Documento finale della manifestazione del 12 aprile 2003

27 agosto 2004
Comitato Fermiamo la Guerra

Documento finale della manifestazione del 12 aprile 2003

Noi siamo ancora una volta qui, a Roma.
Il popolo della pace manifesta contro la guerra, contro le distruzioni delle
vite umane, delle civiltà, della natura, contro le sofferenze delle
popolazioni civili. Locandina della manifestazione del 12 aprile 2003
Non siamo tornati a casa dopo il 15 febbraio, non ci siamo arresi alla
guerra quando è cominciata il 20 marzo: si sono tenute migliaia di
iniziative, di manifestazioni, milioni di gesti di pace come i 3 milioni di
bandiere che non dobbiamo e non vogliamo togliere dalle nostre finestre.
Siamo qui per dire che non ci arrendiamo alla spirale di odio, di vendetta,
di scatenamento della forza bruta e delle pulsioni di morte che la guerra
porta con sé.
Oggi come il 15 febbraio siamo insieme, movimenti che si battono contro la
globalizzazione neoliberista, movimenti per la pace, movimenti per la
democrazia, partiti politici, associazionismo ambientale e sociale,
sindacati confederali e di base, associazionismo religioso, social forum,
strutture dell'autorganizzazione, aree antagoniste e della disobbedienza,
Ong, intellettuali, operatori della comunicazione, organizzazioni degli
studenti, delle donne, dei migranti, e migliaia di cittadine e cittadini.

Manifestazione del 12 aprile 2003

Oggi i potenti stanno scrivendo la loro storia: la conquista dell'Iraq da
parte delle truppe di Bush e Blair è l'esito di una guerra ingiusta e
illegittima, che sta causando lutti e distruzioni, che fa del popolo
iracheno, già vittima ieri del dittatore Saddam e dell'embargo
ultradecennale, oggi sottoposto ai comandi militari anglo-statunitensi.
La guerra rimane un orrore inaccettabile.
Alle vittime civili e militari, a tutte le vittime di questa nuova guerra va
tutta la nostra solidarietà.
Esprimiamo ancora una volta il nostro dolore più profondo per la morte di
Rachel Corrie e Tom Horndoll, uccisi perché cercavano di interporsi tra le
truppe di occupazione israeliane e la popolazione civile palestinese. Il
popolo della pace si stringe intorno a tutti quelli e quelle che, rischiando
la propria vita, cercano di costruire la pace nei luoghi in cui più violenta
esplode la guerra.

Un regime abietto è caduto. I pacifisti lo condannano fin dai tempi in cui
Saddam, alleato di chi oggi lo abbatte, sterminava i kurdi e massacrava gli
oppositori. La comunità internazionale ha avuto trent'anni per sostenere
l'opposizione democratica irachena che si batteva contro il regime. E non
l'ha fatto. Ora l'Iraq vive vendette e saccheggi, ed entro breve rischia di
vedere istituito un protettorato militare deciso e governato da Bush e
Rumsfeld.
Noi continueremo a impegnarci per un Iraq indipendente, libero, democratico
e pluralista.
Oggi i potenti stanno scrivendo la loro storia: la storia della distruzione
della legalità internazionale. Vogliono cancellare l'ONU e le istituzioni
internazionali.
Vogliono trascinarci in un'epoca di guerra infinita. Noi vogliamo fermarla.
La Carta dell'ONU ha cancellato il diritto alla guerra degli Stati: gli
Stati non possono più fare le guerre.

Milioni e milioni di persone in questi mesi, in tutto il mondo, hanno
espresso in forme nuove e dirette il loro no alla guerra, contaminandosi
l'un l'altra con pratiche diverse ed esprimendo le più articolate
soggettività: hanno disobbedito e fermato i treni e le navi della morte;
hanno scioperato, manifestato contro la guerra, boicottato i prodotti delle
multinazionali della guerra; circondato e invaso le basi militari, chiedendo
il loro smantellamento; senza distinzione di credo e di fede, hanno fatto
sentire la propria voce; hanno richiamato i valori dell'impegno civile e
pacifista alla base della nostra Costituzione e delle Carte internazionali;
hanno raccolto il richiamo delle Chiese, per far sì che le religioni non
siano strumenti di divisioni e di guerre, ma messaggere di pace.

Gli Stati, quando guidati soltanto dalla logica dei propri interessi
economici e geopolitici, non sono in grado di fermare le guerre: non
possiamo e non vogliamo affidare il destino dell'umanità e della nostra
Terra alla ragion di Stato.
Nella lotta per la pace, per l'autodeterminazione dei popoli e per i
diritti umani sta nascendo la società civile mondiale, quella superpotenza
pacifica e pacifista che sola oggi può fermare la guerra.

