Lottiamo uniti per un seggio Ue
La lettera
di Francesco Rutelli
Caro direttore, è aperta una partita d'enorme rilevanza per l'Italia e per
l'Europa: la riforma dell'Onu, che include la riorganizzazione del Consiglio
di sicurezza. Se la conclusione portasse all'ampliamento dei membri permanenti
(oggi, Usa, Russia, Cina, Regno Unito e Francia) ai paesi che stanno conducendo
una attivissima campagna (Germania, Giappone, e con loro India, Sudafrica
e Brasile), le conseguenze sarebbero disastrose per l'interesse del nostro
paese e, ancora di più, segnerebbero un drammatico stop del disegno di Unione
europea voluto dai padri fondatori. E perseguito poi per mezzo secolo sino
allo storico approdo del Trattato costituzionale, che si firmerà a Roma
fra tre settimane. Ancora una volta, come le vicende del dopoguerra della
giovane democrazia italiana c'insegnano, l'interesse nazionale e l'interesse
europeo coincidono.
Ecco perché oggi denunciamo il ritardo con cui si è mosso in questa materia
il capo del governo - che pur si vanta di relazioni speciali con Bush e
Blair - ma non vogliamo aprire su questo una battaglia interna italiana
tra centrosinistra e centrodestra, che già si sfidano per il nuovo governo,
in palio nel 2006. Se la conclusione fosse negativa, infatti, la recriminazione
politica dell'opposizione potrebbe anche durare a lungo, ma i guasti per
tutti durerebbero decenni. Meglio, dunque, capirsi ora e bene.
Io penso che l'Italia debba sostenere in modo unitario e attivo una riforma
dell'Onu che rafforzi la governance democratica e l'efficacia del multilateralismo
e consenta, secondo il desiderio di Kofi Annan, di attivare nuovi strumenti
credibili e tempestivi per l'intervento umanitario di fronte alle crisi
più gravi. Nella riforma del Consiglio di sicurezza, l'ampliamento dei membri
permanenti con diritto di veto, secondo la proposta di Germania e Giappone,
accrescerebbe le disparità del privilegio e l'antidemocraticità del meccanismo
decisionale, senza garantire più efficacia (si pensi ai costi dell'esclusione
in blocco dei paesi arabi). Al contrario, la proposta di istituire membri
semipermanenti, elettivi per un periodo di cinque anni e rappresentativi
delle grandi aree continentali del mondo permetterebbe di rendere più democratico
il Consiglio. Da fraterni amici, noi chiediamo a Schroeder e Fischer come
sia immaginabile che il desiderio della Germania di affiancare Francia e
Regno Unito nel Consiglio di Sicurezza non finisca per seppellire un disegno
che ha storicamente accomunato tedeschi e italiani: la nascita di una politica
estera e di sicurezza comune in Europa, pegno del tramonto dei nazionalismi
del XX secolo, strumento di affermazione di un'Europa alleata dell'America
e allo stesso tempo, finalmente, dotata di proprie capacità per influire
ed agire nella scena politica globale, e non solo come forza economica e
area di libero scambio. L'ingresso della Germania come membro permanente,
infatti, non solo precluderebbe sine die la creazione di un seggio europeo,
ma formerebbe un triumvirato anglo-franco-tedesco che minerebbe nel profondo
l'idea stessa d'Unione. Il Parlamento europeo - anche con il mio voto -
ha approvato due Rapporti, nel 2003, che proponevano l'istituzione di un
seggio europeo nel Consiglio di sicurezza Onu. Sappiamo che il cammino non
sarà semplice, e che prima occorre l'entrata in vigore della nuova Costituzione.
Ma uniamoci subito, come europei, applicando l'art. 19 del Trattato sull'Unione,
che già oggi consente che i paesi i quali siedono nel Consiglio parlino
anche a difesa degli interessi europei, e includendo nelle loro delegazioni
il rappresentante di turno dell'Unione e l'Alto Rappresentante della politica
estera. È possibile anche decidere, sino all'entrata in vigore di nuove
regole, di eleggere un membro dell'Ue a rotazione con il preciso mandato
di rappresentare tutti i 25 paesi, oltre che le posizioni del proprio governo.
Di proporre un cambiamento dello statuto Onu, in attesa della possibilità
d'ottenere un seggio europeo nel Consiglio di sicurezza, per inserirvi un
rappresentante dell'Ue in qualità d'osservatore permanente.
Io ricordo che in questi anni i presidenti della Repubblica italiana e di
quella tedesca, pur nei tempi difficili delle divisioni europee sull'Iraq
ed altre vicende internazionali, hanno continuato a tessere il solido filo
della trama europeista. Certo, sono state Francia e Regno Unito ad avere
per prime ostacolato il seggio europeo, ma Italia e Germania non possono
ora mettersi in competizione fratricida, pena tradire le idee che da De
Gasperi e Adenauer, sino a Spinelli e Fischer, noi abbiamo fatto nostre.
E quel noi sta a significare i due popoli che hanno causato e conosciuto
immani tragedie nel secolo scorso e hanno giurato di superare le contrapposizioni
nazionalistiche per fondare il processo di integrazione europea. L'Italia
non può lavorare perché fallisca l'indispensabile riforma dell'Onu. La Germania
non può sbarrare la strada alla nascita di una politica estera europea.
I partiti dell'Ulivo, come hanno confermato nella riunione presieduta da
Romano Prodi il 20 settembre, constatano il gravissimo isolamento in cui
il governo Berlusconi ha posto il nostro paese. Ma non si limitano alla
polemica, poiché avvertono un preciso dovere nazionale ed europeo. Anche
per questo, chiediamo che il governo si affretti a ristabilire le risorse
assicurate per il 2004 all'Onu (100 milioni di euro per il Global Fund voluto
da Kofi Annan per la lotta all'Aids, la tubercolosi e la malaria) ma tagliate
dal ministero dell'Economia. Altrimenti, la filippica sull'Italia ingiustamente
discriminata nonostante i nostri finanziamenti alle Nazioni Unite e il nostro
impegno nelle missioni internazionali si rivelerebbe un boomerang, e la
sconfitta in sede Onu sarebbe inevitabile.
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