Relazione presentata alla riunione dell'Ufficio del dibattito del Mfe di Verona del 13/14 dicembre 2003 su "Le nuove frontiere del federalismo"

Pacifismo, federalismo e società civile globale

26 agosto 2004
Giovanni Finizio
Fonte: Il Dibattito federalista

PACIFISMO, FEDERALISMO E SOCIETA' CIVILE GLOBALE*

Al Congresso di Firenze del Movimento Federalista Europeo è passata una mozione che lega in qualche modo l'azione del Movimento alla società civile globale. In tale contesto, è nata una sinergia tra MFE e Tavola della Pace che si è resa concretamente visibile all'Assemblea dell'ONU dei Popoli e alla Marcia per la Pace Perugia-Assisi. Si tratta di una svolta epocale. Ma cosa esattamente essa significa? Quali orizzonti schiude al Movimento in termini di elaborazione strategica e di prospettive di successo dell'azione federalista? Europace
Per rispondere a tali domande, si rende necessario capire quali possano essere le relazioni reciproche tra pacifismo, federalismo e società civile globale ed i motivi per cui stiamo assistendo ad una generale convergenza tra questi tre elementi. A tal fine, il mio intervento non può prescindere da una prima definizione di società civile globale, cui seguirà il tentativo di individuare le sue funzioni, e dunque la sua utilità per il federalismo quale ideologia e quale movimento politico. Inoltre, è opportuno inquadrare il pacifismo italiano e internazionale all'interno dell'avvolgente contesto della società civile globale, al fine di valutare correttamente le motivazioni profonde della svolta del Movimento.

1. La società civile
In primo luogo dobbiamo dunque capire cosa si debba o si possa intendere per società civile nel suo contesto classico di sviluppo costituito, come per la democrazia, dallo stato-nazione.
L'espressione risale ai Greci e ai Romani, e modifica il suo significato attraverso i secoli ed il pensiero di autori quali Hobbes e Locke , Adam Smith e Adam Ferguson , Kant , Hegel e Marx , Tocqueville , Gramsci .
Recentemente è avvenuta una riscoperta del concetto. In Occidente, a partire dagli Stati Uniti, essa ha acquisito rilievo in conseguenza delle controversie circa il supposto declino nella partecipazione civica e politica. In America Latina, essa appariva ai pensatori quale mezzo potenziale di unificazione di intenti di gruppi religiosi, imprenditori e movimenti di lavoratori nell'opposizione al regime; essa, inoltre, quale forza sociale si poneva al di fuori dei partiti e dello stato, largamente screditati. In Europa centro-orientale, nel contesto di stati totalitari, in cui la distinzione tra interessi della gente ed interessi dello stato era virtualmente soppressa, i dissidenti cominciarono a credere che concepire una società civile quale associazione tra persone, lontano dai tentacoli dello stato, fosse un modo per cominciare a resistergli. Inoltre, sia nel contesto latinoamericano che in quello dell'Europa orientale, pensatori ed attivisti furono anche influenzati dall'idea dei diritti umani, che costituivano, insieme alla società civile, il complemento e la garanzia per una democrazia effettiva.
Quel che più importa, in via propedeutica, è che definire adeguatamente la società civile è importante perché ciò comporta importanti risvolti normativi: certo stiamo ragionando su quello che vediamo ma, allo stesso tempo, operiamo una scelta che porta alcuni soggetti al di fuori di essa e poniamo le condizioni affinché altri vi possano entrare; implicitamente, prescriviamo lo sviluppo di questa società civile ed il perpetuarsi di essa .
Ciò detto, ricerchiamo una definizione che tragga spunto dalla storia della società civile e dal presente, nonché dal desiderabile. Riteniamo particolarmente importante il rapporto tra stato e mercato e la posizione della società civile nei loro confronti. Gramsci è stato il primo a destinarle un ruolo separato tanto rispetto all'uno, tanto rispetto all'altro, senza d'altronde riservarle una mera funzione di contrappeso e di contrapposizione rispetto allo stato (Tocqueville, Putnam e il filone del capitale sociale).
Possiamo oggi distinguere tre forme di società civile: quella libertaria, quella comunitaria e quella che sosteniamo noi, quella che possiamo definire “strong democratic civil society”. Tutte e tre si pongono in modo diverso rispetto allo stato e al mercato, o meglio, rispetto al settore pubblico e al settore privato .
