Einaudi Luigi - L'ABC dell'Europa di Ventotene
di Claudio Cressati*
La fama di Luigi Einaudi è legata alla sua carriera accademica (è stato professore di Scienza delle finanze all’Università e al Politecnico di Torino e alla Bocconi di Milano), alla sua attività di studioso (non si è occupato solo di finanza pubblica, ma di quasi tutti gli ambiti dell’economia, senza dimenticare la storia e il diritto) e, soprattutto, ai prestigiosi ruoli istituzionali che ha successivamente ricoperto, culminati nell’elezione a Presidente della Repubblica nel 1948. Assieme a Benedetto Croce, egli è il più noto intellettuale e politico liberale italiano del ‘900. Entrambi, dopo un’incertezza iniziale, rappresentarono convintamente l’opposizione interna al fascismo, condotta con gli scarsi strumenti che il regime consentiva a due figure troppo note ed autorevoli a livello nazionale e internazionale per essere colpite direttamente (erano Senatori del Regno e avevano intensi rapporti con numerosi intellettuali e uomini politici in tutta Europa e in America), ma che andavano comunque sempre controllate, spiate, limitate nei movimenti e nei contatti.
Meno noto è il fatto che Einaudi è stato non solo un convinto europeista, ma anche uno dei maestri del federalismo del secolo scorso. Nonostante i suoi scritti su questi temi non siano quantitativamente rilevanti e consistano per lo più in articoli su quotidiani o in brevi saggi, essi hanno direttamente ispirato Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, gli autori del Manifesto di Ventotene.
Alle origini del federalismo einaudiano
Il tema dell’unificazione europea aveva interessato Einaudi fin da giovane: a ventitré anni dedica un articolo su “La Stampa” agli Stati Uniti d’Europa, anche se in una prospettiva ancora condizionata dallo schema del vecchio “concerto europeo”.
Ma è nel biennio 1918-1919, a cavallo tra la fine della Grande Guerra e il difficile ritorno della pace, che Einaudi affronta in modo originale la questione. Lo fa in una serie di articoli sul “Corriere della Sera”, firmati con lo pseudonimo di Junius (verranno infatti ristampati nel 1920 con il titolo Lettere politiche di Junius). Il concetto fondamentale da lui espresso è semplice: una pace duratura e un’effettiva solidarietà internazionale possono affermarsi solo se gli Stati nazionali rinunciano al “dogma funesto della sovranità”. Nell’articolo La Società delle Nazioni è un ideale possibile? l’obiettivo polemico è il progetto, avanzato dal Presidente americano Wilson, di dar vita ad una Società delle Nazioni, che potesse inaugurare una nuova era nelle relazioni internazionali, basata non più sulla forza, ma sul diritto, non più sulla guerra (minacciata o realizzata), ma sulla risoluzione pacifica delle controversie, attraverso il dialogo e l’arbitrato.
Lo scopo è nobile e condivisibile, scrive Einaudi, ma lo strumento ipotizzato da Wilson è del tutto inadeguato a conseguirlo. E ciò perché non crea una sovranità superiore a quella dei singoli Stati, lasciandoli quindi liberi, quando mutano gli uomini o le circostanze, di avviare nuovamente politiche divergenti o addirittura conflittuali. Al più, scrive Einaudi, la Società delle Nazioni sarebbe una semplice confederazione e la storia è lì a dimostrare che le confederazioni non durano e sono impotenti, proprio perché la sovranità resta in capo agli Stati che le compongono.
Se si vuole davvero la pace, conclude Einaudi, bisogna volere la federazione, bisogna cioè trasferire la sovranità ad un livello superiore. In questo, proprio la storia degli USA (che Einaudi ben conosceva) è maestra: la confederazione che era stata creata al momento dell’indipendenza dalla Gran Bretagna stava per implodere dopo pochi anni e si era reso necessario adottare una costituzione federale, che ha dimostrato di funzionare e grazie alla quale gli USA si sono consolidati ed hanno prosperato.
Einaudi amplia il suo ragionamento in un altro articolo, intitolato Il dogma della sovranità e la Società delle Nazioni. Lo sviluppo dell’economia e della tecnologia ha reso ormai superata la dimensione degli Stati europei: anche quelli più grandi sono in realtà troppo piccoli per affrontare i problemi di oggi e di domani. È necessario che la politica cambi i propri schemi dimensionali, adattandoli a quelli delle questioni da affrontare. Questo può avvenire o con la forza o con il consenso. La Germania e i suoi alleati hanno tentato la prima via: ne è conseguita un’immane tragedia e la loro sconfitta. Bisogna cambiare strada perché se il sogno di dominazione dei tedeschi è caduto, “esso potrebbe risorgere sott’altra forma, inaspettata e mascherata, ove noi non distruggessimo nel cuore degli uomini le idee e i sentimenti da cui esso trasse origine”. E queste idee e questi sentimenti sono riassumibili, per lui, nel “dogma funesto della sovranità assoluta degli Stati”, a cui bisogna opporre la creazione di un “superiore organismo statale”, fondato sull’adesione volontaria di nazioni libere che mettano in comune la propria sovranità.
