Per una politica di disarmo in Europa
La guerra permanente o infinita, oggi ridenominata "guerra preventiva" da Bush, può essere meglio compresa nei suoi aspetti fondativi di un Nuovo Ordine di Dominio militare, economico e sociale se viene analizzata in relazione alla crisi strutturale del capitalismo globalizzato in questa fase.
L'attuale fase di globalizzazione dei mercati nasconde una crisi economica del paese leader (gli U.S.A.) ed in genere del mercato globale capitalistico che coinvolge i paesi più ricchi.
Gli aspetti più evidenti di questa crisi sono: la crisi energetica (ciclo del petrolio in rapido esaurimento, ciclo dell'uranio con tendenza all'implosione); la crisi ecologica; il peggioramento grave e crescente di tutte le economie esterne ai paesi capitalistici più ricchi con l'insostenibilità economica e sociale dei rapporti tra Nord-Ovest del mondo ed i restanti paesi.
L'aspetto che più riguarda gli interessi capitalistici in questo contesto è la depressione generale della domanda dovuta ai crescenti processi di impoverimento sia dentro che fuori dell'Occidente. I rapporti sociali capitalistici., basati sulla ricerca generalizzata del sottosalario come base di nuove espansioni del profitto capitalistico, e su uno squilibrio crescente nella distribuzione della ricchezza tra i paesi del Nord e del Sud del mondo bloccano inesorabilmente l'espansione del mercato.
Contemporaneamente, lo stile di vita ed il modello di produzione e consumo dei paesi più ricchi, generano inevitabilmente uno spreco crescente di risorse naturali, incontrando un limite nella crisi energetica e nella crisi ecologica che costituiscono la manifestazione più tangibile della definitiva insostenibilità di questo modello.. I consumi di massa dei paesi ricchi non possono più espandersi, sia per l'impossibilità di espandere i redditi sociali, sia per il limite delle risorse ambiente ed energia.
Da qui una crisi generale, non solo economica, ma soprattutto politica, della leadership capitalistica mondiale: una crisi di egemonia, poiché non è più possibile governare il mondo col consenso ed espandendo le politiche di redistribuzione dei redditi e di patti sociali. Lo sviluppo capitalistico ha prodotto, anziché la diffusione allargata del benessere nei paesi terzi, l'allargamento crescente della povertà insieme alla progressiva distruzione delle economie locali (grazie alla politica prodotta dal FMI, dalla Banca Mondiale e dalla WTO). Questo ha generato a partire dall'ultimo decennio una grave crisi di legittimazione del governo capitalistico del mondo, come il movimento internazionale anti-liberista ha messo chiaramente in evidenza.
La guerra permanente globale è il tentativo di risposta da parte del gigante capitalistico all'esplodere delle sue contraddizioni. Un modo per contrastare la crisi di sovraproduzione: distruggere parti rilevanti dell'offerta globale, ma soprattutto riorganizzare buona parte della produzione capitalistica attorno al nuovo mercato della guerra ed al Warfare.
Ma anche il modo più feroce, autoritario e perfino autodistruttivo per governare il mondo, imponendo con gli armamenti e con i bombardamenti ad una lunga serie di "Stati canaglia" un sistema di dominio: dalla crisi di consenso alla ubbidienza imposta col ricatto della guerra. Molti Stati sotto il tallone militare degli USA sono costretti a capitolare e ad accettare non solo le nuove basi americane per il controllo dei territori, ma i programmi di aggiustamento strutturale, i corridoi energetici e gli accordi commerciali per lo sfruttamento USA delle risorse (vedi il petrolio ed il gas del Caucaso ed ancora una volta oggi il petrolio del Golfo e di tutto il Medio Oriente).
.L'economia di guerra pertanto viene rilanciata in tutto l'Occidente perché la guerra costituisce l'affare del nuovo secolo: in tutte le sue varianti, dalle armi convenzionali di cui i paesi ricchi continuano a incrementare la produzione e la vendita ai paesi poveri, alle armi non convenzionali fino allo scudo stellare.