Il primo è il dominio dello stato e delle sue istituzioni governative formali, contraddistinto dalla coercizione e dal monopolio della forza legittima. Il secondo comprende tutti gli altri soggetti che possiamo immaginare, dagli individui alle organizzazioni sociali, dalle multinazionali alle associazioni civili, e si distingue per la libertà: si pensi al mercato, alla privacy, all'individualità. Alla base di tale contrapposizione sta l'illusoria convinzione che per essere liberi bisogna operare una scelta tra stato e mercato, cosicché tra i due si configura un gioco a somma zero: più uno ha successo, più l'altro viene ridimensionato. Più potere, meno libertà; più privato, meno pubblico e viceversa. Tale polarizzazione tra libertà e stato non può che lasciare alla società civile il ruolo di surrogato per il settore privato e sinonimo di scelta di consumo; presenta un forte grado di libertà, ma questa è completamente privatizzata e la socialità è molto esile. Le relazioni sociali nel settore privato e tra i due settori sono relazioni contrattuali, che sono legate al consenso ma che contemporaneamente provocano la separazione delle esistenze. Ovviamente, ciò non può portare che ad una thin democracy, in cui l'essere cittadini si riduce alla liturgia del voto ed il bene pubblico viene difficilmente perseguito, perché viene meno il sostegno a politiche pubbliche adeguate .
La prospettiva comunitaria assume che le persone siano coinvolte in comunità prevalentemente ascrittive, cioè non volontarie, nelle quali sono legate da vincoli che precedono e condizionano la loro individualità. La società civile è dunque considerata un complesso di relazioni sociali ineluttabili che legano insieme le persone, prima di tutto nelle famiglie e nelle associazioni di parentela, come comunità, congregazioni, ecc. In tali comunità ascrittive, si verifica un trade off, direbbero gli economisti, tra la solidarietà e l'inclusione: quanto più si privilegia l'apertura verso l'esterno, tanto più viene meno la solidarietà, la quale si basa, secondo i comunitari, proprio sulla chiusura, sulla contrapposizione con l'altro. In questo caso, è evidente che non c'è spazio per la democrazia, che provocherebbe il dissolvimento dei legami. Questi sono molto forti, a differenza che per le relazioni mercantili, ma a scapito dell'inclusione. I comunitari vogliono normalmente restaurare le qualità di ancient communities la cui sparizione è stata provocata dalla tendenza modernizzatrice, a cui bisogna reagire. Noi tuttavia non possiamo accontentarci di sacrificare la solidarietà per l'inclusione, o viceversa. Noi vogliamo una thick community e la libertà, allo stesso tempo.
In nostro aiuto viene la terza definizione di società civile, quella che noi sosteniamo, e che rifiuta l'opposizione esaustiva tra settore privato e settore pubblico per porsi quale terzo dominio che media tra l'ambito dal governo e delle istituzioni sovrane e quello del mercato, e che presenta le virtù di entrambi. Si tratta di un dominio pubblico e aperto (come quello statale), ma anche volontario e non coercitivo (come quello privato). Le sue comunità sono create dall'attività comune così come dalla storia comune, nel lavoro privato o pubblico, e raggiungono un elevato grado di eguaglianza non perché sono eguali, ma perché sono pluralistiche. Associazioni, gruppi, enti sono i più diversi, e tale varietà costituisce la ricchezza della società civile democratica.
I soggetti della società civile sono dunque individui, associazioni, gruppi di pubblico interesse, chiese, media (ma solo quando privilegiano le loro pubbliche responsabilità rispetto alle loro ambizioni commerciali), la famiglia, ecc.

2. La società civile e la democrazia
Abbiamo fatto notare come il primo tipo di società civile, costretta all'appiattimento sul mercato, porta ad una thin democracy, cioè ad una democrazia procedurale, limitata alla liturgia del voto, in quanto tale inutile per i bisogni umani vitali e per il benessere collettivo e condannata alla decadenza, quasi fosse palpabile la sua “stanchezza”.
Il secondo tipo di società civile rende invece impossibile la democrazia, perché questa comporterebbe il dissolvimento dei legami comunitari, tutelati invece dalla chiusura della comunità verso l'esterno.
Il terzo tipo di società civile, diversamente, è il teatro della democrazia. La società civile così intesa presenta infatti virtù democratiche - apertura, ruolo pubblico, volontarietà, uguaglianza - e incoraggia le abitudini e i modi di vita democratici. I suoi membri, i cittadini democratici, sono attivi, responsabili, membri impegnati di gruppi e comunità che, pur avendo differenti valori e interessi diversi, si dedicano ad “arbitrare” tali differenze esplorando terreni comuni, lavorando insieme e perseguendo relazioni comuni. Ecco perché siamo vicini all'entusiasmo che ebbe Tocqueville nel vedere un'estesa rete civica composta da chiese, scuole, fattorie, associazioni volontarie di ogni tipo, piazze brulicanti di gente, ecc. Nell'America da lui visitata, le persone ritenevano sé cittadini e i loro gruppi associazioni civili: insieme, componevano la società civile.
