Quando Giorgia Meloni inciampa sull’Europa

7 giugno 2024
Piero Graglia (Professore ordinario di Storia delle relazioni internazionali Università di Milano - Biografo di Altiero Spinelli)

Giorgia Meloni a Quarta Repubblica

Giorgia Meloni a Quarta Repubblica (qui il video su youtube, https://youtu.be/KJukaNtNkLI?si=FCPFRkbQrIeOb-_Y, dal min. 38:07) si occupa di questioni europee e, in particolare, del Manifesto di Ventotene.

Va subito sgombrato il campo da ogni fraintendimento: il modello europeista, a suo dire “federalista”, stigmatizzato da Meloni, non è centralismo; accusare che l’Europa “vuole fare tutto” non è federalismo. Quando l’on. Meloni afferma che il modello vincente è l’Europa “confederale” di de Gaulle, si contraddice immediatamente perché aggiunge, “sussidiarietà: principio che non è mai stato applicato. Quello di cui Bruxelles deve occuparsi è quello che gli stati nazionali non possono fare da soli”. Che è proprio ciò che de Gaulle invece non voleva…

Esattamente Presidente del Consiglio: si chiama modello federale e si impernia su quattro funzioni federali principali: moneta, difesa, politica estera, politica economica, mentre tutto il resto resta in mano, come Meloni auspica, agli stati federati. Il modello ben noto degli Stati Uniti d’America. Nelle sue parole “Un’Europa che faccia ciò che gli Stati membri non possono fare autonomamente”.

Allora la domanda è: quali passi intende fare il governo dell’on. Meloni per dare queste competenze “generali” all’UE, e che finora non ha fatto? Non mi pare che il governo italiano abbia promosso una difesa europea; non mi pare che il governo italiano abbia promosso una politica migratoria intestata all’UE; anzi, si tratta di funzioni che tiene ben strette, restio ogni volta a metterle in comune. Allora forse la Presidente del Consiglio italiano, auspice il giornalista di turno, potrebbe dare risposte davvero significative in direzione del vero federalismo. Anche senza andare troppo lontano, fino agli Stati Uniti, ma magari considerando quel modello “federale” che è la Svizzera, che anche se si chiama Confederazione è di fatto una federazione.

Ma non basta. Meloni, in chiusura del discorso sull’Unione che non funziona, se la piglia anche col manifesto di Ventotene, e in particolare con un passo estrapolato da un documento di 40 pagine. Quello, scritto direttamente da Spinelli e che lui stesso si attribuì, in cui si prevede che il nuovo partito “rivoluzionario” federalista dovrà accantonare all’inizio i metodi democratici per imporre la “sussidiarietà” federalista.

Ha ragione: è un passo fuori fuoco e figlio di quegli anni (nonché della formazione rivoluzionaria leniniana di Spinelli, appena espulso dal Partito perché critico di Stalin). Tant’è che tale passo è stato abbandonato nei fatti dai giovani federalisti europei (Spinelli, Rossi, Colorni, Hirschmann, Ada Rossi, Leo Valiani, Riccardo Lombardi, Ferruccio Parri e, il più anziano di tutti, Luigi Einaudi) che in seguito lo considerarono un periodare tipico di un anno, il 1941, in cui i sostenitori dell’Europa nazifascista, dalla quale proviene la storia politica di Giorgia Meloni, sembravano vincere con il supporto delle masse. Quale fiducia si poteva avere, in quell’anno terribile, nei confronti del dibattito democratico, delle masse vocianti che sostenevano in massa Mussolini e Hitler?

La validità del manifesto di Ventotene non si giudica da qualche frase infelice estrapolata, bensì dal nucleo fondante del documento, che pure Meloni riconosce in effetti valido: l’epoca degli stati sovrani che possono affrontare ogni problema, è tramontata. L’interdipendenza è la chiave di tutto.

L’intervista di Porro in effetti ci restituisce una sensazione: Meloni non sa contestualizzare i documenti storici ma, ancora più sorprendentemente ci offre la certezza che è d’accordo con quel documento che critica nel suo punto centrale: l’Europa federale, che si occupi di politica estera, difesa, moneta, ambiente, problemi migratori, politica economica e fiscale omogenea a livello continentale, è necessaria.

Infine, giova ricordare che se è vero che il MSI votò a favore dei trattati di Roma istitutivi della CEE e dell’Euratom (cosa rivendicata con orgoglio da Meloni), poi votò contro il Trattato di Maastricht e le sue diverse riscritture successive. Nel 1957 la legge di ratifica fu approvata con i voti favorevoli dei parlamentari appartenenti ai gruppi democristiano, repubblicano, socialdemocratico, liberale, monarchico e missino, con il voto contrario del gruppo comunista e con l'astensione del gruppo socialista. Ma nel 1993 il PCI votò a favore e il partito della giovanissima Meloni votò contro, con dichiarazione di voto di Mirko Tremaglia a nome del gruppo.

Come lei stessa dimostra proponendosi sostenitrice della sussidiarietà europea e quindi del federalismo, si cambia anche idea, talvolta, e solo i paracarri restano sempre della stessa opinione.

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