Dall'Italia europea di Monti all'Italia levantina di Berlusconi?

Il ritorno del Cavaliere

Il ritorno del Cavaliere è un fatto europeo, non solo italiano. Solo in un quadro di disgregazione dell'euro e di anarchia europea è pensabile un suo successo in Italia. Il rilancio della federazione europea è la condizione della sua sconfitta.
13 luglio 2012
Antonio Longo (Direzione Nazionale MFE - Direttore Circolo "Altiero Spinelli" - Milano)

Il ritorno del Cavaliere è un fatto europeo, non solo italiano. Le sue dichiarazioni sull’uscita dall’euro non sono casuali, l’uomo non parla mai a caso. Servono a preparare il suo “ ritorno in campo” e, nello stesso tempo, costituiscono lo scenario di fondo della sua campagna elettorale nella prossima primavera.

Molti commentatori sono rimasti sorpresi, stupiti del fatto che in Italia una simile candidatura possa risultare ancora credibile agli occhi dell’elettorato, dopo le prove di incapacità di governare e di caduta di stile che i suoi governi hanno rappresentato. Anche in Europa e in America ci si interroga preoccupati per ciò che potrà accadere in Italia con le prossime elezioni politiche: tutto il faticosissimo lavoro di recupero di credibilità e di risanamento del Paese possono andare in fumo. Un’Italia in preda alla demagogia e al populismo assesterebbe il colpo definitivo all’euro. Non è un caso che il giorno dopo l’annuncio del ritorno in campo di Berlusconi l’agenzia di rating Moody’s abbia declassato i titoli italiani da A3 a Baa2. E ciò che più colpisce delle argomentazioni è il peso dato alla crescente “vulnerabilità” del sistema-Italia in un contesto europeo dove il rischio di contagio è altissimo, a causa della situazione greca e spagnola. In altri termini: la debolezza dell’Italia è rappresentata dalla mancanza di una rete di sicurezza europea per tutta l’eurozona.

Ed è appunto nel quadro di una continua e crescente debolezza della UE, ed in particolare dell’eurozona, che diventa pericoloso il ritorno di Berlusconi in campagna elettorale. Il nostro personaggio ha capito che in un’Europa debole ed alla deriva gli si aprono spazi politici nuovi in Italia.

Quando Berlusconi cadde, nel novembre 2011, l’Italia si avviò con il governo Monti sulla strada di un Paese ‘europeo’, con la volontà di risanare le proprie finanze e di ritornare a svolgere un ruolo positivo in Europa. In mezzo a mille difficoltà Monti ha portato avanti, anche con successo, questa linea: mostrare all’Europa che l’Italia poteva tornare ad essere un Paese credibile e, grazie a questo, imprimere alla stessa Unione una ripresa della costruzione europea, quale condizione per garantire nel tempo una tenuta politica, economica e sociale dello stesso Paese. Un gioco di sponda continuo tra un’Italia che doveva diventare ‘europea’ ed un’Europa che doveva rafforzare le sue strutture economiche e politiche: era questa la condizione del successo dell’operazione-Monti.

L’Italia “sta facendo i compiti”, per usare l’espressione della signora Merkel, in tempi assai rapidi. E’ l’Europa che non li sta facendo con la stessa incisività e rapidità. Perché non intende ancora affrontare il principale problema che ha di fronte, quello che determina la crisi finanziaria, economica e sociale che sta strangolando i Paesi mediterranei: la crisi del debito (ex-sovrano). Senza una garanzia collettiva e solidale dei Paesi dell’eurozona non potrà esserci alcuna soluzione al debito pubblico dei Paesi ‘a rischio’, non più credibili agli occhi dei mercati e quindi oggetto di continui attacchi speculativi.

E’ la mancata soluzione di questo problema che sta rendendo difficoltoso (se non impossibile) il rientro finanziario di Spagna e Italia. Gli spread di questi Paesi sono costantemente alti non solo perché incorporano il rischio-Paese (un debito pubblico elevato), ma soprattutto perché, da diversi mesi, incorporano anche un rischio-sistemico, cioè il rischio di un’Eurozona che si sta divaricando tra Paesi del Nord e paesi del Sud. Se gli investitori sono disposti a percepire interessi negativi su un bund tedesco o un OAT francese è perché percepiscono che l’Eurozona non è più, dal punto di vista degli investimenti, un’area unitaria (come fino a qualche anno fa), bensì un’area frammentata, perché manca la volontà politica di garantire ‘in solido’ i debiti pubblici nazionali.

Dunque, è in questo quadro di grande difficoltà di tenuta dell’Eurozona, che va inserito e valutato il ‘ritorno in campo’ del Cavaliere, che può avere successo in Italia solo in un quadro di disgregazione dell’Eurozona, quindi di totale anarchia europea (un quadro che gli europei hanno ben conosciuto negli anni ’20-30 del secolo scorso). Lo stesso annuncio ha già avuto l’effetto politico di rendere meno credibile il Paese, aumentare il rischio-Paese e, di conseguenza, anche il rischio-sistemico per l’Eurozona. Di questo passo l’Eurozona potrebbe essere spinta, nei fatti, verso le ‘due velocità’ (e chi oggi parla di Europa a due velocità non tiene conto che questa si sta verificando non a livello dell’Unione, ma finanziariamente, economicamente e socialmente a livello dell’Eurozona).

L’unico modo per rispondere seriamente alla sfida di Berlusconi è quello di rilanciare il processo di unificazione federale dell’Europa, a partire da un’accelerazione sul tema dell’Unione fiscale, con la decisione politica di implementare una prima forma (anche parziale) di garanzia europea sui debiti nazionali. In tal modo i mercati comprenderebbero che l’Eurozona è anche un’area di solidarietà politica reale, un’area ‘a rischio comune’: gli spread scenderebbero rapidamente ed i Paesi potrebbero cominciare a pianificare un rientro dal debito, senza dover accantonare riserve sempre crescenti per pagare interessi per spread elevati, un vero e proprio ‘pizzo’ alla stupidità della divisione politica dell’Europa.

Ed è chiaro allora che in un quadro di costruzione federale dell’Europa non ci sarebbe spazio politico per demagoghi ed avventurieri e, molto probabilmente, il Cavaliere potrebbe, a quel punto, decidere di passare in villa gli ultimi anni della sua vita.

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