La guerra infinita e preventiva è legata al mantenimento di un ordine
sociale ed economico ingiusto, che alimenta disuguaglianze ed esclusioni. La
guerra provoca l'involuzione della democrazia, stati d'eccezione che
diventano permanenti, leggi liberticide.
Siamo qui anche contro la guerra economica, sociale e culturale che affligge
il pianeta, contro la globalizzazione neoliberista che produce ogni giorno
più disoccupazione, precarietà, miseria e ingiustizia sociale.
Questa guerra è anche per il controllo delle grandi aree produttrici del
petrolio, che rimane la fonte energetica centrale per la produzione e i
consumi statunitensi e del Nord del pianeta, cioè quel 20% della popolazione
mondiale che consuma l'80% delle risorse.

Il governo degli Usa si arroga il diritto di affermare, in quanto unica
superpotenza, il dominio unipolare, che vuol dettare le leggi in nome dei
suoi interessi assunti a parametro di giudizio universale.
Vogliamo rispondere a Bush con le parole di Arthur Schlesinger,
ex-consigliere di Kennedy, ricordandogli che non può trasformarsi in
giudice, giuria e carnefice del mondo.
Noi sappiamo che la follia della guerra non ferma il Pentagono dal
minacciare altre guerre, con l'uso possibile e preventivato delle armi
nucleari: siamo determinati a fermarle.
La guerra moderna è il crimine più devastante contro persone, beni e natura;
la guerra oggi è soprattutto una guerra contro i civili: per questo è
ipocrita parlare di 'guerra umanitaria', come la tragica lezione del Kossovo
e dell'Afganistan ci ha insegnato.

Non ci rassegniamo alla distruzione dell'ONU, perché nella sua Carta sono
contenuti i principi e gli strumenti per porre la guerra fuori dalla storia.
La guerra è illegittima, è un male assoluto e come tale va ripudiata, come
prevede l'art.11 della nostra Costituzione.
Noi consideriamo l'art. 11 una norma che dobbiamo rispettare come legge
superiore. Noi ci riconosciamo nella Carta dell'ONU, quando ripudia il
flagello della guerra, e nella Dichiarazione universale dei diritti umani.
Noi abbiamo difeso quelle Carte, anche quando l'istituzione preposta ad
applicarle - l'ONU - non lo ha fatto. Non di una ONU subalterna ai poteri
forti il mondo ha bisogno, ma di istituzioni internazionali realmente
democratiche e capaci di affermare e imporre le leggi superiori
dell'umanità, fondate sulla pace, sulla giustizia e sull'equità.
La nostra parte di cittadini e cittadine la stiamo facendo, noi popolo di
Porto Alegre non ci fermeremo.

Proprio perché vogliamo la pace e la democrazia in Iraq, vogliamo impedire
che l'ONU fornisca un'indebita copertura all'occupazione militare
anglo-statunitense. Noi chiediamo fermamente il ritiro delle truppe
occupanti, per consentire che l'Iraq possa autonomamente esprimere un
proprio governo, garantito dalle Nazioni Unite. Chiediamo inoltre che si
convochi con urgenza l'Assemblea generale straordinaria dell'ONU, in base
alla Risoluzione n. 377 del 1950, per una condanna formale della guerra
preventiva e per affrontare il dopoguerra dell'Iraq, che deve essere
smilitarizzato e appartenere ai soli iracheni.

Con la sua maggioranza il governo Berlusconi, arruolato da Bush nella
coalizione dei volenterosi, ha approvato, sostenuto e santificato la guerra
preventiva; ha imposto una belligeranza di fatto, con l'uso delle basi, con
il transito di materiale bellico e di soldati, con il trasferimento di
paracadutisti statunitensi in Iraq. E oggi per questo ci opporremmo,
nell'ambito del protettorato anglo-statunitense, all'invio in Iraq dei
carabinieri, che andrebbero a fornire copertura militare e politica sia alla
guerra sia al piano di occupazione militare. L'art. 11 della Costituzione è
stato violato. Il Parlamento non può decidere contro il dettato della
Costituzione.

Oggi impellente è il compito di affrontare la tragedia umanitaria, di
sostenere la popolazione e di metterla in grado di riprendere al più presto
la propria vita normale.

Questo compito umanitario non può essere lasciato nelle mani degli eserciti
o sotto il controllo dei governi di guerra, noi lanciamo un appello perché
siano le agenzie delle Nazioni Unite, le Ong e il volontariato a organizzare
gli aiuti.
Lanciamo forte l'appello a sostenere le organizzazioni veramente
indipendenti presenti nelle zone di guerra. Vi invitiamo a sostenere il
Tavolo della solidarietà e ad organizzare la raccolta dei fondi in ogni
città: il popolo della pace non solo testimonia il suo dolore per le
vittime, ma saprà generosamente impegnarsi in quest'azione di solidarietà.

