Perché il Mediterraneo non divenga il cimitero dell’Europa

12 febbraio 2015
Davide Rigallo e Alfonso Sabatino

Lampedusa Porta d'Europa

Il Sindaco Giusi Nicolini ha affermato che Lampedusa non può diventare il cimitero del Mediterraneo. E nessuno vuole che il Mediterraneo, culla di civiltà millenarie, sia segnato in continuazione da tragedie umane: lunedì 9 febbraio sono morte 330 persone che si aggiungo al bilancio agghiacciante di altre tragedie che l’hanno preceduta.

Come di solito si rimbalzano le responsabilità, si invocano interventi delle autorità europee e nazionali per soccorsi in mare più efficaci. Interventi certamente necessari e opportuni che non vengono però alla radice del problema.

Intervenire in mare significa intervenire solo sull’ultimo tratto del percorso tragico che porta migliaia di persone a fuggire dalla fame, dalle carestie, dalle guerre, da dittature spietate e movimenti terroristici. Subito dietro le spiagge meridionali e orientali del Mediterraneo ci sono i conflitti interni della Siria e dell’Iraq, i macabri tagliagole dell’Isis, la fine di comunità storiche multietniche e multi religiose, per secoli espressione di civile convivenza tra professioni religiose islamiche, cristiane ed ebraiche, c’è la questione palestinese, ci sono il disordine del Corno d’Africa, la destabilizzazione della Libia e del Sahel, il terrorismo che devasta la Nigeria. Stati falliti e sistemi sociali allo sbando. C’è anche una pressione demografica colossale che preme sulle sponde del Mediterraneo a fronte della caduta del tasso di natalità europeo. Entro pochi decenni Africa e Medio Oriente potrebbero esprimere una popolazione quattro-cinque volte quella europea.

L’Italia non è il solo paese di approdo di un enorme flusso umano che cerca asilo e accoglienza, pace, sicurezza, benessere, sopravvivenza, un futuro. Anche Grecia, Malta, Spagna sono sottoposte alle stesse pressioni migratorie. Ma soprattutto ci sono “cammini della speranza” gestiti dalla criminalità internazionale che portano sulle rive del Mediterraneo questa umanità dolente e disperata. Gruppi criminali, collusi con le forze di controllo locali, che percepiscono somme elevate per trasportare poveri esseri in fuga sulle rive del Mare Nostrum, che li raccolgono poi in vere e proprie carceri, soprattutto in Libia, prima di offrire loro precarie condizioni di attraversamento del mare su imbarcazioni fatiscenti oppure su traghetti di linea grazie ad autotrasportatori compiacenti, pronti a nasconderli tra la merce caricata, come rivelato dalla recente tragedia del traghetto Norman Atlantic. E ci sono connivenze e organizzazioni criminali che favoriscono i trasferimenti di immigrati attraverso l’Europa verso le destinazioni più attraenti per prospettive occupazionali o di asilo.

Siamo di fronte a una tragedia umanitaria che stride con le Convenzioni internazionali sulla tutela dei diritti umani, firmate dai nostri Stati. Che stride con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Siamo di fronte a un vero e proprio traffico di esseri umani, uomini, donne, minorenni, di fronte al quale non è possibile volgere lo sguardo altrove o invocare soluzioni parziali. Non sono possibili soluzioni nazionali data la natura del fenomeno. Non basta organizzare efficaci salvataggi in mare. Vanno invocati interventi e responsabilità nazionali, europei, dei paesi di provenienza e mondiali.

Come intervenire? Ci sono cose che si possono fare subito e altre che richiedono tempo.

Certamente può essere riformata l’operazione europea “Triton” per farla aderire agli standard risultati più efficaci dell’operazione “Mare Nostrum”, già condotta dall’Italia. Ma non basta perché occorre intervenire a monte del fenomeno in Africa e in Medio Oriente, alle radici della crisi con una molteplicità di iniziative e strumenti tutti da costruire. I passi necessari possono essere elencati a fini di orientamento (o per un sogno ad occhi aperti):

1.       Introdurre il voto a maggioranza nelle decisioni relative alla politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea e ricondurre tale politica nelle competenze proprie della Commissione e del Parlamento europeo. Non sfugge a nessuno che occorre passare attraverso una riforma dei trattati, ma non si può ignorare la sfida e si può già intervenire con le competenze comunitarie disponibili (artt. 77-80 e artt.208-214 del TFUE). Il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker si è impegnato per una politica di tutela dei diritti, di immigrazione inclusiva e di contrasto dei traffici illegali. Sollecitiamo un suo intervento.

2.       Creare, con urgenza, un’Agenzia europea per il soccorso dei migranti che rischiano di morire negli attraversamenti in mare, alternativa o complementare a Frontex, come suggerito dal Consiglio Italiano per i Rifugiati

 (http://www.cir-onlus.org/index.php?option=com_content&view=article&id=1593:cir-frontex-inadeguato-necessario-cambiare-l-europa-e-responsabile-delle-morti-in-mare&catid=45&Itemid=143&lang=it)

3.       Risolvere il problema della gestione delle frontiere esterne dell’UE, costituendo un corpo europeo di polizia di frontiera fondato su regole comuni e unitarie, rispettose degli articoli della Carta dei diritti dell’UE, che possa essere  integrato da forze civili per l’assistenza umanitaria.

4.       Progettare piani di pace e di assistenza allo sviluppo per il Medio Oriente e l’Africa. La normalizzazione politica (fine dei conflitti, garanzie costituzionali) e la stabilizzazione economica (cooperazione allo sviluppo) permetterebbero di porre sotto controllo i flussi migratori e offrirebbero, tra l’altro una grande leva di crescita per l’Europa con la partecipazione a progetti educativi, infrastrutturali, energetici, agroalimentari e industriali concordati con le autorità locali. Non deve essere esclusa la possibilità che le persone possano trasferirsi nelle due direzioni (libertà di movimento e di residenza) grazie ad appropriate politiche di rilascio dei visti.

5.       Concordare tale piano con le autorità dei paesi arabi e africani disponibili, possibilmente attraverso una concertazione internazionale dell’UE con la Lega Araba e l’Unione Africana sui temi della sicurezza reciproca. Il modello è fornito dal processo di Helsinki che ha portato alla creazione dell’OSCE, organismo comunque da rafforzare. E’ chiaro che nel rapporto con la Lega Araba occorre coinvolgere Israele offrendole garanzie credibili per la sua sicurezza, di protezione e di cooperazione per le intese con i paesi arabi. Un discorso analogo va fatto con l’Unione Africana che già possiede un minimo di organizzazione ed è impegnata in operazioni di peace keeping sul proprio continente. Entrambe le iniziative dovrebbero trovare la legittimazione dell’ONU per favorire non solo la cooperazione bilaterale economica ma anche quella per la sicurezza, il contrasto della criminalità organizzata e della corruzione (oltre al traffico di esseri umani, c’è anche quello della droga, dello sfruttamento della prostituzione, degli organi umani, dei capitali illeciti e delle armi).

Può essere un sogno ad occhi aperti, ma queste indicazioni provvisorie rispondono a una sfida reale in corso. L’alternativa è che il Mediterraneo divenga il cimitero dell’Europa.

Torino, 12 febbraio 2015

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