L’Italia al bivio tra federalismo e nazionalismo

Il tema Europa nei programmi elettorali
1 marzo 2018

Il voto del 4 marzo ha una importanza che travalica i confini italiani. Votiamo per il Parlamento italiano ma con un occhio all’Europa. Sappiamo benissimo che dopo le elezioni francesi, che hanno visto la vittoria di Macron contro la Le Pen giocata tutta sulla scommessa europea, e dopo le elezioni in Germania, con la proposta di una Grosse Koalition con un programma che ha al primo punto l’Europa, ora tocca all’Italia, uno dei paesi fondatori della Comunità Europea, affermare o meno la volontà partecipare a pieno titolo al rilancio di un’Europa federale con un governo democratico controllato dal Parlamento che sia in grado di governare la globalizzazione e non subirne le conseguenze.  

Queste elezioni hanno alcune caratteristiche peculiari: non abbiamo assistito a dibattiti incrociati tra i leader delle varie forze politiche; gli spazi dei cartelloni elettorali presentano ampie aree vuote; ed infine l’Europa non è entrata nel dibattito in modo netto come in Francia ma resta un discrimine per l’azione politica anche se non per tutti.

La rete dei movimenti federalisti ha cercato di rompere il silenzio sul tema Europa: il MFE ha chiesto un impegno sul fronte europeo per sostenere le riforme istituzionali e politiche per rendere l’Europa sovrana, democratica e federale al quale hanno aderito 120 candidati (www.mfe.it). Il CIME ha diffuso un patto per un’Europa unita, democratica e solidale sottoscritto da un centinaio di candidati (www.movimentoeuropeo.it). Mentre da Genova è partito un appello “Soprattutto Europa”, promosso da personalità ed esponenti della società di differenti orientamenti politici per “invitare gli elettori a votare per chi assicuri, senza troppi “se” e senza troppi “ma”, il maggior impegno e coerenza per una riforma e il rafforzamento dell'Unione Europea”. In poche ore sono state raccolte 500 firme sul sito www.soprattuttoeuropa.eu.

La maggior parte delle forze politiche critica l’UE, molte volte giustamente, e per questo motivo non possono essere tacciate di antieuropeismo. Infatti l’attuale assetto istituzionale europeo e le politiche avanzate a livello europeo, decise in modo intergovernativo, sono in parte la causa principale dei molti problemi irrisolti. 

Infografica sulle elezioni italiane del 4 marzo 2018

Se da una parte l’Europa è la causa dei suoi mali allo stesso tempo è anche la possibile soluzione ai problemi che i cittadini italiani vorrebbero veder risolti. In un sondaggio di Demopolis a tre settimane dal voto risulta che i cittadini italiani vorrebbero che l’UE si impegnasse con maggior incisività per "investimenti per la creazione di posti di lavoro, la gestione dei flussi migratori e la riduzione delle disuguaglianze sociale". Nello stesso sondaggio viene evidenziato che la maggioranza degli italiani si definisce in massima parte eurocritica: "un quarto dei cittadini italiani – infatti - si dichiara antieuropeista, l'11% europeista convinto e il 64%, la stragrande maggioranza, è favorevole di principio all'Europa anche se è critico sulle recenti politiche europee e vuole un deciso cambio di rotta".

La vera divisione tra le forze politiche, infatti, non risiede sulle critiche all’UE ma sulle proposte per risolvere i problemi che preoccupano i cittadini. 

Da una parte troviamo le forze che vogliono recuperare la sovranità nazionale e quindi ritornare a un modello di Europa divisa in Stati nazione sovrani; dall’altra quelle che vogliono costruire una sovranità sovranazionale condivisa e, quindi, puntano a una federazione europea.   

Queste ultime sono quelle che nel Manifesto di Ventotene vengono indicate come forze progressiste in contrapposizione a quelle reazionarie.

Per uscire da questa situazione in cui l’UE risulta inefficace e inconcludente e per far sì che tutte le anime del popolo europeo possano risultare vincenti occorre una visione del futuro che non guardi al passato, ovvero alle frontiere nazionali, né a mettere l’una contro l’altra le fasce più deboli della popolazione intra-extra-europea. Occorre invece una visione di lungo periodo che sappia tener conto delle sfide globali senza far leva sulle paure dei cittadini e apra una prospettiva di gestione condivisa dei beni pubblici sovranazionali tra i vari livelli istituzionali (dal locale al globale) basata su una cittadinanza federale multidimensionale che non prevarichi i sentimenti di appartenenza locali ma valorizzi le differenze.

In questo articolo analizzerò le proposte avanzate dalle principali forze politiche, che si presentano alle politiche del 4 marzo, con una lettura mirata esclusivamente al tema europeo lasciando ad altre analisi più approfondite la dissertazione sui restanti argomenti. Come sappiamo il 70% della legislazione nazionale è di derivazione europea e, quindi, se un partito nazionale vuole incidere sui problemi che attanagliano i cittadini deve fare proposte a livello europeo altrimenti rischia di non essere una forza credibile per il cambiamento necessario a costruire una Italia europea e, allo stesso tempo, un’Europa italiana che guardi al Mediterraneo, crocevia di tre continenti, come luogo di incontro e di sviluppo piuttosto che un cimitero di morti e tragedie.

L’analisi si basa sui documenti presentati dalle forze politiche al momento della pubblicazione delle liste di candidati e sono tutti scaricabili dal sito del Ministero degli interni che merita il nostro plauso per il lavoro di trasparenza (http://dait.interno.gov.it/elezioni/trasparenza). Non vengono prese in considerazione affermazioni verbali, promesse o patti elettorali che lasciano, come ben sappiamo, il tempo che trovano.