Questa è l'accezione di società civile che sosteniamo: un complesso di soggetti, individuali e collettivi, nonché di relazioni, attraverso cui i suoi membri, pur agendo da privati, svolgono ruoli pubblici, anche semplicemente parlando di come si può sensibilizzare l'amministrazione comunale circa la sicurezza nel quartiere o di come si dovrebbero riformare le Nazioni Unite. In questo modo, attraverso associazioni, organizzazioni, movimenti, reti di discussione, circoli religiosi, il bene privato si trasforma in bene pubblico, l'esigenza di autodeterminazione individuale passa attraverso quella collettiva, che può venire affrontata dalle autorità per mezzo di politiche adeguate.
E' di conseguenza evidente che la società civile è un ingranaggio chiave per il corretto funzionamento della democrazia, motivo per cui si dice che l'intervento della comunità internazionale nelle zone di crisi non deve fermarsi alla garanzia di regolarità delle prime elezioni, ma deve creare le condizioni per la fioritura della società civile; ed è per questo che si è tanto allarmati per la sua erosione nei paesi sviluppati da parte dell'ideologia del mercato. Debolezza della società civile significa malfunzionamento della democrazia, che finisce per attirare su di sé sfiducia e rassegnazione, portando così all'ulteriore indebolimento della società civile, e così via.
Una testimonianza chiara del ruolo della società civile nel funzionamento della democrazia, è fornito a contrario dal peso determinante dell'attuale erosione della società civile nella crisi della democrazia a livello dello stato-nazione . Tale erosione avviene in particolare, ma non solo, a causa della mondializzazione dell'economia, processo che costituisce il vettore del sistema economico neoliberista su scala globale, cioè su dimensione nazionale, internazionale e transnazionale. La conseguenza è l'appiattimento della società civile sul settore privato (concezione libertaria), svuotando lo stato non solo delle capacità, ma anche del sostegno per far fronte all'esigenza di tutelare i bisogni umani fondamentali, vero scopo ultimo di una democrazia. In reazione alla diffusione di tali approcci, si radicalizza ed estende l'impostazione comunitaria, che trova espressione ad esempio nei fondamentalismi (islamico e non solo), nemici giurati della democrazia.
Se inoltre è vero che la società civile costituisce la chiave della democrazia, questa società civile la qualifica chiaramente: possiamo in effetti parlare di strong democracy, ovvero di democrazia a partecipazione popolare, che permette ai singoli individui di prendere attivamente parte al processo democratico, di orientarlo, e di riempirlo di contenuti umanocentrici. Questa è l'unica alternativa accettabile alla democrazia diretta, dato che proprio la democrazia, così intesa, è lo strumento politico che ci permette di perseguire il bene comune, diverso dalla somma degli interessi individuali. La società civile, essendo il luogo dove soggetti privati pensano e perseguono il bene pubblico, permette un'operazione di sintesi, per cui i bisogni individuali confluiscono nel bisogno pubblico. Saranno poi le istituzioni democratiche, traducendo il meccanismo in termini autoritativi, a trasformare tali domande politiche nel “diritto pubblico democratico” ed in politiche adeguate. Ciò ci porta nuovamente a sposare l'espressione strong democracy, anche perché comunica l'idea di una democrazia legata all'indivisibilità e all'interdipendenza dei diritti civili, politici, sociali, economici e culturali .

La funzione della società civile in un sistema di strong democracy consiste dunque primariamente nell'articolazione della domanda politica e sempre più, dato lo scollamento preoccupante dei partiti politici dalla società e la loro trasformazione da partiti di massa a partiti di elettori, nell'aggregazione di tale domanda politica, colmando uno spazio man mano lasciato scoperto. Non credo cioè che si possa più affermare, in altre parole, che i partiti politici detengano il monopolio nell'aggregazione della domanda politica articolata dalla società civile.

3. La globalizzazione della società civile. La società civile globale.
Quando parliamo di società civile globale, facciamo riferimento in realtà ad un processo in corso, per cui le società civili nazionali valicano i confini degli stati e l'esclusività del loro rapporto con il proprio stato, per legarsi tra loro fino a perdere qualsiasi connotazione nazionale (globalizzazione della società civile).
Questo fenomeno è a sua volta il prodotto, a mio parere, di alcuni processi di mutamento in atto nelle relazioni internazionali: la transnazionalizzazione di attori e processi, l'organizzazione internazionale, l'interdipendenza, l'internazionalizzazione dei diritti umani e la mondializzazione dell'economia.