Ma essa è soprattutto lo strumento di dominio e governo del mondo da parte della superpotenza globale. Testimonianza di ciò l'arrogante e irriducibile rifiuto di Bush ad ogni trattato per la messa al bando: delle armi batteriologiche e chimiche, delle mine antiuomo, delle armi ad uranio impoverito (decisione condivisa da tutta la Nato), fino all'affossamento del trattato per la non proliferazione delle armi nucleari e di quello per l'abolizione dei nuovi tests atomici. Oggi ci troviamo di fronte all'escalation dell'unilateralismo USA in campo militare con la scelta della guerra permanente globale contro "l'asse del male" e gli "Stati-canaglia": in questo quadro lo scudo stellare è lo strumento per ottenere l'onnipotenza, ovvero la sicurezza da ogni minaccia di ritorsione missilistica, consentendo così agli U.S.A. ed ai suoi alleati di sferrare attacchi nucleari contro tutti nell'assoluta assenza di limiti ("deterrenza").
Tre punti di riflessione:
a) il nesso guerra-globalizzazione è stato chiarito nei dibattiti del movimento antiliberista e negli obiettivi di lotta che ci si è posti. Anche prima dell'11 settembre appariva chiaro che il nuovo ordine del mondo si fonda sulla guerra, perché l'economia di guerra è un antidoto alla grave recessione in atto, perché il governo del conflitto globale si fonda sulla guerra contro i popoli ribelli, nei territori ai quali si vogliono rubare risorse o su cui piazzare basi militari, e perché i conflitti innumerevoli che la globalizzazione produce nei paesi dell'Est e del Sud del mondo (per l'imposizione delle regole del mercato così come per il controllo delle risorse energetiche) vengono repressi ormai solo con l'uso della forza militare.
b) l'ordine di guerra è un sistema culturale complessivo che va dalla gestione delle spese militari, alla gestione dei mass-media (vedi l'ufficio per la disinformazione strategica del Pentagono) e dei linguaggi (es. l'ossimoro della "guerra umanitaria" o l'eufemismo degli "effetti collaterali"), alla gestione delle piazze e dell'ordine pubblico. C'è una lunga mano che arriva da Los Angeles e New York fino a Napoli e a Genova.
c) col proclama di Bush sulla "libertà duratura" o guerra infinita - di cui l'Afghanistan (con migliaia di civili ammazzati e tre milioni di profughi a rischio di morte) è stata solo una prima stazione - la pratica della guerra è precipitata minacciando virtualmente tutta l'umanità di rappresaglia globale e ponendo nuovi giganteschi compiti al movimento dei movimenti.
d) la guerra preparata contro l'Iraq e teorizzata nella aberrante teoria della GUERRA PREVENTIVA costituisce l'ultima gigantesca infamia ma anche il pericolosissimo varco di una soglia per tutta l'umanità. Infatti ,a differenza del passato, il nuovo volto della guerra non cerca più di nascondere i propri orrori con la giustificazione di rispondere ad un nemico reale, ma si autoimpone al mondo come licenza pubblica di uccidere senza un nemico ( ovvero contro una minaccia potenziale o virtuale, del tutto costruita). Si tratta dunque di una strage degli innocenti già annunciata che si svela finalmente senza più maschere nella sua vera veste di terrorismo di Stato.
Per questo l'opposizione della coscienza collettiva contro questa guerra in Iraq è dilagata sia in Europa che negli USA, contaminando anche i settori sociali che in precedenza avevano approvato la "guerra umanitaria" e la "guerra al terrorismo". L'opposizione di massa a questa guerra in Iraq può dunque diventare nell'attuale fase, non solo il tentativo di salvare migliaia di civili in Iraq, condizionando i governi e le scelte internazionali, ma anche l'inizio di una opposizione permanente alla guerra per una nuova politica di disarmo.
