Europa, oltre l'isola dei potenti. Verso una costituzione federalista, democratica e sociale.
Successivamente al vertice di Bruxelles di giugno (in cui i capi di stato e di governo si accordarono sul testo della Costituzione per l'Europa) Giuliano Amato, in una delle sue lettere dall'Europa sul Sole 24 ore, invitava quanti incappassero nell'eventualità di prendere posizioni pubbliche su quel testo a non «sputacchiare sentenze» approssimative e azzardate. Abituati alla sagacia che lo contraddistingue è probabile che, almeno in privato, non rispetterà questo monito autoimposto, di fronte alla concreta probabilità di ritrovarsi involontario attore (come vice-padre costituente) del film che Zeffirelli girerà in diretta con le 45 videocamere digitali sparpagliate dal governo italiano in Campidoglio per immortalare le 25 firme che oggi saranno apposte al Trattato costituzionale. Per parte nostra viene solo da sorridere mestamente al pensiero dell'ennesimo clima di unità nazionale che accompagnerà la legge ordinaria di ratifica da approvare in fretta e furia, sicché l'Italia «sia il primo paese a ratificare» il Trattato (così Fassino in assoluta sintonia con il sottosegretario Antonione sul Corsera del 18 otobre). Di fronte a questa ennesima mortificante visione che vorrebbe momentaneamente chiudere il processo di costituzionalizzazione dell'Ue con il solo consenso intergovernativo si è spesso tentati da un'interlocuzione che si limita al semplice e marginale no di testimonianza politica (che accomuna spregiudicati tecnocrati socialisti come Fabius, sclerotiche forze della destra nazionalista e razzista e partiti neocomunisti) e dietro il quale finisce spesso per celarsi una strutturale incapacità di incidere sulle trasformazioni dei meccanismi politico-istituzionali comunitari.
Rispetto a questo atteggiamento di sterile cecità è possibile assumere un punto di vista di critica radicale, ma al contempo immaginativa, delle evoluzioni subite dall'integrazione comunitaria, se solo si volesse «prendere sul serio» quanti si interrogano ormai da anni sulla possibilità di connettere la «società civile e la re-immaginazione del costituzionalismo europeo», come invita a fare Michael A. Wilkinson in un saggio pubblicato sul numero4/2003 della rivista European Law Journal dedicato al rapporto tra «diritto, società civile e governance economica transnazionale». Wilkinson assume lo spazio pubblico europeo come terreno di azione di una società civile globale che si pone dinanzi a diverse opzioni di ripensamento della partecipazione democratica: tra l'ottica habermasiana di una «legittimazione discorsiva», l'introduzione di una «democrazia più radicale», «agonistica», ovvero frutto di una «sperimentazione» continua e irriducibile, assumendo la possibilità di immaginare una collettività pubblica molteplice e plurale, che si autoorganizza come attore collettivo. Non dimenticando che quella stessa «società civile europea» si forma anche attraverso «discorsi e interessi istituzionali» ed è stata solo parzialmente intercettata da alcune istituzioni comunitarie (in questo senso vanno alcuni spunti di Stijn Smismans, sempre nello stesso volume). E non è un caso che nello stesso periodo in cui venivano elaborate queste riflessioni usciva in Italia il lavoro collettaneo su Europa, costituzione e movimenti sociali (manifestolibri), mentre Stefano Rodotà scriveva su La Repubblica del 18 marzo 2004 che «associazioni, gruppi politici, attivisti dei diritti si muovono per contribuire alla creazione di uno "spazio pubblico europeo"». Questa capacità di anticipazione e protagonismo delle opinioni pubbliche d'Europa ebbe un altro punto di condensazione in occasione della presa di parola collettiva contro la guerra in Iraq, ma in tutti questi casi incise solo marginalmente nel processo convenzionale (se si pensa alla parziale ricezione della questione pace nei lavori, proprio in concomitanza con i grandi cortei) e in ogni caso perse l'occasione di entrare in confronto diretto con quel percorso: per sordità delle classi dirigenti europee, ma anche per incapacità di sintesi rivendicativa dei movimenti, basti vedere il triste arroccamento rissoso dell'ultimo Social forum londinese.