Infatti, la transnazionalizzazione indica proprio che attori e relazioni si pongono trasversalmente rispetto agli stati: le relazioni transnazionali si caratterizzano per il fatto che almeno uno dei soggetti coinvolti non è di natura governativa . Le relazioni internazionali non sono più costituite (se mai lo sono state) solo dalle politiche estere degli stati, i quali hanno perso il monopolio della scena.
In secondo luogo, l'organizzazione internazionale ha portato molte associazioni e gruppi nazionali ad organizzarsi e a dotarsi di strutture stabili a livello globale: le organizzazioni internazionali nongovernative sono frutto di questo processo. I fattori che spingono verso l'organizzazione internazionale sono legati alla necessità di efficacia dell'intervento nell'ambiente esterno allo schema organizzativo, più che agli interessi delle singole parti. Ciò è particolarmente vero per le organizzazioni nongovernative in senso stretto (ONG), il cui fine è il bene comune universale, prescindendo così da qualsiasi obiettivo interno di carattere utilitaristico. Sono i valori solidaristici che spingono verso l'organizzazione, che risulta il mezzo più idoneo per interagire efficacemente con governi, organizzazioni intergovernative, imprese multinazionali, tutti soggetti che necessitano di interlocutori di “caratura sistemica”. Anche qui c'è necessità di strumenti per agire in una situazione di marcata interdipendenza, che non investe solo gli stati, ma società, organizzazioni intergovernative, gli individui in tutto il mondo.
Per ciò che riguarda l'interdipendenza, essa ha favorito la coscienza, in capo agli individui, dell'esistenza di un destino comune dell'umanità, che accomuna gli interessi ultimi di tutti gli esseri umani, in quanto appartenenti ad un'unica famiglia. La società civile globale non si chiama così solo perché le relazioni sono ad estensione planetaria, ma anche perché è in atto un processo di sviluppo di una coscienza globale circa l'esistenza di un bene comune globale. Inoltre, l'effetto di insicurezza generalizzata provocata dall'interdipendenza spinge verso la transnazionalizzazione e l'organizzazione internazionale, perché viene percepita da parte delle società civili nazionali l'esigenza di mutare la dimensione spaziale della propria attività, per poter continuare a svolgere la funzione di perseguimento del bene comune in un contesto di globalizzazione dei problemi.
L'internazionalizzazione dei diritti umani fornisce innanzitutto uno stesso linguaggio ai componenti della società civile globale e nello stesso tempo un metro di misura del bene comune globale. Essi rappresentano il diritto di tutti gli esseri umani a veder soddisfatti i propri bisogni vitali, ed è chiaro che il bene comune può dirsi raggiunto nella misura in cui i diritti umani vengono posti quale base fondante di efficaci politiche democratiche mondiali.
Infine, la mondializzazione dell'economia costituisce un fattore mobilitante fortissimo, non a proprio favore, ma contro. Essa rappresenta, così come è concepita oggi, una minaccia al bene comune dell'umanità, la quale è spinta a globalizzarsi per rispondere adeguatamente a tali minacce.
La società civile globale può dunque essere descritta come l'ambito in cui individui, associazioni, gruppi di interesse pubblico, movimenti, istituzioni, enti interagiscono trasversalmente rispetto agli stati ed indipendentemente rispetto ad essi, alle organizzazioni internazionali e alle forze del mercato globale, articolando domande, proposte, idee per il perseguimento del bene collettivo a livello globale. Gli attori coinvolti non hanno alcuna matrice governativa né mercantile, e insieme cercano non solo di influenzare le opinioni e le politiche all'interno delle regole e delle strutture esistenti, ma anche di cambiare queste ultime . Così, accanto ad istanze “regolative”, cioè che richiedono che alcune decisioni abbiano un certo contenuto, le formazioni di società civile ne portano altre, di natura riformista o perfino radicale circa l'assetto istituzionale delle relazioni internazionali.
La formazione di una società civile approfondita è in corso, non è un semplice desiderio: l'aumento delle OING ne è un chiaro segnale, così come l'impennata, negli ultimi anni, delle occasioni di incontro, coordinamento, azione comune dei vari attori che la compongono . La comunità di intenti si approfondisce costantemente, basti guardare al processo di networking tra i vari attori coinvolti: in Italia, ad esempio, la Tavola della Pace coordina 500 gruppi italiani locali e nazionali e 350 autorità locali, che si esprimono così con una sola voce.
Le funzioni che la società civile globale si trova e si troverà a svolgere nell'arena politica mondiale, sono essenzialmente tre.
Innanzitutto, alla stregua della società civile interna, essa articola e aggrega la domanda politica, questa volta su scala globale. Tale domanda politica esprime l'esigenza dell'umanità di vedere soddisfatti i propri bisogni vitali attraverso il perseguimento del bene pubblico globale, attraverso cioè meccanismi autoritativi di produzione di un diritto cosmopolitico democratico (diritti e doveri sopranazionali) e politiche globali.