In base alle proposte illustrate nei documenti presentati al Ministero degli interni farò una suddivisione delle forze politiche in due grandi contenitori: “nazionalisti” ed “eurofederalisti”

A questi due gruppi ho dovuto aggiungerne un terzo in modo da completare la rappresentazione del panorama politico italiano in vista del 4 marzo. Gruppo che possiamo definire dei “non allineati” e che include quelle forze che non si sono espresse con chiarezza, o hanno evidenziato ambiguità, sul tema europeo lasciando il cittadino nel dubbio su come verrà usato il suo voto dopo il 4 marzo. Nella seguente tabella trovate uno schema riassuntivo della suddivisione delle forze politiche in base alle proposte presenti nei rispettivi programmi sul tema Europa. 

Eurofederalisti

Non allineati

Nazionalisti

+Europa

Movimento 5 Stelle

Forza Italia

Insieme

Potere al Popolo

Noi con l’Italia

Partito Democratico

 

Lega – Fratelli d’Italia

Liberi e Uguali

Forza Nuova - Casapound

Civica Popolare

Partito Comunista

Al terzo gruppo dei “non allineati” appartengono anche le forze politiche che non si sono espresse sul tema europeo. Tra queste abbiamo il Movimento 5 Stelle. Il M5S ha presentato un programma molto breve suddiviso in venti punti di cui nessuno riguarda direttamente e specificatamente l’Europa. Al momento del voto non è possibile capire cosa farà il M5S sul tema europeo una volta che dovesse diventare la forza di governo. Una forza che si candida a governare un paese come l’Italia, uno dei paesi fondatori dell’UE, non può non indicare nel suo programma qual’è la sua idea di Europa qualunque essa sia. Non è possibile dover ascoltare un rappresentante di spicco di tale movimento affermare, in un programma di prima serata e di massimo ascolto, di non sapere come voterebbe nel caso di un referendum sull’Euro. Per questo motivo ritengo che la posizione del M5S sia ancora più pericolosa di quella di una forza che si dichiara, in modo trasparente e netto, per il ritorno alla sovranità nazionale in quanto non è dato sapere se un voto espresso ai cinquestelle andrà a rafforzare la linea nazionalista o quella federalista.

Nel gruppo dei “non allineati” va inserito anche Potere al popolo il cui programma lascia qualche dubbio sulla collocazione della nuova formazione politica. Non propone un’Europa federalista ma neanche immagina una soluzione nazionalista. Attacca e critica l’Unione europea ma non predica il ritorno all’Europa degli stati nazionali. Il punto più ambiguo è il passaggio sulla rottura dell’UE dei trattati. Cosa vuol dire in pratica non viene spiegato.

Ecco il passaggio che riguarda l’Europa: “Negli ultimi 25 anni e oltre, l’Unione Europea è diventata sempre più protagonista delle nostre vite. Da Maastricht a Schengen, dal processo di Bologna al trattato di Lisbona, fino al Fiscal Compact, le peggiori politiche antipopolari vengono giustificate in nome del rispetto dei trattati. I ricchi, i padroni delle grandi multinazionali, delle grandi industrie, delle banche, le classi dominanti del continente approfittano di questo ”nuovo” strumento di governo che, unito al “vecchio” stato nazionale, impoverisce e opprime sempre più chi lavora. L’Unione Europea è uno strumento delle classi dominanti che favorisce l’applicazione delle famigerate e impopolari “riforme strutturali” senza nessuna verifica democratica. Il “sogno europeo” dei tanti che hanno creduto nella possibilità di costruire uno spazio di pace e progresso si è scontrato con la dura realtà di un’istituzione al servizio degli interessi di pochi. Noi ci sentiamo naturalmente vicini ai tanti popoli che vivono nel nostro stesso continente, con i quali la nostra storia si è intrecciata e si intreccia tuttora e che soffrono come noi a causa di decenni di politiche neoliberiste; insieme a tutti costoro vogliamo ricostruire il protagonismo delle classi popolari nello spazio europeo.” E tra le proposte di lotta troviamo: 
- rompere l’Unione Europea dei trattati;
- costruire un’altra Europa fondata sulla solidarietà tra lavoratrici e lavoratori, sui diritti sociali, che promuova pace e politiche condivise con i popoli della sponda sud del Mediterraneo;
- rifiutare l’ossessione della “governabilità”, lo svuotamento di potere del Parlamento, il rafforzamento degli esecutivi, l’imposizione di decisioni dall’alto perché “ce lo chiede l’Europa”;
- il diritto dei popoli ad essere chiamati ad esprimersi su tutte le decisioni prese sulle loro teste a qualunque livello– comunale, regionale, statale, europeo – pregresse o future, con il ricorso al referendum.”

Ora passo ad analizzare i programmi dei partiti che appartengono al gruppo delle forze nazionaliste.

Partiamo dal programma del centro destra presentato in maniera congiunta da Forza ItaliaFratelli d’ItaliaLega e Noi con l’Italia. Esso afferma chiaramente che vuole meno vincoli dall’Europa, che prima deve venire l’interesse degli italiani e che la nostra Costituzione deve prevalere sul diritto comunitario. Per dirla in parole semplici ci vuole “meno Europa” l’esatto contrario degli obiettivi di +Europa.

Un paragrafo viene dedicato all’Europa e si intitola in modo perentorio: “Meno vincoli sull’Europa”. Tra le proposte troviamo: 
- No alle politiche di austerità
- No alle regolamentazioni eccessive che ostacolano lo sviluppo
- Revisione dei trattati europei
- Più politica, meno burocrazia in Europa
- Riduzione del surplus dei versamenti annuali italiani al bilancio UE
- Prevalenza della nostra Costituzione sul diritto comunitario, sul modello tedesco* (recupero di sovranità)
- Tutela in ogni sede degli interessi italiani a partire dalla sicurezza del risparmio e della tutela del Made in Italy, con particolare riguardo alle tipicità delle produzioni agricole e dell’agroalimentare

Più a destra troviamo Casapound nel cui programma si afferma di voler “Abbandonare il vecchio Euro per una nuova moneta sovrana italiana funzionale alla nostra economia ed ai nostri interessi nazionali.” Inoltre propone l’”Uscita dell’Italia dall’Unione europea e dai suoi folli vincoli che soffocano la nostra libertà.”

