Perché gli Stati Uniti d'Europa
Dopo il Trattato di Lisbona del 2007 erano in parecchi a voler ibernare il processo di integrazione europea per svariati anni, forse pure per almeno una generazione. Ci hanno pensato la crisi finanziaria, quella dell’euro e quella dei debiti sovrani poco dopo a fugare tale pia illusione, mostrando tutta l’incompiutezza e tutta l’inadeguatezza della costruzione europea quale si è realizzata sinora. Da allora si moltiplicano in Europa, specialmente nei paesi dell’Eurozona, i richiami a un’“unione bancaria”, “unione fiscale”, “unione politica”; il cosiddetto Fiscal Compact è entrato in vigore nella quasi totalità dei paesi dell’Unione Europea. Certo, ci dicono, è la situazione di emergenza a dettare questi provvedimenti. Sono necessari, ci piacciano o no. Non ci viene chiesto di discuterli, di meditarli, neanche in fondo di condividerli, tanto meno di immaginare il nostro futuro costituito da essi. Possiamo, semmai, solo temere la catastrofe nel caso non vengano intrapresi.
A questo caotico e ingiusto stato di cose noi contrapponiamo gli Stati Uniti d’Europa. Di per sé non è un’idea nuova: fu lanciata per la prima volta al tempo delle rivoluzioni del 1848. Però è stata ripetutamente riproposta quando si voleva dare un futuro di pace e di democrazia alla storia tormentata di questo continente, specie quando i tragici eventi della prima metà del Novecento hanno reso chiaro che la sovranità assoluta dello stato nazionale crea di per sé rivalità, tensioni, conflitti, gerarchie tra i vari Paesi, l’oppressione dei diversi, l’esautoramento delle conquiste democratiche. È stata rilanciata da Ventotene a Ginevra, dai luoghi dell’esilio antifascista a quelli della Resistenza europea. Non è stata propriamente realizzata con l’avvio dell’integrazione europea, ma il fatto che pochi anni dopo la seconda guerra mondiale paesi ex nemici abbiano accettato di cedere la propria sovranità in materia di carbone e di acciaio e di intrecciare insieme il loro destino e i loro interessi nazionali rappresenta comunque un momento straordinario. Se il progetto europeo appare ora alquanto ammaccato non è certo per quel primo grandioso passo, ma perché è mancata la volontà di costruire una comunità civile e politica inclusiva e democratica al di là dello stato nazionale. Noi vogliamo riappropriarci di quell’idea, di quel momento, di quel progetto.
Stati Uniti d’Europa significa una comunità di uguali, come era quella di oltre sessant’anni fa, quando le memorie della guerra erano ancora vivide e le colpe erano ben altre che il debito. Significa una comunità principalmente di persone, come intendeva Jean Monnet quando diceva nel 1952 “Noi non coalizziamo gli Stati, noi uniamo gli uomini”. E significa ancora una rivoluzione, questa volta non solo nelle relazioni internazionali, come auspicava sempre Jean Monnet, ma nella stessa democrazia. Finora la democrazia è stata concepita e praticata solo a livello nazionale. Ha passato gravi periodi di crisi e di eclissi per tutto il Novecento; la sfida più recente è che le questioni di portata europea vengono affrontate prevalentemente dalle classi dirigenti nazionali, risultando in fratture e gerarchie di potere tra i Paesi europei e in rigurgiti di esclusione al loro interno che indeboliscono la qualità della democrazia. Invece, problemi europei richiedono un governo europeo, e un governo europeo non può che essere democratico, nel senso di una democrazia come viene richiesta al giorno d’oggi (con la massima partecipazione consapevole dei cittadini e senza tecnocrazie e paternalismi più o meno autoritari). Bisogna fare un salto di qualità creando una sfera pubblica, istituzioni e media europei. Non lo si farà con questa UE. Né basta dire “più Europa”. Occorre invece lottare e lavorare per gli Stati Uniti d’Europa.
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