Il destinatario di tali richieste dovrebbe essere un governo mondiale, che dovrebbe tradurle, così come avviene in uno stato democratico, in politiche e diritto, il diritto cosmopolitico democratico. Questo dovrebbe garantire a tutti i diritti umani fondamentali, la cui tutela permetterebbe ad ogni individuo di poter partecipare alla vita democratica mondiale al fine di perseguire la propria autodeterminazione.
Il problema fondamentale è che questa autorità governativa mondiale non esiste, nel senso vero del termine. Perciò, la società civile globale si trova a dover rivendicare il bene pubblico dell'umanità di fronte agli stati nazionali, che non possono assolvere alla funzione richiesta, perché le loro capacità di azione sono del tutto sproporzionate rispetto alle issues da affrontare, e di fronte ad un'altra autorità questa volta globale, l'ONU, a cui gli stati stessi non permettono di assolvere tale funzione, tenendola in stato di incapacità.
In queste condizioni, la società civile globale è virtualmente costretta a far confluire la domanda per il bene comune, da essa stessa articolata e aggregata, in istanza per il mutamento del sistema delle relazioni internazionali in direzione umanocentrica e democratica. La seconda funzione è dunque quella di attore di mutamento delle relazioni internazionali.
Oltre a ciò, bisogna registrare il fatto che entrambe le domande della società civile non vengono ascoltate e recepite dagli unici attori sistemici che potrebbero far qualcosa per esaudirle, cioè, ancora una volta, gli stati. Essa dunque, giocoforza, si trova a dover assolvere ad un terzo ruolo, senza il quale gli altri due citati non possono trovare soddisfazione: un ruolo costituente. In altre parole, essa da una parte spinge come può sottoponendo a tutti gli attori sistemici l'istanza del mutamento, dall'altra si pone quale artefice di questo.

4. Il federalismo e la società civile globale: un legame necessario.
Le tre funzioni sopra enunciate ci introducono subito al cuore della questione concernente l'utilità della società civile globale per il federalismo.

1. Funzionamento della democrazia internazionale. Il federalismo, a partire dai Federalist Papers, si presenta come sistema di estensione della democrazia a livello internazionale, rendendo “possibile la formazione di un governo democratico di dimensioni tali da abbracciare un'intera regione del mondo, che potenzialmente si può allargare a tutto il mondo” . Ma la democrazia, come abbiamo notato in precedenza, non può prescindere dalla società civile. Così, la democrazia internazionale non può che ruotare attorno alla società civile globale . In questo senso, viene in rilievo la prima funzione ricordata, cioè quella di articolazione e aggregazione della domanda politica. Le sorti della democrazia, compromessa anche dall'erosione della società civile a livello interno, dipendono dalla propria estensione oltre la camicia di forza dello stato-nazione. Ma una democrazia non incardinata sulla società civile globale riprodurrebbe lo stesso gap cui si intende rimediare. Naturalmente, il discorso non vale solo per il contesto globale, ma anche regionale, come ad esempio quello europeo.
2. Sostenibilità della democrazia internazionale. Un punto che normalmente viene trascurato nell'affrontare il tema di un governo mondiale, è il problema della distanza governanti-governati. Nel contesto dello stato-nazione, la democrazia presenta alcuni nodi non risolti, alcuni dei quali difficilmente risolvibili: si pensi al controllo dei servizi segreti, delle politiche estere, e così via . Basta seguire alla televisione qualche programma di giornalismo d'inchiesta per rendersi conto di quanto il potere sia difficilmente controllabile (ed il controllo del potere è un concetto chiave per la democrazia). In questo senso potremmo dire che la democrazia è un ideale, prima che una realtà, e che il divario tra il primo e la seconda determina una crisi endogena e perenne della democrazia , per cui essa è un viaggio che mira a colmare l'insoddisfazione prodotta da questo gap. Tale crisi, poiché è congenita alla democrazia, è anche sostenibile. Tuttavia, mano a mano che la distanza governati-governanti aumenta, tali problemi si acuiscono, il potere da controllare aumenta e gli strumenti di controllo si indeboliscono. Il mezzo per rimediare a tale situazione è la società civile globale, che deve alimentare una strong democracy globale effettivamente in grado di mantenere ciò che promette: la pace e il bene dell'umanità. Essendo tra gli scopi della democrazia quello di controllare e regolare i siti di potere per garantire che la possibilità di autodeterminazione individuale e collettiva non venga impedita , motivo per cui essa viene invocata al livello delle relazioni internazionali, essa deve basarsi sulla società civile e sulla partecipazione popolare, senza le quali si svuoterebbe a mera forma.