Anche se il Consiglio di Sicurezza dell'ONU dovesse capitolare alle pressioni degli USA ed autorizzare la guerra all'IRAQ, non per questo essa cesserebbe di essere una infamia gigantesca ed una strage di innocenti..
La nostra strada va da un'altra parte, laddove i cartelli stradali indicano DISARMO, DIRITTO INTERNAZIONALE, DENUCLEARIZZAZIONE, DISOBBEDIENZA CIVILE, OBIEZIONE DI COSCIENZA E FISCALE, DIFESA POPOLARE NONVIOLENTA, DIPLOMAZIA DAL BASSO, SOLIDARIETA' ATTIVA AI POPOLI OFFESI.
.La nostra prospettiva internazionalista richiede oggi un salto di qualità nel conflitto sociale internazionale per fare della PACE e del DIRITTO ALLA PACE per i popoli la leva del nuovo mondo da costruire. Non bastano oggi, di fronte all'offensiva della guerra infinita, le battaglie di testimonianza o di opinione pubblica: il popolo afghano è stato devastato, il popolo palestinese è in agonìa, altri popoli, a partire dal già martoriato popolo dell'IRAQ, verranno colpiti per difendere gli interessi economici del nostro ricco Occidente. Non basta che obiettiamo e diciamo "non in nostro nome, non col nostro denaro". E' drammaticamente urgente un grande processo di unificazione del movimento dei movimenti e di CONFLITTO coi nostri governi di guerra per ottenere il disarmo e lo stop alla funesta "Libertà duratura" di uccidere.
RIARMO O DISARMO IN EUROPA ?.
Un memorabile discorso di Rosa Luxemburg al Parlamento tedesco contro il riarmo e per la riconversione delle spese militari in spese sociali ci indica ancora oggi una strada. Siamo di nuovo, in circostanze del tutto cambiate, su un crinale della storia d'Europa: siamo chiamati a scegliere come edificare la nuova Europa: della guerra o della pace. La prima è un edificio voluto dalla Nato e già in avanzato stato di costruzione. Parecchi mattoni di questo edificio li ha messi la Repubblica italiana, con le portaerei per le prossime guerre "celesti" (la Garibaldi e la Andrea Doria, rispettivamente 4000 e 3500 miliardi) e il nuovo tipo di aerei come gli Eurofighter, simbolo e distillato della dottrina di armamento del Nuovo Ordine Mondiale. Insieme a loro i professionisti della guerra (soldati mercenari super addestrati) pronti a far parte della forza di "intervento rapido" europea, costituiscono il contributo del nostro paese ex-pacifista al governo militare del mondo.
Mentre si produceva la guerra endemica in Afghanistan, nei Balcani, e nel Medio-Oriente, l'Europa ha ribadito la fedeltà alla NATO che ha costruito la sua più importante base militare dell'Europa dell'Est nel Kosovo e ha dato corso alle scelte di riarmo già assunte negli ultimi vertici dell'OSCE. Qui, con l'adesione dell'Italia, si era già ribadita la strategia della guerra "umanitaria", mascheratura delle operazioni di polizia-sterminio condotte contro i sudditi "ribelli", cui ha fatto da contraltare finora l'ipocrisia e l'assenza sulla questione palestinese e prima ancora sulla questione Kurda.
Il riarmo in Europa ha significato:
nuovo modello di difesa europeo con la generalizzazione in tutte le nazioni, compresa l'Italia, dell'esercito professionale. Una forza europea di intervento rapido di 60.000 soldati professionisti, per la difesa degli interessi della "fortezza Europa", foraggiata con le tasse pagate dai popoli europei che vengono indotti a credere di difendere in questo modo la propria sicurezza e i propri privilegi;
acquisto di nuovi armamenti (come le portaerei e gli Eurofighter e l'airbus europeo) nuovo rilancio dell'industria bellica europea e strumenti strategici per le guerre a distanza, in un quadro di accettazione passiva anche del riarmo nucleare dopo il fallimento del trattato di non proliferazione e la scelta strategica USA dello scudo spaziale;.
incremento della militarizzazione dei territori con la NATO europea e liberalizzazione del commercio delle armi ( attacco alle leggi vincolistiche come la 185 in Italia).
