L'Uomo al centro della PESD [1]?
Mentre prosegue la creazione di capacità militari, e quelle civili dovrebbero essere rilanciate da una conferenza che si terrà a novembre, si pone con sempre più urgenza la necessità di ridefinire lo scopo e le prospettive di impiego di questi strumenti, poiché appare oramai evidente che le missioni di Petersberg, seppur nella versione aggiornata del Trattato Costituzionale europeo, non sono più sufficienti[2]. In questo contesto, assumono un significato decisivo due iniziative che voglio segnalarvi: la pubblicazione del Rapporto di Barcellona del gruppo di studio sulle Capacità Europee nel settore della Sicurezza guidato da Mary Kaldor[3] e l'azione del World Federalist Movement “Responsibility to protect - engage civil society”.
L'Europa si trova, infatti, ancora una volta divisa di fronte alle grandi sfide mondiali. La divisione sulla riforma delle Nazioni Unite, ed in particolare del Consiglio di Sicurezza, è oramai conosciuta da tutti; ma quello che ancor più preoccupa è che la discussione sul futuro dell'Onu - unica istituzione in grado di rispondere alle sfide della globalizzazione - avviene in un momento in cui si fa sempre più strada la dottrina degli attacchi preventivi - le posizioni di Israele, Usa e Russia su questo sono note, e tutto fa presagire che altri paesi potrebbero allinearsi. Questa dottrina mina, infatti, le fondamenta su cui poggia la creazione dell'Onu (quelle della cooperazione e del multilateralismo) e dell'Europa stessa - che costituisce però un edificio ben più imponente. La costruzione europea è quindi minacciata dall'esterno, dalla dottrina degli attacchi preventivi, ma anche dall'interno, a causa delle divisioni fra gli stati membri che perseguono ancora una volta obiettivi esclusivamente nazionali.
Spostare l'attenzione dalla sicurezza dagli stati a quella alle persone – fare cioè della sicurezza umana lo scopo della PESD, come suggerice il gruppo di Barcellona – significa superare l'idea che siano gli stati gli unici detentori di un diritto/dovere universale alla sicurezza; non significa solamente rivendicare ad ogni individuo la titolarità di un “diritto alla sicurezza”, le convenzioni internazionali sui diritti umani già lo fanno, dando ad esso un contenuto concreto ed articolato, ma significa soprattutto, e qui sta la novità, rivendicare il dovere degli stati di agire per garantire tale diritto, anche al di fuori dei confini nazionali.
Così, mentre l'iniziativa del movimento federalista mondiale mira al riconoscimento di tale diritto/dovere, il rapporto del gruppo guidato da Mary Kaldor ne definisce gli strumenti politici ed operativi che l'Europa potrebbe mettere in campo.
Si collocano, dunque, su di una stessa visione del mondo, che nel porre al centro della politica (nazionale ed internazionale) l'uomo, mostra l'unica strada percorribile per ritornare a dare alle istituzioni democratiche il ruolo per cui esistono: rispondere alle necessità ed ai bisogni degli individui, in un epoca di interdipendenza complessa in cui i destini degli uomini sono oramai così intrecciati che le politiche devono necessariamente superare la dimensione nazionale ed essere affidate ad organismi sovra-nazionali.
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La sicurezza umana deve essere l'obiettivo della politica estera di sicurezza e di difesa dell'Unione europea, e gli strumenti civili e militari devono essere orientati esclusivamente a questo scopo.
Si potrebbe riassumere così il contenuto del Rapporto di Barcellona, anche se, data l'importanza delle questioni poste e delle idee contenute, non può essere liquidato in una sola frase. Non è tanto la presenza di concetti o approcci innovativi a rendere il rapporto interessante, quanto il fatto che i concetti e le idee vengano posti per la prima volta da una prospettiva politica orientata all'azione, diretti cioè ad essere facilmente tradotti in politiche e strumenti operativi.
Tre sono gli elementi su cui si basa la Dottrina Europea per la Sicurezza Umana suggerita dal gruppo di studio [4]:
1.Sette principi che devono essere rispettati nelle operazioni in situazioni di forte insicurezza (dalla prevenzione alla gestione e ricostruzione post-conflitto) e che dovrebbero guidare l'azione di chiunque (diplomatici, politici degli stati membri,ma anche il personale militare e civile che opera sul terreno) e applicarsi ai mezzi ed ai fini dell'intervento.
2.La creazione di una “Human Security Response Force” composta inizialmente da almeno 15.000 uomini e donne, di cui un terzo civili, esperti nei settori: polizia, affari legali, sviluppo e aiuto umanitario, amministrazione, ecc. A questi specialisti, forniti dagli stati membri, si affiancherebbe poi un Servizio Volontario per la Sicurezza Umana che integrerebbe questa forza grazie ai contributi di giovani volontari europei attualmente previsti dal controverso quinto comma dell'art III-321 del Trattato Costituzionale.