3. Democratizzazione. Immanuel Kant, nell'immaginare un ordinamento cosmopolitico (federazione mondiale), subordinava la sua realizzabilità alla qualità degli ordinamenti interni: solo tra stati di diritto (le chiamava repubbliche) poteva svilupparsi un legame di tipo democratico e federale, tale da rendere impossibile la guerra. In effetti, Kant prevedeva un primo nucleo federale di repubbliche, suscettibile di espandersi fino al mondo intero. Storicamente, tale nucleo è identificabile nell'Unione Europea, dagli anni '50 in poi costantemente in espansione. Ma come passare da tale nucleo alla federazione mondiale? Si passa attraverso la diffusione (non l'esportazione) della democrazia. Ebbene, nel processo di democratizzazione in atto a livello planetario, la società civile globale svolge un ruolo cruciale. Possiamo citare qui tre esempi. Il primo è costituito dall'apartheid sudafricano, caduto anche grazie ad una pressione della società civile a livello mondiale ; il secondo concerne la caduta del blocco sovietico, che può essere definito, proprio grazie all'immenso impegno della società civile, una rivoluzione epocale senza spargimenti di sangue ; il terzo è il processo di dialogo interculturale, in particolare tra le due civiltà il cui rapporto è più problematico, cioè l'Occidente e l'Islam: qui la società civile riveste un ruolo fondamentale non solamente nel contesto istituzionale del Partenariato Euromediterraneo , ma anche a livello informale, nel contributo costante di associazioni e personalità illuminate dei paesi islamici allo sviluppo di una interpretazione più morbida dell'islam e di una propensione al dialogo in luogo dello scontro. La società civile globale, in parole povere, favorisce e stimola lo sviluppo endogeno di democrazia.
4. Indicazioni di strategia. Lo sviluppo e le azioni della società civile globale forniscono importanti indizi e opportunità d'azione alla strategia federalista. In particolare, la seconda e la terza funzione della società civile globale schiudono una nuova via per il perseguimento degli obiettivi federalisti. Infatti, abbiamo ricordato che la società civile globale è attore di mutamento del sistema delle relazioni internazionali. Essa porta istanze anche radicali di umanizzazione e democratizzazione della politica mondiale, e ciò principalmente attraverso due vie: da una parte agendo dall'interno del sistema per sfruttare le potenzialità di mutamento ivi nascoste; dall'altra agendo dall'esterno, in via costituente (richiamiamo così la terza funzione). Esse sono, a mio avviso, perfettamente visibili nel fenomeno delle conferenze tematiche organizzate dalle principali organizzazioni internazionali, la prima, e nei cosiddetti controvertici della società civile , la seconda. Nel primo caso, le ONG esercitano forti pressioni all'interno delle conferenze sulle delegazioni, oltre ad essere a volte invitate ai lavori. Nel secondo caso, tali controvertici, che si chiamano così perché si tengono ormai regolarmente in concomitanza con conferenze mondiali o vertici di organizzazioni internazionali, costituiscono un'esperienza di crescente rilevanza che è culminata ad esempio nel Millennium Forum, tenutosi a New York nel Maggio 2000, e nelle Assemblee dell'ONU dei Popoli che si tengono con cadenza biennale a Perugia in occasione della Marcia Perugia-Assisi. Tali esperienze sono occasioni di networking per le formazioni di società civile, che si vanno coagulando attorno a valori comuni e obiettivi condivisi, tra cui anche quello di un nuovo ordine mondiale democratico. Il Movimento Federalista fa parte integrante ormai di questi networks ed ha intrapreso dunque la via costituente , l'unica strada, diretta, per la federazione mondiale.

5. Il pacifismo e la società civile globale
Il pacifismo, oggi, non può non venire contestualizzato all'interno della società civile globale. Storicamente, l'espressione “i pacifisti” era una generalizzazione piuttosto sommaria che indicava i portatori di un'avversione alla guerra. Si trattava di una categoria piuttosto nebulosa, politicamente indeterminata, che pur animata da nobili intenzioni veniva spesso strumentalizzata, anche derisa perché ingenuamente contrapposta alla realtà della politica di potenza e della guerra. Tale considerazione resiste ancora oggi in una parte dell'opinione pubblica ed è professata da una parte dei partiti politici in Italia, in Europa e nel Mondo.