La democrazia non si esporta con le armi, la democrazia va costruita in Iraq
attraverso l'autodeterminazione delle sue popolazioni, la loro
partecipazione, il rispetto dei diritti umani e di quelli delle minoranze.

Le ricchezze irachene, il petrolio iracheno non deve essere il bottino da
spartire tra le potenzi vincitrici, la ricostruzione dell'Iraq non deve
essere la ghiotta quanto cinica occasione per gli affari delle imprese
multinazionali. Le risorse irachene appartengono e devono essere gestite
dalle popolazioni irachene per soddisfare i loro bisogni.

Un Iraq democratico vivrà solo se nell'intera regione si stabilirà una pace
giusta. Insieme alla guerra e al rischio di un suo allargamento, nel Medio
Oriente un altro dramma è quello della Palestina. Chiediamo che cessino
l'occupazione militare, le brutalità, le violenze e gli assassinî perpetrati
contro la popolazione civile. Chiediamo che i palestinesi abbiano finalmente
un loro Stato, che il popolo palestinese possa vivere nella sua terra in
pace a fianco del popolo e dello Stato israeliani: due popoli in due Stati.
Ai curdi va garantito il diritto all'autodeterminazione senza che siano
sottoposti alla logica degli interessi statunitensi e turchi.

L'Occidente, che ha fatto affari con il regime iracheno scambiando armi con
petrolio, che produce ed esporta armi sempre più distruttive, missili e
bombe, non può continuare con queste politiche belliciste.
È tempo di riprendere la lotta per il disarmo globale, le spese militari
devono essere tagliate, e le risorse usate per debellare i mali del mondo,
della fame, della mancanza d'acqua, della salute, dell'educazione.
Continuiamo a batterci contro lo stravolgimento della legge 185, che
liberalizza il commercio di armi. Oggi a Brescia stiamo manifestando contro
l'Exa, l'orribile fiera delle armi, degli strumenti di morte con cui si
fanno profitti.
Disarmo, disarmo globale, per liberare l'umanità dalla guerra e dalla
sopraffazione.

L'Europa si è divisa in una componente bellicista ma, anche sotto la spinta
del movimento pacifista, in una parte - come la Francia, la Germania e il
Belgio - che ha contrastato la guerra, a cui Berlusconi si è invece
supinamente piegato.
Non è questa l'Europa che vogliamo, l'Europa sta nascendo dal basso, la
nuova cittadinanza europea vuole una Costituzione che metta al primo
articolo il ripudio della guerra.
Così secondo noi può essere formulato l'articolo 1 della Costituzione
europea:
"L'Europa ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali e riconosce nella pace un diritto fondamentale delle persone
e dei popoli. L'Europa contribuisce alla costruzione di un ordine
internazionale pacifico e democratico; a tale scopo, promuove e favorisce il
rafforzamento e la democratizzazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite
e lo sviluppo della cooperazione internazionale."

L'Europa che vogliamo non è la fortezza che respinge migranti e profughi:
l'Europa, l'Italia devono accogliere i profughi che fuggono dalla guerra e
attivarsi perché l'Unione europea promuova in tutti gli Stati l'accoglienza
e garantisca il diritto di asilo.
Una politica di accoglienza dei profughi è il primo aiuto umanitario che
l'Italia e l'Europa possano dare: il parlamento e il governo deliberino i
provvedimenti per l'accoglienza di tutti i profughi.

Come il 15 febbraio siamo qui perché siamo convinti che la guerra non
sconfigge i terrorismi. Il terrorismo non ha mai ragione, neanche quando si
nasconde dietro le ragioni dell'ingiustizia sociale, esso uccide la
partecipazione e gli ideali di pace e di giustizia: a delegare la lotta per
il cambiamento non ci rassegneremo mai.
La guerra preventiva del governo degli Stati uniti è impregnata della
volontà d'imporre il suo modello di civiltà, distruggendo quelle diverse,
marginalizzando culture e religioni che hanno contribuito e contribuiscono a
costruire scienza e conoscenza, e a dare senso e valori all'esistenza umana
e alla natura. È un disegno di egemonia, di riduzione della ricchezza delle
molteplici esperienze culturali e civili.
Vogliamo una società multiculturale. Vogliamo batterci per affrontare e
risolvere i veri mali del mondo: fame, malattie, ignoranza, per il rispetto
dei diritti umani, del diritto dei popoli all'uso delle risorse, per la
giustizia tra i popoli.
Non ci arrendiamo alla logica di guerra che pervade la società, alle tante
guerre dimenticate che fanno milioni di morti, di profughi, di rifugiati in
tutto il mondo.
Per il rispetto dell'articolo 11 della nostra Costituzione
Per un'economia di giustizia, contro la guerra economica e sociale della
globalizzazione neoliberista
Per il disarmo globale
Per il cessate il fuoco della guerra infinita
Mai più guerra!
Per una altro mondo possibile !

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