Ora, che anche le elite dirigenti europee riconoscono formalmente la definizione di un'Europa politica e facendo leva sull'impostazione delle letture citate, potrebbero esserci almeno due ipotesi di intervento attivo da mettere in campo. Da una parte potrebbe configurarsi l'ipotesi di radicalizzare l'idea propria di Häberle e Habermas di una «società aperta degli interpreti della Costituzione» di livello continentale, formata dalle diverse sfaccettature della sfera pubblica democratica post-statuale, che assuma le Costituzioni come processi pubblici permanentemente aperti e provi, innanzitutto, ma non solo, a rideclinare i paradigmi imposti dal Trattato costituzionale, avviando meccanismi interpretativi che permettano di sganciare le prime II parti della futura Costituzione europea dai vincoli di compatibilità economica contenuti nella parte III. Una prospettiva che accomunerebbe la tradizione del costituzionalismo liberaldemocratico con ampi settori dell'opinione pubblica europea più scettica nei confronti del Trattato.
Allo stesso tempo si dovrebbe approfittare dell'attuale protagonismo del parlamento europeo (la cui capacità di mettere in crisi la nascente Commissione Barroso allude a un costante e progressivo affermarsi di meccanismi di parlamentarizzazione nel laborioso meccanismo istituzionale continentale), mettendo in pratica una sorta di iniziativa costituente da parte dell'attuale assemblea rappresentativa continentale, che proponga delle modifiche in senso compiutamente federalista, democratico e sociale del testo.
E tali proposte potrebbero essere avviate in anticipo rispetto alla possibile entrata in vigore del Trattato costituzionale, così da indirizzarne la futura applicazione e permettere un confronto pubblico durante tutta la legislatura cui dovrebbe partecipare l'opinione pubblica continentale. Non dimenticando inoltre che è lo stesso Trattato costituzionale a prevedere una iniziativa continentale dal basso di un milione di cittadini dell'Unione da presentare alla Commissione, per l'attuazione della Costituzione (art. I-47): potrebbe essere un buon modo per avviare campagne continentali e proporre una particolare attuazione della Costituzione, per rendere ancora più esplicito che sono i soggetti sociali collettivi a rendere vitali le pratiche costituzionali.
Dall'altra parte, accanto a questi che potrebbero essere tacciati per dei neutri meccanismi di ingegneria costituzionale difficilmente portatori di coinvolgenti afflati europeisti, devono essere gettate nell'agone pubblico le grandi opzioni socio-politiche di cui i movimenti si sono fatti portatori. È
Questo il campo in cui si dovrà esercitare le proprie capacità creative di lotte per nuovi diritti e nuove istituzioni. I campi di azione sembrano includere approssimativamente e per grandi temi aperti: nuove forme di welfare (a iniziare dalla continuità di reddito e per invertire la tendenza alla precarietà: flessibilità+sicurezza) servizi pubblici locali e continentali, libertà di movimento e cittadinanza post-nazionale a partire dalla centralità della questione migrante, pratiche democratiche inedite nelle diverse forme di autonomia politica municipale-locale, gestione pubblica e condivisa dei beni comuni. Con la necessità che l'Ue sia un'Europa di pace e diventi per questo un soggetto globale in relazione paritaria con l'area mediterranea e mediorientale.
Questi sembrano essere alcuni degli ambiti di azione delle intelligenze dell'opinione pubblica europea ancora in formazione, sempre che riesca a scartare le false opzioni che gli apparati governativi metteranno in campo nel corso del prossimo anno, per inventarsi invece meccanismi operativi di applicazione della propria immaginazione costituente, accettando e rilanciando la posta del processo di costituzionalizzazione continentale.
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