Sempre a destra troviamo Forza Nuova che ha un capitolo intitolato “Sovranità nazionale – italexit” in cui si dichiara che: “Un popolo non può essere libero se non ha sovranità. Non accettiamo che il nostro destino sia deciso da organismi burocratici non eletti e da banche internazionali che sfruttano i popoli.  Noi esigiamo il ripudio di tutti i debiti da usura verso le banche centrali, la creazione di una Moneta di Popolo, dichiarata proprietà dei cittadini che non viene prestata e quindi non crea debito o inflazione e la nazionalizzazione della Banca d’Italia. Noi esigiamo il ritorno in mani italiane di aziende storiche svendute a stranieri, una politica contraria alle delocalizzazioni e che favorisca anche il ritorno in Italia delle aziende già delocalizzate. Noi auspichiamo un rilancio dell’IRI che possa ridare slancio a tutta l’economia italiana. Il nostro popolo deve essere padrone della sua moneta, della sua casa, della sua sicurezza e delle sue strade o non sarà mai libero. Noi esigiamo l’uscita da UE, EURO e NATO e l’affermazione di una politica di amicizia e collaborazione con la Russia.”

Dall’estrema destra passiamo all’estrema sinistra dove troviamo proposte simili, come l’uscita da UE e da Euro, da parte del Partito comunista.

Ecco la lunga parte di programma riguardante l’Europa: "Il programma del Partito Comunista è un programma rivoluzionario, non è realizzabile attraverso la partecipazione a governi borghesi e coalizioni con forze politiche di sinistra e/o centrosinistra. E’ incompatibile con la permanenza dell’Italia nell’Unione Europea e nella Nato​, che sono strumenti nelle mani del grande capitale finanziario per schiacciare i diritti dei lavoratori e appropriarsi della ricchezza da loro prodotta. Non esistono terze vie. O il governo del capitale e dei padroni, o il potere nelle mani dei lavoratori!
La realizzazione del programma del Partito Comunista di trasformazione sociale dell’Italia, che mette al centro dello sviluppo gli interessi e i diritti dei lavoratori e delle classi popolari, è incompatibile con il sistema capitalistico, con l’attuale assetto dello stato italiano, con la sua permanenza all’interno dell’Unione Europea, dell’euro, della Nato e di ogni altra alleanza imperialista​. E’ incompatibile con un sistema di economia di mercato basato sul potere dei grandi monopoli e del capitale finanziario, sulla rapina quotidiana che si consuma a danno delle classi popolari sotto la parola d’ordine del pagamento del debito pubblico​, che non può che essere unilateralmente cancellato.
La realizzazione di un programma di trasformazione sociale sarebbe vanificata o resa del tutto impossibile da vincoli, legislazioni, istituzioni, proprietà privata di aziende e banche, che rappresentando argini e difesa del sistema capitalistico che vogliamo abbattere. E’ necessario in particolare l'esproprio senza indennizzo e la nazionalizzazione di banche, assicurazioni e grandi imprese​, la cancellazione unilaterale del debito pubblico, l’uscita dell’Italia dall'Unione Europea, dall’euro e dalla Nato, con una parallela trasformazione delle istituzioni e delle leggi italiane.

a) l’Uscita dell’Italia dall’ Unione Europea 
Il PCI fu l’unico partito ad opporsi all’ingresso dell’Italia nel Mercato Comune Europeo. I comunisti, nel 1957 al momento del voto in Parlamento, definirono questa istituzione “strumento del capitale monopolistico europeo” ammonendo sulle gravi conseguenze economiche e sociali, che l’ingresso nel MEC avrebbe causato per i lavoratori, a causa della pressione delle grandi società monopolistiche e della libera circolazione di merci, capitali, servizi e persone, che sarebbe divenuta strumento nelle mani della finanza per mettere in competizione i lavoratori, abbattendo diritti e salari. Siamo passati dalla CECA al MEC, quindi alla CEE, ora all’Unione Europea e il carattere antipopolare delle politiche europee è sotto gli occhi di tutti e continua ad inasprirsi. L’UE è veicolo delle politiche di attacco ai diritti dei lavoratori e delle classi popolari, delle massicce privatizzazioni, dei tagli ai servizi sociali, dello schiacciamento della piccola produzione a favore delle multinazionali. Ha ingabbiato anche le parti più progressiste della Costituzione Italiana nei vincoli imposti dai trattati europei a tutto vantaggio del grande capitale bancario e industriale. I comunisti sono contro l’Unione Europea. L’accettazione della UE da parte della sinistra borghese coincide con il suo processo di trasformazione in forza di sistema e con il tradimento degli interessi dei lavoratori. L’Unione Europea non è riformabile in senso favorevole agli interessi popolari. Pensare di trasformare l’UE dall’Europa dei capitali e dei trattati all’Europa dei popoli è pura illusione, come è illusorio pensare di realizzare qualsiasi cambiamento radicale nel proprio Paese permanendo all’interno dei vincoli imposti da Bruxelles. Il caso della Grecia lo dimostra chiaramente. Per questo il Partito Comunista lotta per: - l’uscita dell’Italia dall’Unione Europea, la denuncia dei trattati e delle leggi sul mercato comune, sulla difesa militare comune, sulla moneta comune, l’abrogazione delle direttive e dei regolamenti sulle privatizzazioni dei servizi sociali e del patrimonio pubblico, sull’istruzione e sul lavoro che non siano compatibili con gli interessi dei lavoratori e delle classi popolari;
a) l’Uscita dell’Italia dall’ Unione Europea Il PCI fu l’unico partito ad opporsi all’ingresso dell’Italia nel Mercato Comune Europeo. I comunisti, nel 1957 al momento del voto in Parlamento, definirono questa istituzione “strumento del capitale monopolistico europeo” ammonendo sulle gravi conseguenze economiche e sociali, che l’ingresso nel MEC avrebbe causato per i lavoratori, a causa della pressione delle grandi società monopolistiche e della libera circolazione di merci, capitali, servizi e persone, che sarebbe divenuta strumento nelle mani della finanza per mettere in competizione i lavoratori, abbattendo diritti e salari. Siamo passati dalla CECA al MEC, quindi alla CEE, ora all’Unione Europea e il carattere antipopolare delle politiche europee è sotto gli occhi di tutti e continua ad inasprirsi. L’UE è veicolo delle politiche di attacco ai diritti dei lavoratori e delle classi popolari, delle massicce privatizzazioni, dei tagli ai servizi sociali, dello schiacciamento della piccola produzione a favore delle multinazionali. Ha ingabbiato anche le parti più progressiste della Costituzione Italiana nei vincoli imposti dai trattati europei a tutto vantaggio del grande capitale bancario e industriale. I comunisti sono contro l’Unione Europea. L’accettazione della UE da parte della sinistra borghese coincide con il suo processo di trasformazione in forza di sistema e con il tradimento degli interessi dei lavoratori. L’Unione Europea non è riformabile in senso favorevole agli interessi popolari. Pensare di trasformare l’UE dall’Europa dei capitali e dei trattati all’Europa dei popoli è pura illusione, come è illusorio pensare di realizzare qualsiasi cambiamento radicale nel proprio Paese permanendo all’interno dei vincoli imposti da Bruxelles. Il caso della Grecia lo dimostra chiaramente. Per questo il Partito Comunista lotta per l’uscita dell’Italia dall’Unione Europea, la denuncia dei trattati e delle leggi sul mercato comune, sulla difesa militare comune, sulla moneta comune, l’abrogazione delle direttive e dei regolamenti sulle privatizzazioni dei servizi sociali e del patrimonio pubblico, sull’istruzione e sul lavoro che non siano compatibili con gli interessi dei lavoratori e delle classi popolari."

