alcun rapporto fra la “disciplina di bilancio” e la “disciplina democratica”.

D: Come tu stesso hai ricordato, il nuovo presidente del consiglio italiano, Mario Monti, è tra i fondatori del Gruppo Spinelli. Pensi che nella sua azione politica si stia facendo interprete delle istanze federaliste del Gruppo?
R: Monti ha espresso l’opinione secondo cui prima è necessario sciogliere il nodo della disciplina di bilancio, e dopo si potrà passare a una fase ulteriore dell’integrazione. È in fondo la vecchia discussione fra federalisti e funzionalisti che risale alle origini stesse del progetto europeo, quella che opponeva spinelliani e monnettiani: i primi convinti che l'unione politica dovesse precedere l'unione economica e monetaria, i secondi invece persuasi che solo attraverso la messa in comune degli interessi più concreti si sarebbe potuti arrivare in seguito, gradualmente, all'unione politica. Jean Monnet pensava che una progressiva integrazione economica fra gli stati europei avrebbe messo in moto un ingranaggio lento ma inarrestabile, il cui funzionamento avrebbe automaticamente prodotto, in un futuro indefinito ma certo, la loro integrazione politica. Spinelli credeva invece che si dovesse procedere subito alla fondazione di un nucleo federale in Europa. L'opinione del Gruppo Spinelli – e la ragione per cui si è costituito – è che i fatti oggi danno ragione a Spinelli e danno torto a Monnet: sono passati più di sessant’anni da quando l’ingranaggio si è messo in moto e l’unione politica ancora non c’è, non è stata raggiunta. Al contrario, la mancanza di unità politica è precisamente ciò che sta mettendo in crisi l'unione economica. È quindi evidente che la strategia funzionalista, quella dei piccoli passi e delle riforme minimali, è una strategia che sta girando a vuoto.

D: Mi scuserai se insisto, ma l’intervista che Monti ha rilasciato al quotidiano tedesco Die Welt qualche settimana fa, nel corso della quale ha negato esplicitamente l’obiettivo federalista degli Stati Uniti d’Europa, non è parsa molto coerente con la sua appartenenza al Gruppo Spinelli, il cui manifesto si pone invece quel preciso obiettivo.
R: Bisogna considerare che Monti è essenzialmente un funzionalista, appartiene cioè a quella che potremmo chiamare la nobile tradizione monnettiana. L’obiettivo rimane lo stesso ma cambia il metodo per conseguirlo. Io penso che la sua dichiarazione avesse una valenza tattica rivolta alle reticenze dell'attuale governo tedesco. Probabilmente Monti crede ancora al metodo funzionalista, pensa che un avanzamento graduale verso l’unità politica dell’Europa sia il modo migliore per arrivarci; a me invece pare evidente che il metodo funzionalista ha sostanzialmente fallito: l’ingranaggio monnettiano si è inceppato, e adesso occorre una spinta spinelliana, un salto federale. L’integrazione politica non può essere più posticipata.

D: Un osservatore spassionato degli affari europei potrebbe avere l’impressione che il Parlamento Europeo non stia giocando un ruolo particolarmente significativo. Eppure in queste ore si stanno prendendo decisioni che peseranno parecchio sul futuro dell’Unione e dei suoi cittadini. È così? E se è così, perché?
R: È così, e la ragione è che il Parlamento europeo si è impegnato a contrastare il metodo intergovernativo ma non ha capito che la sua strategia non può consistere esclusivamente nel limitare i danni che esso provoca; come ti dicevo, deve rendersi conto che anche il metodo comunitario ha dei grossi limiti, e che ciò che occorre per superare la crisi è il metodo federale, che è un'evoluzione del metodo comunitario: la “terza via”, se vogliamo, che del resto i padri fondatori delle Comunità europee avevano ben presente. Non dobbiamo dimenticare che lo stesso Monnet suggerì chiaramente l'obiettivo federalista, come si può leggere nella Dichiarazione Schuman. Se il Parlamento europeo mantiene un profilo basso nelle sue rivendicazioni rischia solo di essere sconfitto dal metodo intergovernativo e di soccombere al proprio immobilismo, mentre esistono i margini per un’importante azione politica. Spinelli diceva che ogni parlamento ha almeno tre anime: gli immobilisti, gli innovatori e la “palude”, cioè quelli che non prendono partito e vivacchiano seguendo la lenta corrente. Questi tre schieramenti non coincidono con gli schieramenti politici tradizionali: in ciascuno di essi si trovano esponenti di tutti i partiti. Gli innovatori - in questo caso i federalisti - non devono temere di essere in minoranza: devono porsi l’obiettivo di conquistare la “palude”, perché è lì che si gioca la partita. È una battaglia politica, una lotta, e dev’essere combattuta. Spinelli nei primi anni Ottanta giocò questa carta nel Parlamento europeo e vinse. Non c’è ragione perché quello che lui riuscì a fare allora non possa ripetersi oggi.