Maestro dei maestri
Queste tesi restarono in quel momento lettera morta, ma sono il seme da cui fiorirà il Manifesto di Ventotene. Il trait d’union sarà rappresentato da Ernesto Rossi, che dal 1925 era in contatto con Einaudi e collaborava occasionalmente con “La Riforma sociale”, la rivista che questi dirigeva (finché il governo fascista non la soppresse). Il rapporto proseguì, naturalmente tra mille difficoltà, anche dopo l’arresto di Rossi e durante i lunghi anni di carcere e poi di confino: la moglie di Ernesto, Ada, farà spesso da tramite tra i due. Tra gli argomenti di questi scambi epistolari c’era anche il tema degli Stati Uniti d’Europa e, quando Rossi incontrerà Altiero Spinelli a Ventotene, le Lettere politiche di Junius, che i due confinati riuscirono a procurarsi, costituiranno la base delle loro riflessioni. Importanti furono anche alcuni saggi di Lionel Robbins, economista liberale e federalista inglese che, su proposta di Einaudi, Rossi e Spinelli tradussero.
Non sorprende dunque se il 1° luglio 1944, dopo la liberazione da Ventotene e l’armistizio, quando Rossi e Spinelli sono rifugiati in Svizzera, dove si trova anche Einaudi, Rossi gli invia una copia del Manifesto, finalmente pubblicata, con questa dedica: “A Junius che, nell’ormai lontano 1918, ha seminato in Italia le prime idee federaliste per le quali oggi noi combattiamo”.
Un impegno rinnovato
È un periodo, quello seguito alla caduta del fascismo, in cui anche Einaudi riprende ed amplia le tesi avanzate oltre vent’anni prima. Pubblica nuovi saggi (Per una federazione economica europea, 1943; I problemi economici della federazione europea, 1944), in cui affronta, con la concretezza e la precisione (anche stilistica) che gli erano proprie, il tema delle istituzioni, delle competenze e delle risorse finanziarie della futura federazione, non tralasciando di sottolineare i vantaggi tangibili che ne sarebbero potuti derivare per i Paesi europei che stavano uscendo prostrati dal conflitto. Ma non si trattava di unire solo le economie: la dimensione politica era in realtà il cuore del problema ed Einaudi citava esplicitamente la necessità di una politica estera e di un esercito federale, che avrebbero dovuto essere gestiti da un governo federale responsabile di fronte ai cittadini della federazione. Ma per ottenere questi risultati sarebbe stato necessario scacciare “per sempre dal cuore e dalla mente degli uomini l’idolo immondo dello Stato sovrano”.
Il Presidente federalista
A partire dal 1945 Einaudi viene chiamato ad incarichi sempre più importanti: Governatore della Banca d’Italia, deputato all’Assemblea Costituente, Ministro del Bilancio e Vicepresidente del Consiglio con Alcide De Gasperi e, infine, Presidente della Repubblica.
L’ascesa alla più alta carica dello Stato, con i suoi doveri di imparzialità e di riservatezza, non implicò affatto per Einaudi un disinteresse verso l’obiettivo dell’unificazione europea. Rimase iscritto al Movimento federalista europeo, presenziò al congresso dell’Unione europea dei federalisti che si tenne nel 1948 a Venezia (in quell’occasione venne pubblicato il volume La guerra e l’unità europea, che raccoglieva i suoi principali scritti federalisti), nel 1952 redasse anche un opuscolo di propaganda federalista, firmandolo con il significativo pseudonimo di ‘Veterano’ e lo ripubblicò poi ne Lo scrittoio del Presidente, il volume che raccoglie scritti e interventi del suo settennato. Tra di essi vi è una breve nota che rappresenta il suo testamento spirituale sul tema dell’Europa e della sua unificazione: “La necessità di unificare l’Europa è evidente. Gli Stati esistenti sono polvere senza sostanza. Nessuno di essi è in grado di sopportare il costo di una difesa autonoma. Solo l’unione può farli durare. Il problema non è tra l’indipendenza e l’unione; è fra l’esistere uniti e lo scomparire”.
* CLAUDIO CRESSATI. Professore associato di Storia delle dottrine politiche, è Direttore vicario del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Udine. Direttore del Master Erasmus Mundus Euroculture, è responsabile scientifico del Centro di documentazione europea “Guido Comessatti”. Tra le sue pubblicazioni: L’Europa necessaria. Il federalismo liberale di Luigi Einaudi (1992), Cercare il Friuli e trovare l’Europa (con M. Stolfo, 2016).
Claudio Cressati, L'Europa necessaria. Il federalismo liberale di Luigi Einaudi, Torino: Giappichelli, 1992.
Luigi Einaudi, La guerra e l'unità europea, Bologna: Il Mulino, 1986 (ed.or. Milano, Edizioni di Comunità, 1948).
Umberto Morelli, Contro il mito dello stato sovrano. Luigi Einaudi e l'unità europea, Milano: Franco Angeli, 1990.
Einaudi Luigi è una voce de "L'ABC dell'Europa di Ventotene. Piccolo dizionario illustrato" a cura di Nicola Vallinoto e illustrazioni di Giulia Del Vecchio (seconda edizione Ultima Spiaggia, Genova 2022). Quest’opera è stata rilasciata con la Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.
L'indice completo del dizionario:
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