Le posizioni assunte nei confronti dei movimenti pacifisti hanno rispecchiato e rispecchiano in primo luogo l'atteggiamento ideologico nei confronti della pace. L'atteggiamento tipico dei governanti, imposto dal sistema delle relazioni internazionali basato sul perseguimento degli interessi nazionali, è realista, pur con diverse gradazioni. L'idea praticata, anche se magari non professata fino in fondo, è che la pace si prepara con le strategie geopolitiche e che va mantenuta finchè i costi superano gli eventuali benefici. E' possibile citare esempi relativi a governi di qualunque schieramento politico: in Italia un governo di centro-sinistra ha appoggiato l'intervento illegale in Kosovo e oggi un governo di centro-destra invia truppe militari in Iraq prendendo parte, nonostante le sottili speculazioni semantiche, ad una guerra non ancora conclusa (violando dunque la Costituzione).
Ecco perché il pacifismo, inteso come genuina e coerente avversione alla guerra, non può che appartenere alla società civile. Alcuni partiti si schierano allo stesso modo ma raramente resistono all'interno di eventuali compagini di governo (è il caso di Rifondazione Comunista in Italia) e nel contempo cercano il coinvolgimento ed il riconoscimento quali formazioni di società civile .
La storia del pacifismo è dunque prima di tutto la storia di un sentimento, che pur si manifestava in forme visibili, più che di un vero e proprio movimento politico. Tale sentimento, pur potendosi sviluppare nella mente di ognuno, in termini politici abbisogna della società civile. Anche l'istanza della pace e dell'opposizione alla guerra è infatti una domanda politica, che per essere articolata necessita della società civile. Risulta inoltre qui evidente in modo chiaro che l'aggregazione di tale domanda politica, dati i vincoli imposti dal sistema delle relazioni internazionali, è difficilmente esercitata dai partiti politici, specialmente quelli di governo.
Tale sentimento/domanda politica, storicamente non è stato in grado di tradursi in alcuna strategia diversa dall'opposizione alla guerra, considerando la pace in termini negativi di “assenza di guerra” e di disarmo. Ma come ottenere tutto ciò? Da qui l'ingenuità imputata a qualsiasi movimento pacifista.
Oggi, il pacifismo si è concretizzato in un vero e proprio movimento politico transnazionale, che avanza proposte concrete e che ha mutato il concetto di pace: da pace negativa a pace positiva, cioè un nuovo ordine mondiale giusto e democratico.
Il pacifismo oggi si è riempito di contenuti politici, e l'articolazione della domanda politica si è complessificata e strutturata attorno ai bisogni fondamentali dell'essere umano. La pace è vista come mezzo per raggiungere la giustizia, ma è anche la relazione inversa ad aver preso piede: in poche parole, i diritti umani, espressione giuridica dei bisogni vitali dell'essere umano, e la pace si sono legati in un rapporto di reciproca interdipendenza ed indivisibilità.
Ciò si è accompagnato, a sua volta, alla convergenza del movimento pacifista con quello per i diritti umani e la democrazia. In sostanza, è in atto una convergenza culturale e ideologica verso il paradigma dei diritti umani, che prescrive la richiesta di nuove istituzioni, di un nuovo ordine internazionale, così come scritto nell'art. 28 della Dichiarazione universale. Il movimento pacifista ha superato la fase del denuncismo fine a se stesso e ha fatto propria la legge universale dei diritti umani, assumendo così un'identità nuova, legittimista e istituzionale; d'altro canto, il movimento per i diritti umani e la democrazia ha capito che i diritti umani sono sia civili e politici, sia economici, sociali e culturali sia diritti alla pace, all'ambiente e allo sviluppo umano e che tutti sono indivisibili e interdipendenti e vanno perciò realizzati assieme .
Questa linea di tendenza comune verso l'unità teleologica, costituisce un attributo di forza acquisitivo insostituibile per la società civile globale, perché permette di articolare e aggregare la domanda politica in modo coerente con le aspirazioni dell'uomo ad un governo umano, rispettoso dei suoi bisogni vitali, primo tra tutti quello di partecipare. Il processo costituente di cui abbiamo parlato necessita di una piattaforma culturale comune, che non ha nulla a che fare con le presunte insuperabili differenze di civiltà quasi prescritte da Huntington , e che invece si traduce in un'unità sostanziale di intenti e di strategie. Tale piattaforma comune è costituita sempre più dal paradigma universale dei diritti umani.
In ultima analisi, il pacifismo non solo si sta facendo carico delle tre funzioni della società civile globale, ma ha sottratto spazio ad altre formazioni, facendosi portatore delle loro stesse issues, favorendo nel contempo un processo di networking necessario alla funzione costituente, e acquisendone la leadership. Il pacifismo, oggi, è al cuore della società civile globale, chiede mutamento, democrazia internazionale, pace positiva. In effetti, basta analizzare i recenti documenti finali dell'Assemblea dell'Onu dei Popoli, organizzata dal movimento pacifista italiano (ma che non è più solo italiano) e confrontarli con il documento finale del Millennium Forum, summit che nel maggio 2000 riuniva a New York più di 1000 organzzazioni non governative, per rendersi conto di quanto chiara sia l'unità filosofica e d'intenti, la saldatura avvenuta e la simbiosi tra pacifismo e società civile globale: perfino l'Assemblea dell'Onu dei Popoli del 1999 verteva espressamente su questo tema.