E ora passiamo al gruppo delle forze eurofederaliste.

Tra questi troviamo sicuramente la nuova forza +Europa, l’unica che ha incentrato il programma interamente sull’Europa. Ecco l’incipit: “Per affrontare le grandi questioni del nostro tempo occorrono risposte più ampie che può dare solo un’Italia più europea in un’Europa unita e democratica. Un’Europa per il benessere e contro la povertà, per le libertà fondamentali e contro ogni forma di discriminazione, per l’accoglienza e l’integrazione con regole certe e contro l’indifferenza, per la sicurezza e contro il terrorismo. Un’Europa votata all’innovazione tecnologica e alla ricerca scientifica, alla valorizzazione del patrimonio storico e ambientale, alla tutela della concorrenza in un mercato aperto e alla creazione di opportunità di lavoro. Vogliamo farlo a partire dall’Italia, abbattendo i muri reali o immaginari eretti dai nazionalismi, dall’odio e dal populismo e dobbiamo farlo perché la Storia ha dimostrato dove questi portano: indietro, mai avanti. E’ tempo di dire che per guardare al futuro dell’Italia non serve meno Europa. Anzi. Per avere - anche in Italia - più crescita, più diritti, più democrazia, più libertà, più opportunità, più sicurezza, più rispetto dell’ambiente, serve +Europa.”
E poi un capitolo dal titolo significativo: “Europa: una federazione leggera verso gli Stati Uniti d’Europa” con il seguente contenuto: “L’Europa che vogliamo non è un “superstato europeo”, bensì una federazione leggera. Come è stato già fatto con la moneta, si tratta di spostare al centro federale funzioni di governo oggi svolte dagli Stati membri - e le relative risorse per svolgerle: redistribuzione sociale e regionale, ricerca scientifica, reti trans-europee, controllo delle frontiere, diplomazia (inclusi aiuti allo sviluppo e aiuti umanitari), difesa. Oggi, su ogni euro speso in ricerca e sviluppo nell’UE, solo 4 centesimi provengono dal bilancio dell’Unione. Noi vorremmo che questi ultimi fossero invece 33, cioè un terzo di tutta le spesa. Come? Destinando a grandi programmi di ricerca su scala federale l’1 % del PIL europeo Il controllo delle frontiere è già, per quanto riguarda almeno i movimenti delle merci, una competenza esclusiva dell’Unione europea. Ma viene svolto dalle organizzazioni doganali degli Stati membri. Noi vorremmo che si creasse una polizza di frontiera davvero Europea, sotto il controllo dell'Unione, per il controllo dei movimenti di merci e persone alla frontiere esterne dell’UE.
Parlare al mondo con una sola voce è di importanza vitale per l’Europa. Diplomazia e Difesa sono funzioni di governo oggi svolte dagli Stati membri da spostare quasi esclusivamente a livello federale. Gli Stati membri continuerebbero ad avere rappresentanze non diplomatiche nel mondo, così come forze armate nazionali di scala ridotta - sotto forma di Guardia Nazionale - potrebbero coesistere con un esercito europeo. Il bilancio di un’Unione europea con queste competenze si aggirerebbe attorno al 4-5% del PIL europeo – oggi è pari all’1%, mentre i governi nazionali assorbono in media il 50% del prodotto dei rispettivi paesi. A questo livello il bilancio dell’Unione potrebbe cominciare a svolgere anche un ruolo di stabilizzazione macroeconomica, cosa che oggi non può fare a causa delle sue dimensioni molto ridotte. In quasi tutti i casi non occorrerebbero risorse aggiuntive ma sostitutive: per finanziare queste funzioni di governo a livello europeo verrebbero usate le risorse con cui oggi gli Stati membri le finanziano a livello nazionale. Economie di scala e buon senso portano a concludere che si otterrebbe di più e di meglio a parità di spesa.
Dal lato delle entrate, se all’Unione andassero, oltre i dazi, un’aliquota IVA di circa 20% sulle importazioni extra UE e una corporate tax europea armonizzata, dovrebbe essere possibile finanziare un bilancio dell’ordine di grandezza (4-5% del PIL europeo) citato. Altre ipotesi sono percorribili, in particolare se colpiscono esternali tà negative oppure se poggiano su una base imponibile meglio definibile a livello europeo che a livello nazionale – come la web tax. Attualmente circa l’80% del bi lancio risulta da trasferimenti diretti dagli Stati membri. Si tratterebbe invece di basarlo interamente su risorse proprie, stabilendo un principio di corrispondenza tra spese europee e tasse europee, attraverso una facoltà di imposizione diretta dell’Unione che oggi non c’è.”
Intendiamo anche batterci per: l’elezione del Presidente della Commissione europea a suffragio universale; la trasformazione del Consiglio dei ministri dell’Unione in un Senato europeo a elezione diretta, sia per politicizzarlo, liberandolo dal controllo delle burocrazie nazionali, che per rendere i suoi processi decisionali pubblici e trasparenti; l’istituzione di una valutazione annuale dello stato della libertà e della democrazia in ciascun stato membro da parte della Commissione - o della Corte di Giustizia, o di un’Agenzia ad hoc - con il mandato di monitorare il rispetto dei diritti fondamentali elencati all’art. 2 del Trattato sull’Unione europea.”
Di seguito il capitolo specifico sulla “Difesa europea” con le seguenti proposte:
“Che si punti o meno agli Stati Uniti d’Europa, le aree o funzioni di governo candida te a una maggiore integrazione sono quelle appena viste a proposito della federazione leggera. Così, in un discorso alla Sorbona il 26 settembre del 2017, lo stesso Macron ha proposto la creazione di una polizia di frontiera europea. Ha affermato che “all’inizio del prossimo decennio, l’Europa dovrà dotarsi d’una forza comune d’intervento, di un bilancio della difesa e di una dottrina militare comune per agire”.
Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione del 13 settembre 2017, il presidente della commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha parlato di una “vera e propria unione europea di difesa entro il 2025”. I primi passi in questa direzione sono però molto timidi. Ad esempio, la cooperazione permanente nel settore militare, inaugurata alla fine del 2017, ha finito per essere poco più di una lista di progetti di cooperazione - 17 per la precisione - che spaziano dalla creazione di un comando medico a un centro per lo scambio di esperienze in materia d’addestramento. Tutte cose lontanissime dalla creazione di un esercito europeo, fosse pure solo un nucleo di questo, e abbastanza innocue da assicurare alla Permanent Structured Cooperation (PESCO) un’adesione quasi generale (25 paesi su 28). Vogliamo forze armate dell’Unione addestrate ed equipaggiate al meglio, dotate di elevata prontezza operativa e capacità di proiezione - ma prive di armi nucleari. Condividiamo l’appello all’eliminazione delle armi nucleari lanciato nel 2007 da Henry Kissinger, George Shultz, William Perry e Sam Nunn e rilanciato dall’allora Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, nel suo discorso a Praga il 5 aprile del 2009. Siamo perciò favorevoli al ritiro delle armi nucleari tattiche (bombe per aereo) statunitensi schierate in Belgio, Germania, Italia e Paesi Bassi, in parte assegnate per un eventuale uso alle aeronautiche nazionali di questi quattro paesi. Va posta, secondo +Europa, la questione di un’iniziativa diplomatica italiana per arrivare a un ritiro concordato con gli alleati della NATO di queste armi dal territorio europeo, mentre va ribadita l’importanza per la sicurezza europea e globale del Trattato di Non Proliferazione delle Armi Nucleari e del Trattato che ha eliminato le forze nucleari a raggio intermedio (INF).
Con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, la Francia rimarrà l’unico Stato membro dotato di armi nucleari – e membro permanente con diritto di veto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il problema del rapporto tra un esercito europeo, che + Europa vuole equipaggiato di sole armi convenzionali, e il deterrente nucleare francese, auspichiamo si risolva nel medio-lungo termine nel quadro di un disarmo nucleare generale e completo – come quello previsto nel Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari, approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 7 luglio 2017, cui vorremmo aderissero quanto prima l’Italia e i suoi alleati della NATO. Ad interim, le armi nucleari francesi, conservando la loro consistenza e schieramento attuali, potrebbero estendere la deterrenza al resto dell’Unione europea, supplendo al ruolo svolto attualmente da quelle americane."
E per finire il capitolo sulla Governance economica dell’eurozona.
"È tempo di superare la stucchevole polemica anti-europea sull’austerità. L’economia europea è in forte espansione e l’Italia partecipa al processo, il mercato del lavoro migliora, e anche la dinamica salariale sta riprendendo. In questo quadro l’Italia si potrà sedere al tavolo franco-tedesco come pari tra i pari se cesserà di chiedere flessibilità per questa o quella categoria di spesa pubblica e saprà mostrare programmi di politica economica che garantiscano tre cose: la riduzione del debito pubblico in rapporto al PIL, il rafforzamento della qualità dei bilanci bancari, riducendo i rischi (NPL e portafoglio di titoli sovrani), politiche mirate per il rilancio della produttività, che ristagna dall’inizio di questo secolo. Senza crescita della produttivi-tà non c’è spazio per aumenti sostenibili dei salari, dunque la domanda cresce poco e la sostenibilità del debito pubblico resta sempre in bilico.
Sulla governance dell’eurozona la Commissione Europea ha messo sul tavolo, nel dicembre del 2017, un insieme di proposte importanti che meritano pieno sostegno.
Inoltre, l’Unione deve trovare una nuova intesa sulla gestione delle politiche economiche nella quale sia possibile affiancare al criterio della finanza pubblica sana, una visione proiettata verso il futuro che si basi sulla ripresa dell’integrazione – particolarmente nei servizi a rete e nel mercato digitale – e forti investimenti comuni in istruzione e nuove tecnologie. Le condizioni finanziarie favorevoli dovrebbero essere sfruttate per mobilitare risparmio pubblico e privato verso questi obbiettivi.
In questo quadro, è urgente completare l’unione bancaria, con il pilastro mancante dell’assicurazione dei depositi, e l’unione del mercato dei capitali (CMU), in modo che i grandi eccessi di risparmio possano muoversi a finanziare l’investimento produttivo nelle aree ancora in difetto di convergenza. La conduzione delle politiche economiche nazionali dovrà riflettere gli obiettivi comuni di crescita, superando le asimmetrie che hanno scaricato il peso dell’aggiustamento degli squilibri di domanda quasi esclusivamente sui paesi più deboli.
Occorre consolidare gli strumenti comuni per la gestione delle crisi, trasformando il Fondo Salva-Stati (MES) in un vero e proprio Fondo Monetario Europeo che fornisca liquidità e finanza ai paesi sotto attacco speculativo, e fornisca la linea di sostegno di ultima istanza per il meccanismo comune di assicurazione dei depositi e il fondo per la risoluzione delle banche in crisi. Le decisioni del fondo, che deve essere assoggettato a controllo parlamentare, dovrebbero essere prese a maggioranza qualificata, non più all’unanimità, in base a proposte presentate dalla nuova figura del ministro europeo delle finanze, che dovrebbe diventare motore e coordinatore delle iniziative di politica economica comune.
Non serve un bilancio separato della zona euro. Serve invece una capacità fiscale comune più forte dell’Unione per la produzione di beni pubblici europei, tra i quali un peso maggiore devono assumere le spese per la sicurezza e la difesa, quelle per le politiche comuni per l’immigrazione, quelle per l’investimento in ricerca e nuove tecnologie, quelle per l’istruzione e la creazione di percorsi di studio multinazionali. Il bilancio dell’Unione fornisce anche lo strumento adatto per aiutare i paesi membri nelle fasi di depressione ciclica, sostenere gli sforzi di riforma strutturale, assistere i paesi che muovono verso l’ingresso nell’euro.”