Questa politica estera porta inevitabilmente all'aumento generalizzato delle spese militari ( in Italia + 10% negli ultimi anni) nei bilanci nazionali con grande sacrificio di risorse che vengono così sottratte alle spese sociali; contribuendo in tal modo al peggioramento delle condizioni di vita collettive, sottoposte anche, specie nei territori attorno alle basi, a pesanti rischi ambientali, fughe radioattive ed esercitazioni militari ed a continue minacce per la vita degli stessi abitanti.
Il volto oscuro di un'Europa sempre più militarizzata, xenofoba e chiusa ai flussi di migranti ed ai diritti sociali, si afferma nei fatti, nella Costituzione materiale, mentre si è adottata una Carta dei Diritti dell'U.E. in cui si ignora la questione della guerra e si misconosce il diritto alla Pace.
Il Nuovo Concetto Strategico della Nato, varato a Washington il 24 aprile del 1999, proprio mentre si bombardava la Serbia, è passato così per via di fatto, nel silenzio dei mass-media, dei popoli e dei Parlamenti ed ha prodotto i suoi effetti costituenti disegnando lo scenario di guerra globale del XXI secolo. In questa fase l'Italia ha aderito, dunque, non più ad un patto atlantico di difesa, ma ad un patto di aggressione militare verso gli altri popoli della terra.
Il Consiglio dei ministri della Difesa dell'UE ha varato il nuovo esercito europeo, tenuto a battesimo a Nizza, proprio in occasione del vertice convocato per adottare la Carta dei Diritti. Esso fonda la politica estera dell'Europa del nuovo secolo sul potere delle armi e sulla dottrina del "power projection", che vuol dire capacità di proiezione a distanza delle nuove armate coi mezzi strategici navali ed aerei.. Ciò significa che l'Europa costruita dai governi che hanno amministrato il dopo '89 si fonda su una "pax europea", solo interna ai propri attuali confini..
Significa anche che l'Italia, aderendo a questa opzione bellica ed a queste scelte materiali, economiche e geopolitiche, rompe il proprio patto di cittadinanza tra popolo e Stato. Infatti il vincolo della nostra Costituzione stabilisce il divieto assoluto di muovere guerra ad altri Stati, usando la guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali. Questa rottura del patto di cittadinanza in Italia si sostanzia in una nuova costituzione materiale in cui il popolo sovrano è da ora in poi espropriato di fatto dalla decisione di fare pace o fare guerra con un altro popolo. A ciò contribuisce anche l'istituzione dell'esercito professionale che genera l'abolizione del dissenso contro il militarismo e la guerra ed anche le cosiddette "missioni di pace" che tali non sono ( vedi Somalia e Afghanistan) ma che costituiscono un prolungamento delle guerre e un modo per amministrarle attraverso l'occupazione militare.