3.Un nuovo quadro giuridico dovrebbe, in fine, governare sia gli aspetti decisionali sia quelli operativi degli interventi. Tale normativa dovrebbe essere costruita tenendo conto della legislazione locale, di quella degli stati che partecipano alle operazioni, del diritto penale internazionale, del diritto internazionale umanitario e delle convenzioni internazionali sui diritti umani.
La “Forza di intervento per la sicurezza umana” dovrebbe essere posta sotto il controllo del nuovo Ministro degli esteri europeo (previsto dal Trattato costituzionale), e dovrebbe essere potenziata rispetto alle attuali capacità civili.
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La Responsabilità di proteggere e coinvolgere la società civile
Nonostante le prese di posizione, le dichiarazioni, ed i diversi proclami, nel mondo i genocidi continuano ad essere una realtà. Basti pensare al caso più recente, il Darfur.
Finché non verrà riconosciuto il principio secondo cui gli stati e la comunità internazionale hanno la responsabilità di proteggere i civili dai genocidi e dalle atrocità di massa, le gravi violazioni dei diritti umani continueranno ad essere una realtà tollerata e giustificata dal principio di non ingerenza negli affari interni.
L'iniziativa R2P-CS “Responsibility to protect – engage civil society” del World Federalist Movement [5] (Wfm) mira a creare una ampia coalizione di società civile, politici, istituzioni e organizzazioni nongovernative, che porti al riconoscimento della responsabilità della comunità internazionale ad agire per proteggere le persone oggetto di gravi violazioni dei diritti umani, quando lo stato che ne ha la responsabilità non ha la possibilità o la volontà di intervenire.
Dal riconoscimento di questa responsabilità deriverebbero tre ordini obblighi:
1.La Responsabilità di Prevenire le cause dei conflitti armati e delle altre crisi che mettono a rischio la sopravvivenza delle popolazioni.
2.La Responsabilità di Reagire alle crisi umanitarie con i mezzi più appropriati
3.La Responsabilità di Ricostruire fornendo piena assistenza alle popolazioni attraverso il soccorso, la ricostruzione e la riconciliazione.
L'iniziativa R2P-CS, che nasce da uno studio della Commission on State Sovreignity sostenuto dal governo canadese, prevede per i prossimi mesi:
· l'avvio di un dibattito più approfondito sul principio “Responsibility to protect”,
· azioni di promozione della creazione di norme internazionali,
· il monitoraggio delle risposte e degli impegni dei governi,
· il rafforzamento della partecipazione della società civile, delle Ong e dei Governi attraverso lo sviluppo di un network ad hoc.
Il Movimento Federalista Mondiale non è nuovo ad iniziative di questa portata, basti pensare che ha guidato e coordina ancor oggi, la coalizione che portò alla creazione del Tribunale Penale Internazionale.
[1] Politica Europea di Sicurezza e di Difesa
[2] Le missioni di Petersberg (dal nome della località tedesca dove furono inizialmente concepite) “aggiornate” prevedono: Art III-309 comma 1 del T.to Costituzionale consolidato: “Le missioni di cui all'articolo I-41, paragrafo 1, nelle quali l'Unione può ricorrere a mezzi civili e militari, comprendono le azioni congiunte in materia di disarmo, le missioni umanitarie e di soccorso, le missioni di consulenza e assistenza in materia militare, le missioni di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace e le missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace e le operazioni di stabilizzazione al termine dei conflitti. Tutte queste missioni possono contribuire alla lotta contro il terrorismo, anche tramite il sostegno a paesi terzi per combattere il terrorismo sul loro territorio.”
[3] Mary Kaldor è professore alla London School of Economics ed esperta di conflitti. Fra le sue pubblicazioni più conosciute: “Le nuove guerre” ed. Italiana di Carocci. www.lse.ac.uk/people/m.h.kaldor@lse.ac.uk Al gruppo di studio hanno preso parte: Jan Pronk, UN Special Representative in Sudan; Gen. Ret. Klaus Reinhardt, former commander of Kosovo; Narcis Serra, former Spanish Minister of Defence; and international law specialist Christine Chinkin.
[4]Dall'Executive Summary del Documento.
[5] Sito dell'iniziativa www.wfm.org/protect . Il Wfm è un organizzazione nongovernativa che riunisce i federalisti di tutto il mondo. Fra le campagne più significative sostenute e coordinate dai federalisti mondiali c'è senz'altro la campagna che ha portato alla creazione del Tribunale penale internazionale, campagna che prosegue ancor oggi: sito sulla campagna: www.iccnow.org, sito della Corte penale internazionale: www.icc-cpi.int . Il movimento dei federalisti mondiali non è quindi nuovo a campagne di portata rivoluzionaria per la politica e l'ordine internazionale.
LINK:
Per maggiori informazioni sull'iniziativa R2P-CS del Movimento federalista Mondiale: www.wfm.org/protect
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