E ora passiamo a Insieme che già nel titolo del programma precisa “Insieme per un’Italia più giusta in un’Europa più unita”. La coalizione formata da Area CivicaVerdi e Partito Socialista Italiano dedica un capitolo all’Europa intitolato: “Insieme per un’Europa capace di ridurre le disuguaglianze e far crescere democrazia e coesione”. Segue il contenuto:
“Solo chi ama l’Europa potrà salvarla: ma per fare questo è necessario fare chiarezza.
L’ Europa non è un concetto geografico, ma rappresenta per Insieme valori come democrazia, solidarietà, apertura, tolleranza, eguaglianza, rispetto dello stato di diritto. Eppure questi valori, garanti della pace in un continente dalla storia sanguinosa, sono messi a dura prova dall’incapacità di trovare soluzioni reali ai problemi delle persone: questo è uno stimolo potente per il populismo autoritario, nazionalista e xenofobo che sta rialzando la testa.
Non ci possono essere soluzioni nazionali a problemi transnazionali. Vogliamo un’Europa capace di ridurre le disuguaglianze e far crescere democrazia e coesione.
Rifiutiamo totalmente ogni opzione di uscita dall’Euro o di delegittimazione di istituzioni comuni come il Parlamento Europeo, la Commissione o la Banca centrale Europea, pur se non condividiamo alcune delle loro scelte politiche.
Allo stesso tempo, non possiamo accontentarci di sventolare la bandiera dell’Europa cosi come è e di coltivare un europeismo elitario. Vogliamo che l’Italia sia parte attiva del cambio deciso delle sue politiche economiche, delle priorità di investimento; vogliamo agire per rendere la UE di nuovo capace di rappresentare un baluardo per la pace e lo stato di diritto dentro e fuori i suoi confini.
Crediamo che solo un’Europa più forte e federale possa fare fronte, con efficacia e determinazione, alle questioni cruciali della contemporaneità, dal cambiamento climatico, alle grandi migrazioni, dalla disoccupazione alla precarietà. Conflitti, guerre, instabilità in aree ai nostri immediati confini richiedono una politica estera unitaria, autorevole, efficace, una cooperazione dei servizi di intelligence e sicurezza strettissima e in grado di prevenire, contrastare, sradicare il terrorismo. La crisi economica e finanziaria è stata la dimostrazione dell’inadeguatezza delle istituzioni e della governance europea. Con l’imposizione di ricette di austerità fallimentari e la traumatica uscita del Regno Unito dall’Unione, è oggi indispensabile una profonda riforma del quadro istituzionale e politico dell’Unione Europea.
Vogliamo un’Europa che difenda con orgoglio il modello di Welfare europeo attorno a cui è nata ma che sappia anche adeguarlo, rendendolo più efficace e maggiormente in grado di rispondere ai nuovi bisogni dei cittadini europei, alle nuove richieste dei consumatori, oggi più attenti ed esigenti, alle nuove fragilità delle persone più deboli ed alle nuove aspettative delle classi più giovani.
Vogliamo un piano Ue di investimenti straordinari per il rilancio dell’Europa sociale da varare al più presto in modo che sia operativo entro il 2019 per dare risposte ai problemi più urgenti dei cittadini del vecchio continente che riguardano un gap negli investimenti da 100-150 miliardi di euro in tutta Europa, anche nei Paesi più ricchi, per quanto riguarda le infrastrutture sociali, in particolare sanità, educazione e alloggi sociali accessibili.
In questo senso il “New Deal per l’infrastruttura sociale” presentato da  Romano Prodi a Bruxelles individua assai bene le priorità verso le quali orientare al più presto un Piano operativo decennale di investimenti da 150 miliardi: infrastrutture sociali, salute, istruzione ed edilizia.
Romano Prodi si conferma ancora una volta un punto di riferimento per tutti quelli che affidano all’Unione Europea il compito di immaginare uno sviluppo che coniughi crescita e inclusione e aiuti l’Europa ad indirizzare l’economia verso uno sviluppo compatibile. Questa è l’Europa del futuro e di cui si avverte sempre di più il bisogno: un’Unione che diventi attore principale di una crescita economica più equa ed inclusiva, socialmente sostenibile, che non consumi le risorse ambientali e sappia creare occupazione stabile e di qualità per i giovani. INSIEME ha messo al centro del suo Programma questa visione e queste proposte per aiutare anche l’Italia a crescere. Davvero ci auguriamo che il “Piano Prodi” diventi la bussola dell’azione dell’Unione e dei paesi membri nel prossimo futuro e che il prossimo Governo italiano lo metta al centro della sua azione.
Ma per fare questo è necessario rilanciare anche il processo di riforma e democratizzazione delle istituzioni europee, processo che non può rimanere soltanto nelle mani dei governi francese e tedesco o affidato al rapporto di forza tra gli stati: occorre tenere insieme e vincere su questi due indispensabili piani, quello politico e quello istituzionale per rilegittimare e rendere efficace agli occhi dei suoi cittadini il progetto europeo.
Insieme vuole che l’Europa abbia una politica estera comune che  giochi un ruolo di primo piano a livello internazionale, in grado di aggredire le cause strutturali della povertà, promuovendo la giustizia e la solidarietà globali, la pace e la difesa dei beni comuni globali.
Occorre, inoltre, procedere con decisione verso una Difesa comune europea, andando oltre la fase attuale basata su una utile, ma non sufficientemente efficace attività di cooperazione, con forze armate comuni sotto la bandiera dell’Unione Europea, in grado di garantire interventi rapidi ed efficaci e con dotazione di armi convenzionali.
È urgente far sì che l’Europa abbia una sola voce in materia di sicurezza. La cooperazione deve essere democratica, trasparente, affidabile e basata su principi universali. L’UE dovrebbe sostenere una governance multilaterale globale, rafforzando e riformando il ruolo dell’ONU. Priorità deve essere data alla gestione dei conflitti civili. L’UNHCR stima che siano 65 milioni le persone profughe, la metà all’interno del proprio stato. Migliaia di persone muoiono ogni anno fuori delle nostre frontiere, a causa delle restrizioni sempre più forti. L’UE ha il dovere di garantire che queste persone possano cercare protezione. L’European Border Agency FRONTEX è uno strumento non del tutto adeguato. Dobbiamo garantire un sistema di asilo degno di questo nome ed intervenire, sia come UE che singoli stati membri, in modo coordinato per soccorrere i naufraghi in mare e consentire vie di ingresso sicure e legali. Occorre intervenire sulle cause che costringono le persone ad emigrare e superare la normativa di Dublino che obbliga i rifugiati a fare domanda di asilo solo nel primo paese di ingresso.
Sotto il profilo istituzionale l’Europa deve riprendere il suo cammino verso un obiettivo chiaro: gli Stati Uniti d’Europa, una federazione di Stati che decidono di gestire dal centro politiche e Piani di azione comuni in materia di politica estera (inclusi aiuti allo sviluppo e aiuti umanitari), difesa, ricerca scientifica, reti trans-europee, controllo delle frontiere.
Per poter efficacemente gestire queste politiche e queste competenze comuni occorre avere un bilancio adeguato, almeno 4-5 volte superiore a quello attuale (pari circa all’1% del Pil Europeo) per poter dare all’intervento dell’’Unione un impatto realmente visibile.
Il rafforzamento del bilancio dell’Unione deve passare sia dallo spostamento delle risorse oggi destinate alle politiche nazionali dei Paesi membri verso l’Unione, sia dall’esercizio concreto di una autonoma capacità di imposizione fiscale Ue. Ciò anche attraverso l’individuazione di voci di entrata specifiche come una corporate tax europea a partire dalle grandi multinazionali .
Ci vogliono istituzioni europee maggiormente rappresentative perché maggiormente collegate ai cittadini: noi proponiamo che il Presidente della Commissione europea sia eletto direttamente a suffragio universale. 
Insieme propone come prime misure urgenti
- un piano di investimenti con una possibile interazione tra pubblico e privato inclusi fondi pensione e assicurazioni per il rilancio dell’Europa sociale nel rispetto del “principio di sussidiarietà”
- l’attuazione di tutte le direttive non ancora recepite. L’Italia non ha fatto sempre il suo dovere per rendere l’Unione una presenza reale nella vita degli italiani. Molte, troppe sono le direttive europee non applicate e troppe le procedure di infrazione a nostro carico
- la promozione dell’elezione diretta a suffragio universale del Presidente della Commissione europea
- l’impegno a promuovere la trasformazione del Fondo salva stati in un Fondo Monetario Europeo
- l’impegno a richiamare con fermezza l’Unione europea e la comunità internazionale ad una azione più efficace per la stabilizzazione del governo libico, nonché per appropriate forme di cooperazione allo sviluppo dei paesi africani;
- la creazione delle condizioni per un più rapido svolgimento delle pratiche di identificazione degli immigrati e per la valutazione delle richieste d’asilo
- investimenti, anche eventualmente attraverso il Servizio civile, nell’integrazione culturale dei migranti
- l’impegno per un maggiore coordinamento dell’intelligence a livello europeo
- la rivisitazione dell’accordo di Dublino"