Le forze politiche in campo europeo ( salvo rare eccezioni) presentano due modelli alle scelte dei popoli: secondo loro si tratta di scegliere se avere un ruolo complice come alleati supini alle scelte Usa, che sostengano tutte le conseguenze distruttive della guerra permanente globale, oppure perseguire (come indica una certa linea europeista di "centrosinistra ") una politica di riarmo europeo per dare all'Europa un ruolo di potenza militare, oltrechè economica, che fronteggi gli USA nella competizione globale (ed all'occorrenza ne freni gli eccessi di onnipotenza) ma partecipi tuttavia con un suo ruolo alla gestione armata del nuovo ordine mondiale ed alla spartizione del bottino (risorse energetiche, mercati). Anche le posizioni di aperta critica della politica militare Usa che stanno emergendo attualmente in seno all'UE e presso la Francia e la Germania (sulla Palestina, sull'Iraq e col dissenso sull'"asse del male" di Bush e sull'allargamento della guerra ad altri Stati) non sfociano poi in nessuna proposta chiara di disarmo e pacificazione poiché nessun governo europeo rinuncia all'opzione militare (a favore delle vie diplomatiche e della pratiche di vera cooperazione), anche in funzione di interessi economici che guidano la ricolonizzazione in Africa, i corridoi energetici nei Balcani ed in Asia, il sostegno al commercio delle armi, alla finanza armata ed a tutta l'economia di guerra.
Ma noi che unitariamente lottiamo contro la guerra ed il neoliberismo, noi che affermiamo che un altro mondo è in costruzione, vogliamo invece una politica del disarmo in Europa, e costruirla con altri mattoni, alternativi agli armamenti.
Vogliamo un'Europa di pace, dove la politica del disarmo diventi una politica attiva, a partire dall' immediata dissociazione dalla GUERRA PREVENTIVA, per arrivare al rifiuto dello scudo spaziale ed al disarmo nucleare, per contrastare l'aggressività militare Usa e farsene così oppositori e non più complici o finti alleati concorrenti.
DALLA GUERRA MILITARE ECONOMICA E SOCIALE AL DISARMO MILITARE ECONOMICO E SOCIALE.
L'anno scorso manifestavamo a Roma il 10 novembre contro la guerra in Afghanistan con un grande striscione che diceva NO ALLA GUERRA MILITARE ECONOMICA E SOCIALE. Ciò perché è consapevolezza comune che la guerra sia un sistema: i bombardamenti sono il volto militare della ingiustizia globale. Ma oggi si tratta di passare dalla protesta al progetto per una nuova Europa: L'EUROPA DEL DISARMO.
E per disarmo dobbiamo intendere specularmente IL DISARMO MILITARE, ECONOMICO E SOCIALE.
Per DISARMO MILITARE intendiamo la fuoruscita dell'Europa dalla guerra militare:
-a livello istituzionale e giuridico assumendo nella nuova Costituzione Europea il ripudio della guerra e il diritto alla pace per tutti i popoli del mondo;-
-a livello di scelte di riarmo ,praticando la contestazione del nuovo modello di Difesa armato che si fonda sulla commistione indebita tra Difesa e Guerra e realizzando la Difesa Popolare Nonviolenta con i corpi civili di Pace;
-chiedendo la chiusura della basi militari e rifiutando lo scudo spaziale e i programmi di riarmo nucleare.
Per DISARMO SOCIALE intendiamo soprattutto il rilancio dello Stato sociale in sostituzione dello Stato militarista, attraverso una vasta campagna contro l'aumento delle spese militari per riconvertirle in spese sociali, per la redistribuzione dei redditi sociali e per la protezione civile dei territori, quanto mai urgente oggi in tutta Europa.
Per DISARMO ECONOMICO intendiamo:
-il passaggio dalla finanza armata alla finanza etica attraverso una campagna di boicottaggio delle banche armate;
-il passaggio dalla economia di guerra alla economia di pace attraverso la riconversione ad usi civili dell'industria bellica, con il necessario coinvolgimento dei sindacati, ed una campagna contro la produzione e il commercio degli armamenti.
QUESTA EUROPA DEL DISARMO CHE VORREMMO COSTRUIRE COMINCIA DALL'OPPOSIZIONE QUI ORA E SUBITO ALLA GUERRA PREVENTIVA IN IRAQ CON LA MOBILITAZIONE GLOBALE DI TUTTA LA SOCIETA' CIVILE.
* Contributo al Forum Sociale Europeo di Firenze 2002
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