6. La nuova sinergia tra federalismo e pacifismo. Il cerchio si chiude.
L'evoluzione del pacifismo fin qui tratteggiata ha necessariamente mutato, già ora, i rapporti con il federalismo.
Per i motivi di cui abbiamo già detto, il secondo vedeva il primo con un senso, del resto legittimo, di superiorità. Il pacifismo veniva fatto oggetto di critiche, da una parte perché lo si riteneva sostanzialmente inutile, dato che non prendeva in considerazione le cause della guerra, dall'altra perché prestava il fianco, con la sua ingenuità, alla strumentalizzazione da parte di chi, la guerra, la preparava davvero, e servendo dunque una causa opposta a quella desiderata. A questo proposito, il titolo del libro di Lord Lothian, leader di Federal Union e del federalismo anglosassone tra le due guerre mondiali, risulta eloquente: “Pacifism is not enough” (il pacifismo non basta) . Il valore aggiunto del federalismo consisteva nella ricetta, che esso deteneva, per la pace positiva: un ordinamento giuridico globale accompagnato dall'accentramento del potere politico nelle mani di un'autorità sovranazionale. Ciò avrebbe sradicato la causa della guerra, riconosciuta nella divisione dell'umanità in stati-nazione sovrani.
Oggi, in una certa misura, è ancora così. L'esperienza delle bandiere della pace appese alle finestre in occasione della guerra in Iraq, promossa dal movimento pacifista, mostra quanto sia forte il sentimento di avversione alla guerra. Ma il pacifismo, inteso in questo senso, non basta. La richiesta avanzata ad una qualsiasi persona che aveva steso la bandiera della pace, di illustrare cosa avrebbe fatto lei al posto di Bush, l'avrebbe colta impreparata. Un federalista, al contrario, avrebbe risposto. La semplice esposizione del dissenso rispetto alla guerra ripropone la vecchia anima del pacifismo, che vede la pace come pace negativa.
Nonostante questa apparenza, però, abbiamo visto che il movimento pacifista è cambiato e si è arricchito di contenuti positivi, strettamente politici. I documenti delle Assemblee dell'ONU dei Popoli lo dimostrano. Negli anni, federalismo e pacifismo si sono avvicinati: da una parte, le istanza federaliste vengono man mano accolte dal movimento pacifista e dalla società civile globale; dall'altra, anche il federalismo è maturato con la complessificazione delle relazioni internazionali. Le guerre, ad esempio, sono mutate e non si risolvono più nel semplice stato contro stato: alla guerra internazionale si va sostituendo la guerra interna, muoiono sempre meno militari e più civili, viene coinvolto un sistema economico globale cui tali guerre sono in qualche modo funzionali . Le cause delle guerre non sono più la semplice divisione del mondo in stati sovrani, ma sono spesso complesse e poco leggibili nella loro interezza. Il sistema di guerra viene oggi alimentato anche dal risentimento per l'ineguale distribuzione globale delle risorse, dall'ideologia, da una commistione di fattori.
Le implicazioni e le premesse per la pace sono mutate e stanno mutando. Per coglierle bisogna prendere a parametro l'interdipendenza dei bisogni umani vitali. Il pacifismo e il federalismo devono correre assieme per raggiungere l'obiettivo.
Albertini sosteneva che il fine del federalismo è la pace . Io direi che, dato il sistema globale odierno, la proposizione dovrebbe venire così riformulata: il fine del federalismo è la soddisfazione dei bisogni umani vitali. Tale obiettivo sta diventando, in modo più o meno esplicito, quello di tutta la società civile globale, dato che le sue funzioni, come abbiamo visto, si stanno orientando alla creazione e al funzionamento di un nuovo ordine mondiale democratico.
Il federalismo è dunque parte integrante della società civile globale, di cui fa parte anche il nuovo pacifismo. Si tratta di concorrenza? No, la storia, l'elaborazione teorica e strategica, la competenza stanno dalla parte del pensiero federalista. Al federalismo, dunque, spetta il compito di guida autorevole, di orientamento, per una strategia costituente di un nuovo ordine mondiale giusto e pacifico, perché democratico.
A New York, al Millennium Forum, c'era il Movimento Federalista Mondiale. All'Assemblea dell'Onu dei Popoli, lo scorso ottobre, i federalisti c'erano.
La strada è tracciata.

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