E ora veniamo alla formazione Liberi e Uguali. Non ha un punto specifico sull’Europa ma nella premessa vi è un passaggio chiaro sulla scelta di campo europeista. Eccolo: "Il ripudio della guerra e il rilancio del multilateralismo e della cooperazione internazionale devono essere la bussola di un nuovo ruolo dell’Italia e dell’Europa nel mondo globale, in un quadro ancora drammaticamente segnato da conflitti, terrorismo e grandi fenomeni migratori.
La nostra è una scelta chiaramente europeista ma vogliamo combattere la deriva tecnocratica che ha preso l’Europa restituendo respiro alla visione di un solo popolo europeo. Vogliamo un’Europa più giusta, più democratica e solidale. Occorre superare la dimensione intergovernativa che detta i doveri e non garantisce i diritti con politiche di dura austerità. Vogliamo dare maggiore ruolo al Parlamento europeo che elegga un vero governo delle cittadine e dei cittadini europei affinchè possano tornare ad abitare la loro casa.
Il cambiamento e la discontinuità rispetto alle politiche degli ultimi anni costituiscono l’elemento fondamentale di questa visione, che ambisce a radicarsi in maniera stabile nella società italiana. Non mille promesse ma progetti che servono, scritti bene, da fare meglio. Un lavoro ben fatto. La politica che ritrova il suo ruolo di servizio a favore dei cittadini.”

