Servizio civile sulle orme di Erasmus
Nonostante l'enfasi con la quale la Convenzione europea ha insistito sul ruolo dei giovani nell'Europa del futuro, arrivando a convocare un'apposita Convenzione dei giovani, essa non è riuscita ad inquadrare in un progetto innovativo ed evocativo le politiche europee per i giovani. Se pure la Costituzione insiste sulla mobilità dei giovani lavoratori e degli studenti, a partire dal successo di programmi come il progetto Erasmus, e arriva a prevedere un Corpo volontario europeo di aiuto umanitario, costituito da giovani, si è di fatto perduta un'occasione storica per dare dignità costituzionale al progetto di Servizio volontario europeo (Evs), introdotto sperimentalmente dalla Commissione europea nel 1996. Esso poteva e doveva essere trasformato in un vero e proprio servizio civile europeo, che in prospettiva avrebbe dovuto essere reso obbligatorio per tutte le ragazze ed i ragazzi europei di età compresa tra i 18 ed i 24 anni. Si tratterebbe di trascorrere 10-12 mesi in un paese di propria scelta, dentro o fuori l'Unione, purché diverso dal proprio paese d'origine, partecipando ad un progetto che miri a realizzare gli obiettivi elencati nella Costituzione europea, come il rispetto dei diritti umani, la pace, lo sviluppo sostenibile, etc. La proposta di istituzionalizzare un servizio civile europeo potrebbe apparire in controtendenza in un periodo in cui, sulla scia della Francia, gli stati membri stanno progressivamente abolendo gli obblighi di leva. Essa sarebbe tuttavia pienamente giustificata se l'Unione europea si dimostrasse capace di garantire ai propri cittadini obiettivi fondamentali quali uno sviluppo economico sostenibile, il mantenimento di elevati standard di welfare, la promozione attiva della sicurezza interna ed esterna e della stabilità mondiale, che oggi sfuggono alla portata degli stati membri. La partecipazione al servizio civile europeo rappresenterebbe il contributo attivo dei giovani al perseguimento di questi obiettivi. Il servizio civile europeo permetterebbe di erogare servizi sociali sempre più difficili da finanziare, fornendo nuova linfa al lavoro delle migliaia di organizzazioni europee della società civile, e al tempo stesso - laddove fosse svolto in luoghi come l'ex-Jugoslavia - il Medio Oriente o l'Africa, testimonierebbe in modo inequivocabile la volontà dell'Europa di nascere come "potenza gentile", per usare una felice espressione di Tommaso Padoa-Schioppa. L'esempio dell'Europa contribuirebbe così ad affermare nel mondo un modello sociale e culturale alternativo a quello predominante. Al dilagare dell'individualismo si contrapporrebbe un rinnovato senso della comunità, al rafforzamento degli eserciti si contrapporrebbe la realizzazione di un vero e proprio "corpo di pace". Non bisogna infine dimenticare il beneficio che ne deriverebbe per i giovani europei. Essi potrebbero usufruire di un'esperienza di vita all'estero, dove apprenderebbero una lingua, e quella cultura della mobilità così richiesta dall'odierno mercato del lavoro. Nel giro di pochi anni le barriere del pregiudizio nazionale sarebbero superate e sostituite da una coscienza civile sovranazionale, che darebbe sostanza effettiva a quelle tre parole, "Unita nella diversità", opportunamente scelte come motto della nuova Europa.
(in collaborazione con il Movimento federalista europeo)
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