Nuovi Fondi Comunitari per la Ricerca nel settore della Sicurezza

L’Unione Europea stanzierà un miliardo di euro per la ricerca nel settore della sicurezza, i finanziamenti dovrebbero essere disponibili dal 2007, Intanto sono stati stanziati 65 milioni di euro per progetti pilota.
Ma chi sostiene un approccio civile, complementare a quello militare, nel settore della sicurezza ha ben poco da rallegrarsi.
29 settembre 2004
Matteo Menin (Responsabile politiche europee, Advocay e Fund Raising del CSDC, membro CC del MFE)
Fonte: CSDC - Centro Studi Diesa Civile
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Un miliardo di euro per la ricerca nel settore della sicurezza, sarebbe quanto l’UE ha intenzione di stanziare per il finanziamento di progetti di ricerca dedicati a potenziare essenzialmente l’industria europea di difesa e dual-use (cioè con applicazioni civili e militari). Finanziamenti che dovrebbero essere disponibili dal 2007, nell’ambito del futuro programma europeo di ricerca nel settore della sicurezza (ESRP)
Ma chi sostiene come noi un il contributo che la società civile organizzata può dare alla sicurezza ha ben poco da rallegrarsi.

L’idea di lanciare l’ESRP è frutto di un processo sviluppatosi piuttosto rapidamente se consideriamo i tempi classici della burocrazia (nazionale ed europea); probabilmente per la necessità di dare una risposta rapida al gap di investimenti e ricerca che l’Europa ha rispetto ad altri attori internazionali (soprattutto gli Stati Uniti).

Processo che inizia formalmente con una decisione della Commissione del 3 febbraio scorso [1] e con l’adozione di un’azione preparatoria (con un budget di 65 milioni di € per il triennio 2004-2006), allo scopo di “sondare il terreno”, finanziando una dozzina di progetti (scelti attraverso un apposito invito a presentare proposte). La decisione, che risponde a diverse sollecitazioni, essenzialmente dell’Industria europea della difesa e degli armamenti, viene seguita dalla pubblicazione di un rapporto commissionato ad un gruppo di esperti nella ricerca nel settore della sicurezza [2] e da una successiva comunicazione della Commissione [3] che, accogliendo le indicazioni degli esperti, definisce quali saranno i prossimi passi.

Sebbene nei vari documenti venga riconosciuto un qualche ruolo agli aspetti non direttamente legati alla sicurezza militare o dual-use - viene infatti indicata la necessità che l’Europa investa in una “cultura della sicurezza” e che vengano rispettati i valori fondamentali dell’unione; che è necessario rafforzare o costruire gli strumenti per rendere più efficaci le azioni umanitarie e di state-building (fra cui stanno il monitoraggio elettorale, il monitoraggio e la protezione dei diritti umani, ecc…); che le esigenze degli utenti finali debbano essere prese in considerazione, fra cui le organizzazioni nongovernative… - nei fatti, è assai scarso lo spazio dedicato agli interventi civili e praticamente nessuno alle attività di ricerca nel settore della prevenzione e gestione civile dei conflitti.
Questo deficit sarebbe meno rilevante se alle attività di ricerca non considerate da questo programma venissero dedicate adeguate risorse dagli altri strumenti della Comunità Europea, ma così non è. Solo dopo molti anni di attività di pressione si è riusciti ad ottenere che ai Corpi Civili di Pace Europei [4] ed ad una rete per la prevenzione dei conflitti [5] venissero dedicati alcuni piccoli stanziamenti del budget UE, che comunque impallidiscono rispetto al miliardo di Euro che dovrebbe essere destinato al ESRP.

Significativo, poi, che nel gruppo di esperti non sieda nessun rappresentante del mondo dell’associazionismo nongovernativo, mentre sono presenti rappresentanti di tutti i maggiori gruppi industriali europei. L’Ultima comunicazione della Commissione prevede, infatti, la creazione di un “European Security Research Advisory Board” che dovrebbe definire le linee d’azione strategiche e le priorità del programma di ricerca per i prossimi anni. Se consideriamo che l’annunciato coinvolgimento di tutti gli stakeholder potrebbe ridursi al ruolo consultivo di questo tavolo, la cui composizione potrebbe semplicemente rispecchiare l’attuale composizione del gruppo di esperti, l’assenza è ancor più grave perché rischia di impedire che in futuro si tenga conto anche della possibile gestione nonmilitare e nonviolenta della sicurezza, nell’ottica della difesa civile.