La formazione Civica Popolare si colloca anch’essa nel gruppo delle forze europeiste. Ecco il passaggio sull’Europa: 
“Civica Popolare crede in un’Europa più democratica, più politica e sociale con istituzioni di Governo scelte dai cittadini. Per questo occorre proporre un’idea di Europa che ne recuperi la radice originaria. L’integrazione europea era stata immaginata dai padri fondatori come uno strumento per garantire la pace, attraverso gli obiettivi di libertà e di giustizia sociale. Da un certo punto in poi (intorno al 2000) c’è stata una torsione e l’Europa è diventata quasi esclusivamente una sovrastruttura burocratica concentrata intorno ai principi del libero mercato.
Perciò il nostro europeismo che deve essere un elemento caratterizzante va rivolto verso un recupero dell’idea di Europa come strumento per la pace e la piena realizzazione della persona. La tentazione di nuovi nazionalismi e sovranismi non è solo pericolosa perché fa crescere chiusure e paure. È anche illusoria; è un imbroglio. Ci vuole più Europa per affrontare insieme le grandi sfide del Mediterraneo e dell’Africa, per essere decisivi nella nuova economia mondiale, per garantire sicurezza, ma anche occupazione e riduzione delle diseguaglianze.
Questa condizione è stata colta dal Presidente Mattarella nel discorso alle Camere in occasione del 60° anniversario del Trattato di Roma, quando ha chiesto che i paesi europei si impegnassero per una modifica dei trattati. La non inclusione (anzi la esplicita esclusione) della Carta dei diritti sociali nel Trattato è una delle storture da correggere.
Europa e territori
Serve oggi una nuova concezione della sovranità, più ispirata al principio dell’interdipendenza e della cooperazione. Più Europa, dunque, ma anche più autonomia ai territori alle comunità locali nelle quali si custodiscono tradizioni e identità preziose. È la rete delle comunità autonome e responsabili la nostra immagine del futuro, non quella dei fili spinati. È il pluralismo rispettoso delle diversità la nostra visione, non la chiusura impaurita e rancorosa tra uguali. Ripartire dai territori significa anche investire sulla responsabilità dei cittadini e sulla rete del volontariato in tutti i settori della vita collettiva.”

E per concludere il programma europeista del Partito Democratico. Di seguito il paragrafo dedicato all’Europa “Verso gli Stati Uniti d'Europa”.

"Per il Partito Democratico l’Europa è l’orizzonte naturale in cui si giocano tutte le partite più importanti della contemporaneità. Senza Europa le nostre vite sarebbero peggiori, avremmo meno benessere economico e sociale. Ma c’è ancora molto da fare se vogliamo che l’Europa assomigli di più all’ideale che ci ha permesso di costruirla.
La nostra Europa è quella di Ventotene, dove il sogno europeista venne rilanciato nel momento più buio della nostra storia. È l’Europa di Maastricht e degli sforzi fatti per arrivare alla moneta unica. Ed è l’Europa di Lisbona, una forza che prova a farsi Unione politica e dell’innovazione.
Il 2018 sarà l’anno delle scelte. Con le elezioni del 4 marzo l’Italia sceglierà se vorrà essere alla testa di un processo di rafforzamento dell’Unione Europea, per renderla più vicina ai bisogni dei cittadini, per rimettere crescita e sicurezza al centro del progetto europeo, o restarne ai margini.
Se vorrà partecipare alla costruzione del futuro, o arroccarsi e chiudere il mondo fuori dalla porta.
L’Italia ha le carte in regola per far parte del gruppo di paesi che disegnerà la nuova Europa:
siamo il secondo paese manifatturiero europeo;
siamo l’unico paese al mondo con un costante avanzo primario da più di venti anni;
il pagamento del nostro debito non è mai stato messo in discussione;
negli ultimi tre anni le procedure di infrazione a carico del nostro Paese sono passate da 120 a 62 (l’Italia era la maglia nera d’Europa, adesso è la maglia rosa);
abbiamo una storia europeista e di integrazione, che ha attraversato governi di vari colori e differenti fasi storiche (una storia che sarebbe pericoloso interrompere per l’avventurismo di chi propone un referendum per uscire dall’euro a giorni alterni);
negli ultimi anni il Partito Democratico e l’Italia hanno svolto un ruolo decisivo nell’imprimere un cambiamento d’indirizzo alla politica economica europea dall’austerità alla crescita.
I prossimi mesi saranno decisivi nella definizione del percorso di riforme in Europa, e l’Italia ha bisogno di un governo forte e credibile e di proposte chiare e ambiziose, in continuità con l’azione e l’elaborazione di questi anni, per svolgervi un ruolo da protagonista."

 

 

Note: * questo punto è stato smentito da un articolo pubblicato su La Stampa (http://www.lastampa.it/2018/02/27/italia/speciali/elezioni/2018/politiche/checkpolitiche2018/doppio-semaforo-rosso-per-giorgia-meloni-che-si-ispira-alla-germania-7B4EHwMK8WGcsdVth8wJpI/pagina.html)

I programmi elettorali dei partiti possono essere scaricati dal sito del Ministero degli interni
http://dait.interno.gov.it/elezioni/trasparenza

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