D: Come si stanno muovendo i partiti politici nel Parlamento europeo?
R: Naturalmente non si può parlare di partiti veri e propri, che nel Parlamento Europeo sono assenti. Ci sono i gruppi parlamentari, che sono piuttosto diversificati. In ogni gruppo, per restare nella metafora di Spinelli, si trovano immobilisti, innovatori e “palude”. Quello che il Gruppo Spinelli si propone di fare è creare nel parlamento un consenso trasversale sulla linea federalista, qualcosa che vada oltre le semplici alleanze fra i gruppi: ciò che appunto fece Spinelli quando costituì l’intergruppo federalista noto come il “Club del coccodrillo”, che partì con nove eurodeputati e in quattro anni conquistò la maggioranza del parlamento sul progetto di riforma federale delle Comunità. Fu un grosso lavoro, un lavoro difficile, ma ebbe successo.

D: Il Gruppo Spinelli ha qualche idea su che cosa l’Europa potrebbe fare per lo sviluppo economico degli stati membri?
R: C’è in primo luogo la questione del bilancio federale, che oggi vive di contributi nazionali e che invece andrebbe fondato su risorse fiscali proprie; il bilancio dovrebbe servire per finanziare politiche di sviluppo, il che significa, in pratica, investimenti su scala europea nei settori più decisivi per la crescita sostenibile (ricerca, ambiente, energia ecc.). È quello che chiediamo quando proponiamo l'introduzione dei Project Bonds, che dovrebbero servire esattamente a questo. L’errore della Commissione è stato di non avere proposto un trasferimento di risorse (e di politiche) dalle nazioni all’Unione Europea. Non si tratta solo di un incremento netto del bilancio federale, ma anche di un utilizzo più razionale e più efficace delle stesse risorse che a livello nazionale vengono impiegate con risultati spesso insoddisfacenti e comunque non ottimali. Sto pensando alle economie di scala che si potrebbero conseguire in molti campi, ad esempio unificando la politica di difesa e parte della ricerca: i risparmi sarebbero enormi, e ciò libererebbe risorse per la crescita.

D: Quale sarà la prossima iniziativa del gruppo?
R: L’orizzonte temporale del Gruppo è quello delle elezioni per il Parlamento europeo nel 2014. Prima di allora intendiamo agire sia all’interno del Parlamento europeo che fuori di esso. Il nostro obiettivo è trasformare le elezioni europee in un dibattito su scala continentale, al posto dei soliti 27 piccoli dibattiti nazionali. In pratica questo significa, come minimo, promuovere tre riforme specifiche: 1) l'introduzione di liste transnazionali, secondo la proposta già avanzata da Andrew Duff; 2) la presentazione da parte dei raggruppamenti politici, prima delle elezioni, di un candidato alla presidenza della Commissione associato a un programma; 3) l'unificazione delle cariche di Presidente del Consiglio europeo e Presidente della Commissione, in modo da avere un vero e proprio Presidente dell'Unione Europea. Ma ciò che soprattutto intendiamo promuovere è una riforma del Trattato di Lisbona mediante la convocazione di una Convenzione costituente, nella quale però si decida a maggioranza e non all'unanimità, come avvenne invece nel 2001 con la Convenzione di Laeken che avrebbe dovuto portare a una costituzione europea e che lavorò sulla base del principio del consenso. È questa la vera priorità. E nel frattempo, mentre nel Parlamento europeo comincia a prendere corpo questo progetto, il Consiglio e la Commissione stanno negoziando sul prossimo bilancio comunitario (l'altra grande questione) e si profila già per il giugno di quest'anno un accordo al ribasso. Si sta parlando di ridurre addirittura il bilancio; e su questo punto cruciale non si conosce ancora la posizione del nuovo governo italiano.

D: Tu hai conosciuto da vicino Altiero Spinelli. Che cosa immagini che direbbe oggi dell’Unione Europea e dei suoi leader, se fosse ancora tra noi e si guardasse intorno?
R: Probabilmente direbbe che la storia gli sta dando ragione: che l’Europa politica deve venire prima di quella economica.

D: Permettimi di chiudere con una domanda più personale. Come vedi il futuro dell’Unione Europea? Sei pessimista o ottimista?
R: E tu permettimi di rispondere con un’altra immagine spinelliana. Quando chiesero a Spinelli, allora deputato al Parlamento europeo, se pensava che nel parlamento avrebbero vinto gli innovatori oppure gli immobilisti, lui rispose che all’ippodromo ci vanno gli spettatori e i fantini, i primi per scommettere e i secondi per correre e possibilmente per vincere: lui nel Parlamento europeo ci stava per correre, non per scommettere. Ecco, per quanto mi riguarda vorrei dire lo stesso, e credo che possa valere anche per gli altri membri del Gruppo Spinelli: siamo qui per correre, non per scommettere. Questo momento di crisi sta aprendo anche delle opportunità concrete e preziose che andrebbero assolutamente colte. È una battaglia che va combattuta, e noi intendiamo farlo.

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