Dobbiamo ammettere, però, che chi sostiene la difesa e la sicurezza civile come indispensabile integrazione al militare, deve oggi pagare lo scotto della scarsa attenzione posta al ruolo che le tecnologie possono avere nel rafforzare l’approccio nonviolento e nonarmato, che è solo in parte dovuta alla scarsità delle risorse a disposizione.

Nelle raccomandazioni finali del gruppo di esperti, fatte proprie dalla Commissione nella comunicazione del 7 settembre, vi è anche l’auspicio di una maggior efficienza e attenzione della ricerca al continuum civile-militare.
Si pone ancora una volta la questione dell’interazione e/o della separazione fra civile e militare, questione che va ben al di là del settore della ricerca sulla sicurezza.
Vi è infatti una tendenza crescente, in Europa e negli stati membri, a mescolare sempre più spesso strumenti civili e militari [6]: pensiamo alle operazioni umanitarie affidate agli eserciti, alle azioni militari affidate società di mercenari, all’affievolirsi della separazione fra azioni militari e di polizia in un contesto in cui la risposta al terrorismo si è concentrata quasi esclusivamente sulle azioni repressive, e tutto questo quando i principi fondanti il diritto internazionale ed il ruolo delle Nazioni Unite vengono messi da parte.
Bisogna riconoscere, però, che vi è anche una necessità reale di interazione fra civile e militare nelle operazioni sul campo, soprattutto dal punto di vista logistico, necessità che spesso è stata riconosciuta dalle stesse Ong. Vi sono stati casi, poi, in cui le stesse Ong hanno richiesto l’intervento della forza militare di fronte a veri e propri genocidi (pensiamo alla Sierra Leone, alla Liberia alla regione dei Grandi laghi africani).

Ancora una volta sarebbe utile affrontare queste questioni mettendo da parte ogni posizione ideologicamente predeterminata, ma non sempre dall’una e dall’altra parte le persone coinvolte (siano essi generali o esperti di nonviolenza) sono disposte a farlo.

Ottobre 2004

per informazioni: m.menin@pacedifesa.org oppure www.pacedifesa.org

Note: [1] Decisione 2004/213/CE del 3 febbraio 2004 in GUUE L67 del 5.3.2004 pag 18. In realtà la decisione è frutto di un azione di lobby delle industrie europee degli armamenti iniziata già da molti anni, ma con questa decisione la Commissione ha avviato di fatto se non di diritto una politica europea di ricerca nel settore. Si vedano anche la decisione della Commissione 2003/113/CE dell’11 marzo 2003 e la Comunicazione COM(2004)72 final del 3 febbraio 2004.
[2] “ Research for a secure Europe” reperibile, come gran parte della documentazione citata in questo articolo alla pagina web: http://europa.eu.int/comm/research/security/index_en.html
[3] COM(2004)590 final del 7 settembre 2004.
[4]Essenzialmente per uno studio di fattibilità. Si veda su questo aspetto anche la nota di Alessandro Rossi nel numero di settembre 2004 di Pacedifesa.
[5] Anche se non è ancora ben chiaro cosa dovrebbe fare questa rete per le prevenzione dei conflitti e chi dovrebbe farne parte.
[6] Su questo tema si veda l’articolo di Heike Shnider, nel numero di settembre di Pacedifesa. Ma anche l’idea di dar vita ad una forza di intervento (human secuirity response force) di 15000 uomini che includa oltre ai militari anche personale civile (circa un terzo) composto da poliziotti, esperti legali, specialisti nel settore dello sviluppo e dell’aiuto umanitario, sostenuta anche dall’Altro rappresentante per la PESC, Javier Solana (in European Voice del 16-22settembre 2004), ma questa commistione pare sia vista con sospetto dalle Ong e dallo stesso Ufficio Umanitario dell’UE.

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